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Rivista n. 54, dicembre 2023

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

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16/17

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Corrispondenza sui fatti di Genova G8

GENOVA G8, LUGLIO 2001

Pubblichiamo una selezione di lettere e materiali altrui sui fatti di Genova, ricevuti o segnalati dai nostri lettori. La nostra valutazione è in un'altra pagina.

1) Predicare in un modo e razzolare in un altro

[...] Respingiamo una rappresentazione astratta e mitologica della "globalizzazione". La globalizzazione che noi combattiamo non è né la dimensione mondiale dell'economia né un'entità "metafisica". E' il capitalismo internazionale entro il processo storico della ricomposizione capitalistica dell'unità del mondo dispiegatasi dopo l'89. Imperialismo non è termine ideologico o invecchiato. E' il dominio del capitale sulla società internazionale che oggi ripropone in forme nuove i suoi tratti storici (parassitismo finanziario, concentrazioni monopolistiche, saccheggio dei Paesi poveri, militarismo) ma anche le sue contraddizioni insolubili: prima fra queste la lotta tra le grandi potenze per la spartizione del pianeta, ripresa su larga scala dopo il crollo dell'URSS e dello stalinismo. Il movimento deve riconoscere con chiarezza nell'imperialismo il proprio avversario e ciò significa assumere come avversario ogni potenza imperialistica: non solo l'imperialismo americano ma anche l'imperialismo europeo, le sue multinazionali, le sue banche, i suoi governi, siano essi di centrodestra, di centrosinistra, o socialdemocratici.

Ed anzi, in Europa, la lotta contro l'imperialismo di "casa nostra" è un dovere centrale del movimento e la condizione stessa della sua piena autonomia politica. In questo senso dissentiamo dalla pretesa utopica di un' "Europa sociale e democratica" entro l'attuale quadro imperialistico. Questa rivendicazione rischia di avallare nei fatti l'imperialismo europeo con la speranza illusoria di una sua "riforma". All'opposto la denuncia dell'imperialismo europeo ed italiano, delle sue politiche di saccheggio coloniale nella penisola balcanica, delle sue politiche reazionarie contro l'immigrazione, del suo crescente militarismo, deve coniugarsi alla rivendicazione di un'alternativa di società e di potere su scala continentale fuori da qualsiasi logica di pressione sulla socialdemocrazia e sulle istituzioni di questa Europa.

Larga parte della direzione attuale, politica e intellettuale, del movimento promuove una piattaforma antiliberista, ma non anticapitalistica. Consideriamo profondamente errata questa impostazione. Il liberismo non è una "cattiva politica" del capitale rimpiazzabile con una politica "buona" del capitalismo medesimo. Il liberismo è una manifestazione naturale del capitalismo nelle stagione storica della sua crisi e del crollo di ogni contrappeso internazionale. Una lotta al liberismo senza una lotta al capitalismo è una frase vuota e un inganno.

La rivendicazione di un capitalismo "equo" (di un commercio "equo", di una finanza "equa") è solo il recupero di una vecchia utopia, sempre fallita e tanto più inverosimile nell'epoca attuale dell'imperialismo. Il sogno di un capitale imbrigliato da una rete di regole democratiche, come vorrebbe Lilliput, è appunto la fiaba di Gulliver. Nella sua traduzione concreta questa impostazione si riduce per lo più a rivendicare o semplici misure di razionalizzazione antispeculativa (come una "Tobin Tax" tanto innocua da essere stata inventata da un consulente liberale di Kennedy e da essere votata dal parlamento anti-operaio del Canada); o una riforma del WTO, della Banca Mondiale, dell'ONU (che è un po' come richiedere a un covo di briganti e rapinatori del pianeta di modificare lo statuto del proprio club); o una cosiddetta economia "extramercantile" (v. terzo settore) che in realtà si integra nelle stesse politiche liberiste come espressione della privatizzazione dello stato sociale e, spesso, come luogo di precariato e supersfruttamento.

Questa intera impostazione va capovolta. Non si tratta di chiedere al capitale di essere sociale democratico ambientalista e pacifico. Si tratta di impugnare ogni rivendicazione di classe democratica, ambientalista, di "pace" conto il capitale per il suo rovesciamento. Solo il rovesciamento del capitalismo può liberare un futuro di progresso per l'umanità con l'uso razionale, al servizio degli uomini, delle grandi scoperte della scienza e della tecnica. E viceversa senza il rovesciamento del capitalismo l'intera umanità è destinata ad una autentica regressione di civiltà, già oggi delineata dall'accrescersi della miseria sociale e dello sfruttamento, dalla precipitazione del degrado ambientale, dal cupo riproporsi delle piaghe antiche del razzismo, della xenofobia, del militarismo. Per questo proponiamo nel movimento antiliberista una chiara prospettiva socialista. [...]

(Seguono 16 firme individuali di politici e sindacalisti con i relativi incarichi in organismi tradizionali)

2) "SLAI - COBAS"

[...] C'è una precisa continuità tra gli incontri dei potenti e quello che in Italia è stato fatto, in particolare negli ultimi decenni, dal potere finanziario ed industriale ben rappresentati dai governi che si sono succeduti. Ed adesso che c'è un governo di destra, apertamente antidemocratico ed antioperaio, ci si "dimentica" che questo governo è stato preceduto da altri che hanno propagandato e sostenuto l'adesione all'Europa, scelta disastrosa che si traduce oggi in un crescente aumento dei prezzi, in un parallelo decremento dei salari ed in un drastico peggioramento delle condizioni dei piccoli produttori di interi settori agricoli. Sono i governi del centro sinistra che negli ultimi anni hanno spianato la strada al governo delle destre devastando il tessuto operaio e popolare con le politiche di flessibilità e precarizzazione del lavoro, con la promozione e la gestione delle privatizzazioni e con lo smantellamento della sanità, dei servizi sociali e della scuola pubblica Sotto questi governi le poche libertà democratiche e i pochi diritti politici dei lavoratori sono stati drasticamente ridotti; grazie all'operato di questi governi oggi scioperare, manifestare, difendersi, organizzarsi sindacalmente e politicamente è diventato per gli operai e per i lavoratori sempre più rischioso e complicato.

Oggi, ancora, ci si dimentica troppo facilmente che molte delle organizzazioni cosiddette non-governative che si dichiarano contro il G8 hanno sostenuto direttamente ed indirettamente un governo come quello D'Alema che ha portato l'Italia in guerra contro una piccola nazione -la Yugoslavia- che non voleva allinearsi agli interessi delle principali potenze.

Ci si dimentica ipocritamente che certi sindacati confederali che oggi si presentano critici nei confronti del G8 hanno lavorato in questi anni per ottenere più potere e più privilegi per sé e per una propria ristretta base sociale cedendo -in cambio- ai padroni (comprese le aziende cooperative) sempre più flessibilità, sempre più sfruttamento, sempre più licenziamenti, collocandosi così all'interno delle stesse direttrici politiche che i potenti del mondo fanno pesare anche sui lavoratori dei "propri" stessi paesi.

Di fronte a scadenze come quelle del G8 di Genova i lavoratori, gli operai, le masse popolari, i piccoli produttori e i piccoli negozianti colpiti dalle politiche europee, dalla concorrenza e dalle tasse, non possono non vedere come, al di là delle differenze storiche, nazionali e cultuali, i popoli oppressi del mondo sono i loro unici veri alleati.

Tra i popoli oppressi diversi sono quelli che stanno lottando in modo rivoluzionario contro l'oppressione economica, politica, militare e culturale dei potenti della terra, per costruire nuovi stati e nuove società (dalla Palestina alla Turchia, dal Nepal all'India e alle Filippine, dalla Colombia al Perù e al Messico). Questi popoli, contrastando concretamente i piani e gli interessi delle potenze imperialiste, aiutano realmente e più di chiunque altro i lavoratori dei paesi economicamente più sviluppati sfruttati e oppressi dagli stessi interessi e poteri nazionali e multinazionali, politici ed economici. A questi popoli va dunque il saluto, il ringraziamento e la solidarietà di classe dei lavoratori coscienti dei propri interessi internazionalisti.

3) "PRECARI NATI"

Bruciare ogni illusioni stasera...

Se siamo qui, non è come attivisti professionali della contro-globalizzazione, che cercano di trovare una posizione mediatrice tra i burattini dell'economia e le sue "vittime", che agiscono per conto di altri (cioè gli "invisibili", i proletari in rivolta contro il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale, i rifugiati, i lavoratori precari).

Non vogliamo rappresentare nessuno, e sputiamo in faccia a chi volesse rappresentarci. Non concepiamo l'esclusione sociale come esclusione dai centri di decisione economica ma come perdita della nostra vita nell'attività di ogni giorno come proletari, per colpa dell'economia.

Se siamo qui, non è perché preferiamo il commercio equo e solidale al libero scambio, né perché crediamo che la globalizazione indebolisca l'autorità degli Stati-nazione. Non è perché pensiamo che lo Stato sia controllato da istituzioni non democratiche, né perché manchi più controllo sul mercato. Siamo qui perché ogni commercio è commercio della miseria umana, perché tutti gli Stati sono prigioni, perché la democrazia nasconde la dittatura del Capitale.

Se siamo qui non è perché vediamo i proletari come vittime, né perché vogliamo elevare noi stessi a loro protettori. Noi non veniamo qui per entusiasmarci alla vista di manifestazioni spettacolari, ma per imparare la tattica della quotidiana lotta di classe dagli scioperanti dell'Ansaldo e dai proletari disubbidienti dell'industria metallurgica. Noi veniamo qui a scambiare le nostre esperienze come ogni diseredato del mondo.

Se siamo qui, non è perché veniamo come membri dei numerosi Organismi Non Governativi, verie lobby, Attac, o tutti gli altri che vogliono solo essere accettati alle discussioni sulla modernizzazione del capitalismo e che sperano nell'efficacia delle loro proposte (p. es. la "Tobin tax") per salvare le relazioni sociali capitalistiche, proprio le stesse che perpetuano la nostra alienazione e sfruttamento.

Se siamo qui, è in quanto proletari che riconoscono il capitalismo non nelle riunioni dei vari gangsters ma nel furto quotidiano delle nostre vite nelle fabbriche, nei call-centers, come disoccupati, per le necessità dell'economia. Noi non parliamo per conto di qualcuno, cominciamo dalle nostre propie condizioni. Il capitalismo non esiste a causa del G8, è il G8 che esiste a causa del capitalismo. Il capitalismo è nient'altro che l'espropriazione della nostra attività, la quale ci si rivolta contro come una forza aliena.

La nostra celebrazione contro il capitale non ha un inizio o una fine, non è uno spettacolo predeterminato, non ha una data fissa. Il nostro futuro va ben al di là di tutte le mediazioni, al di là degli Stati-nazione, al di là di ogni tentativo di riformare il capitalismo. Il nostro futuro consiste nella distruzione dell'economia.

Per l'abolizione totale dello Stato e del Capitale.

Per la comunità umana mondiale.

***

Superstizione riformista e illegalismo bastardo in democrazia blindata (*)

Credevamo che la delazione e la teoria degli opposti estremismi fosse una tragica e infame pagina del passato, ci sbagliavamo, abbiamo visto la gara fatta dal GSF nel fare opera di delazione e di infamia contro i compagni.

Anche in manifestazione dove molti compagni si vedevano tenuti fuori dai cordoni, e schiacciati dai lacrimogeni lanciati ad altezza uomo da una parte e dal cordone dei "compagni" dall'altra. Si accusa il "Black Bloc" di essere l'artefice della non riuscita del teatrino della contestazione organizzato del GSF. Ma cosa è il BB? Esiste davvero? Noi abbiamo visto proletari che rifiutavano la proprietà e non si lasciavano massacrare dagli sbirri.

Si sono bruciate banche, macchine, agenzie di lavoro interinale, si organizzavano barricate... intanto la polizia pestava, sparava, uccideva.

Il GSF ha spinto fino alla fine per una manifestazione pacifica, per la disobbedienza civile, intanto la polizia fermava, picchiava i compagni in vista di Genova. Il GSF ha così permesso alla polizia di fare quello che voleva. Sono entrati nei campi, hanno arrestato i compagni, hanno organizzato le squadrette a Genova e nei comuni limitrofi nella notte.

Il GSF parla di non violenza, quando il capitale esercita ogni giorno la violenza contro i proletari sul lavoro, sul territorio, a tutto questo, noi dovremmo alzare le mani e subire, il martirio lo lasciamo ai cattolici; pregavate quando gli sbirri entravano nei campi ?

Ci si stupisce della repressione, che la polizia uccide in piazza, ma ricordiamoci che esiste la LEGGE REALE. Un anno fa hanno massacrato centinaia di proletari carcerati, ma voi dove eravate, parlavate forse di carceri democratiche?

Mentre uccidevano un compagno, un ragazzo, si discuteva se era giusto o no bruciare delle macchine! Questo è quello che ci fa schifo, compagni.

Si sono rotte le uova a Genova, si è imbrattata la pacifica protesta della società civile e la riunione del civile G8. Si è rotto il compromesso della politica, della democrazia, che è al tempo stesso carezze e bastonate.

Il GSF ha assaporato ieri notte quello che migliaia di proletari si subiscono ogni giorno. Il problema è reagire, è rifiutare di comportarsi come elefanti in cristalleria. La guerra che il capitale ha dichiarato all'umanità va combattuta con ogni mezzo necessario.

E' vero che lo sbirro non è il problema principale per il movimento proletario, ma non è dal punto di vista della "società civile"-che è solo una dimensione gelatinosa borghese- che esprimiamo questa critica alla manifestazione di Genova. Il problema del movimento proletario è portare un attacco effettivo al capitalismo, che non può essere ridotto alla manifestazione di Genova, ma è disvelare la passione comunista nel manifestarsi della crisi del capitalismo.

CONTRO LA MINACCIA DEL PACIFISMO - PER LA RIVOLUZIONE COMUNISTA

PRECARI NATI

(*) E' il titolo di una raccolta di testi della Sinistra Comunista "italiana" (n.d.r.)


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    "La parola classe che il marxismo ha fatto propria è la stessa in tutte le lingue moderne: latine, tedesche, slave. Come entità sociale-storica è il marxismo che la ha originalmente introdotta, sebbene fosse adoperata anche prima. La parola è latina in origine, ma è da rilevare che classis era per i Romani la flotta, la squadra navale da guerra: il concetto è dunque di un insieme di unità che agiscono insieme, vanno nella stessa direzione, affrontano lo stesso nemico. Essenza del concetto è dunque il movimento e il combattimento, non (come in una assonanza del tutto... burocratica) la classificazione, che ha nel seguito assunto un senso statico."

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    Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il suo picco e i problemi di natura economica si assommano a quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri. Al pari dei paesi a vecchio capitalismo, la Cina installa robot nelle fabbriche e investe in intelligenza artificiale, e quindi si trova di fronte alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche passando in pochi anni da una crescita impetuosa a un altrettanto veloce declino.

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