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Non trascurate il Sudamerica

Avete parlato della necessità, da parte del Capitale, di un centro esecutivo internazionale che possa dare un indirizzo al caotico muoversi dei capitali nazionali e anche individuali. Avete concluso, naturalmente, che solo gli Stati Uniti hanno la potenza necessaria per farlo, e che lo faranno soprattutto per sé. Ma in questo processo si stanno inserendo paesi già potenti come la Cina e l'India, per non parlare dell'Europa che però non sembra avere capacità unitaria d'intervento. Anche paesi del Sudamerica, un tempo ritenuto il cortile di casa degli Stati Uniti, si stanno coalizzando, se pure in modo non ancora formale, a parte gli accordi per le aree di libero scambio.

Brasile, Argentina, Venezuela e Bolivia sono a diversi gradi in concorrenza con Washington, quando non in rotta di collisione, e certo ciò avrà conseguenze. In una quindicina di anni s'è visto un accorrere di capitali da investimento, che si sono trasformati in speculazione locale e internazionale e in seguito hanno abbandonato alcune sfere e alcuni paesi provocando gravi difficoltà alle economie, come ha dimostrato il caso dell'Argentina, il più eclatante.

Le esportazioni di questi paesi, a parte il petrolio venezuelano e alcuni metalli come il rame cileno e lo stagno boliviano, sono basate in gran parte su prodotti agricoli; adesso che il prezzo di questi aumentano, i capitali stanno ritornando, specie quelli americani e spagnoli, con la novità di quelli cinesi. Ma il fenomeno è ciclico: non avendo un'industria sviluppata a sufficienza da cui estrarre il plusvalore supplementare necessario per sostenere la produzione agraria, come invece in USA e in Europa, i paesi sudamericani si troveranno nuovamente di fronte a un'invasione di capitali altrui, capaci di nuovo di provocare sconquassi e andarsene. Vale a dire tensioni sociali, sommosse come quelle argentine e boliviane. Vedo l'esempio del Brasile, che fa un accordo direttamente con Bush per coltivare canna da zucchero da cui ricavare biocarburanti: l'intera filiera sarà come un esercito di occupazione a favore delle automobili americane. Perciò il Brasile è destinato a scoppiare.

Oggi la capacità organizzativa delle masse è estremamente facilitata dai mezzi tecnici, come avete sottolineato voi stessi con l'articolo sulla UPS. Non è successo solo in USA, anche in Argentina e Bolivia i telefonini e Internet sono stati meglio delle barricate, ormai da relegare fra i ricordi romantici. Altri esempi sono venuti dai moti scoppiati in Corea, in Indonesia e nelle altre cosiddette tigri asiatiche dopo la crisi del '97. Ma il Sudamerica mi sembra per il momento il polo più delicato ed esplosivo nell'intero arco capitalistico e, come del resto avete scritto a suo tempo, "Argentina è il mondo". La crisi argentina aveva prodotto delle interessanti forme assembleari, poi recuperate dalle organizzazioni esistenti in chiave democratica e parlamentare, ma vi furono indubbiamente degli aspetti da "cervello sociale" in moto. Anche alcune espressioni apparentemente retrograde, come il ritorno ai costumi degli antenati indios possono essere interpretati come un bisogno di comunità contro il rullo compressore capitalistico.

 

Avevamo detto che "Argentina è il mondo" non solo per gli aspetti generalizzabili della catastrofe da mancata utilizzabilità di capitali, ma anche per l'enorme sviluppo della risposta di classe, anche se finì recuperata al meccanismo democratoide delle rappresentanze. I caratteri della lotta argentina, infatti, sono quelli tipici dei paesi sviluppati, e tutto il Sudamerica è nelle stesse condizioni, fatte le ovvie ma non fondamentali differenze. Solo giornalisti ignoranti potevano trattare, come hanno fatto, l'Argentina da paese del Terzo Mondo.

L’Argentina raggiunge la sua indipendenza con la guerra contro la Spagna nel 1810 e stabilisce la sua costituzione nel 1916, molto presto. Con l'aiuto di consiglieri tedeschi e di capitali inglesi, si dà un esercito e una struttura produttiva di tipo moderno. La storia dell’Argentina, dal punto di vista nazionale borghese, è più vecchia di quella di Italia e Germania. Il proletariato argentino ha sempre avuto delle caratteristiche di altissima combattività e altissima capacità organizzativa, tant’è vero che la borghesia ha dovuto risolvere “alla fascista” il problema dell’organizzazione proletaria: in una maniera molto curiosa, cioè utilizzando i contadini appena diventati proletari urbanizzati, i descamisados, contro i proletari sindacalizzati le cui organizzazioni furono messe fuori legge.

Gli altri paesi del Sudamerica sono più o meno nelle stesse condizioni, e quindi è vero che ogni turbamento dell'equilibrio continentale in grado di mettere in discussione il controllo degli Stati Uniti è potenzialmente catastrofico. Ad esempio sono in aumento gli investimenti esteri non americani e ciò non mancherà di destabilizzare la situazione. Per il semplice fatto che ciò mette in discussione l'esigenza da parte del Capitale di esprimere un suo "direttore del traffico" al di sopra di tutti.

Il Brasile è un altro paese candidato alla rivolta sociale. Ci sono già state manifestazioni contro il programma degli agrocarburanti. Le tensioni sono enormi, dovute al miscuglio esplosivo di sovrappopolazione, arcaismo contadino e modernità capitalistica sfacciata. Come nel caso dell'Argentina, a dare l'impronta al movimento dei rivoltosi (che ci sarà, è solo una questione di tempo) non saranno certo i contadini ma i diseredati urbani, quelli che stanno a contatto di gomito con la civiltà capitalistica più scintillante e degenerata, che vivono nelle baraccopoli all'ombra dei grattacieli e che altrove hanno già mostrato di saper fare meglio dei proletari d'industria americani ed europei. Sarà l'inizio, come paventa anche chi studia le modalità delle guerre future: la miccia sarà accesa dalle masse che vivono nell'immensa banlieue del mondo; il primo impatto sociale sarà puramente distruttivo, senza rivendicazioni che si possano ricondurre agli istituti esistenti di integrazione sociale. Poi dovrà esserci la saldatura con il proletariato organizzato.

Il Sudamerica è un'area vitale della rivoluzione, la sua struttura sociale predominante è molto avanzata e la potenzialità di lotta anche.

(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 22 - dicembre 2007.)

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