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I sindacati e le lotte di classe

Parte prima

Appunti per venerdì 16 luglio 1999

1. I difensori del Santo Sepolcro Nove gentiluomini, tra cui Goffredo di San Onier ed Ugo dei Pagani, nell’anno 1118 d.C. fondarono un ordine religioso militare, l’Ordine dei Templari, allo scopo di soccorrere i pellegrini ed i mercanti in visita nella Terra Santa. Circa duecento anni più tardi, nel 1312, il papa Clemente V soppresse questo ordine, o per meglio dire, fece passare a miglior vita i custodi del S. Sepolcro, aiutandoli ad abbracciare anzi tempo la divina Trinità con tutti i suoi angioletti.

2. L’Aventino della classe proletaria

La plebaglia di Roma era solita rifugiarsi sull’Aventino, al fine di ottenere dei miglioramenti salariali dai patrizi padroni. In una di queste volte un patrizio riuscì a convincere i lavoratori a riprendere la produzione, così riportano le leggende, appellandosi all’organicità delle parti sociali: chi lavora svolge un compito nell’urbe romana tanto quanto chi governa; c’è chi lavora e chi mangia, chi sfrutta e chi è sfruttato; il tutto in un sistema organico, perfetto ed armonioso.

Mai insegnamento più profondo ci proviene da così lontano: quando la classe al potere vuole attenuare gli effetti della lotta di classe fa appello agli interessi nazionali, interessi di tutti, ombrello sotto cui tutti trovano posto, per ripararsi dalle piogge dell’inflazione, della stagnazione, della stagflazione etc. etc. etc., insomma di tutti quei danni che più scientificamente si possono ricondurre all’estorsione di plusvalore e alla caduta del saggio di profitto.

Oggi, però, l’Aventino è intasato da macchine e palazzi; a malapena si riesce a distinguere la collinetta dal resto della città; nulla impedirebbe all’armata proletaria di impossessarsi del Senato della Borghesia. Oggi non ci sono più barbari; le mezze classi si assottigliano e persino i borghesi non se la passano tanto bene, espropriati come sono dal loro stesso Capitale. Eppure, nonostante la semplicità della situazione, la chiarezza delle parti, la classe non si muove. O forse è più corretto dire che al procedere della rivoluzione il popolino sembra essersi dimenticato perfino di cosa vuol dire difendere i propri interessi di classe, e all’Aventino preferisce le gite al mare o in montagna.

3. n+1 > n. Peano, per poter spiegare che cosa era la matematica tradizionale, individuò tre idee primitive (0, numero e successore) e cinque proposizioni primitive. Così facendo costruì l’impianto del modello matematico, omogeneo al suo interno e sufficiente a sé stesso per la sue successive evoluzioni. Modello quindi chiuso, cioè non c’è bisogno di aggiungere altre informazioni dall’esterno per spiegare i fenomeni osservabili all’interno del "mondo matematico". Delle cinque proposizioni tre ci interessano:

1. il successore di un numero è un numero;
2. due numeri non hanno lo stesso successore;
3. ogni proprietà dello 0 [lo 0 è un numero – altra proposizione], come anche del successore di ogni numero che abbia quella proprietà, è di tutti i numeri.

Semplificando potremmo dire che in questo modello matematico la continuità degli elementi interni allo stesso consiste nella loro natura, cioè non ci possono essere dei salti, delle trasformazioni radicali da un X ad un Y, tali per cui Y sia completamente diverso da X. Non solo ma possiamo avere una ed una sola successione di numeri da un N iniziale, cioè se esiste N esisterà anche N+1 ma anche N-1. Infine se conosciamo tutti gli aspetti dell’N di oggi, possiamo leggere le proprietà che avrà N+1 in futuro.

Possiamo dire che questo vale anche per le scienze sociali ed in particolare per l’evoluzione delle classi e dei loro rapporti di forza?

4. Il motore a scoppio della storia

"La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. …oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta." [K. Marx – F. Engels (1848), Il Manifesto del Partito Comunista]

Per le scienze naturali il modello di Peano è un modello che funziona, cioè consente di avere risultati osservabili e ripetibili, date delle premesse iniziali. In astronomia, per esempio, la posizione dei pianeti è prevedibile, date alcune conoscenze iniziali. E’ possibile addirittura dimostrare scientificamente l’esistenza dei pianeti, senza per questo riuscire ad osservarli; siamo cioè al superamento dei cinque sensi come strumento di ricerca ed esplorazione della natura.

Se lo stesso modello fosse applicabile al comportamento delle società e degli individui avremmo in mano uno strumento di analisi e di previsione formidabile e frustrante allo stesso tempo, perché qualunque ipotesi e sforzo di cambiamento dello stato di cose presenti sarebbe vano. Non siamo cioè nel campo del determinismo puro, e per quanto ne sappiamo solo la fantascienza di I. Asimov applica un tale meccanicismo ai fenomeni umani. Marx ed Engels, nell’illustrare la dinamica della storia, puntano l’attenzione sulla lotta tra le classi. Lo scontro tra oppressi ed oppressori non è statico, non si esprime in modo determinato sia nella forma che nel risultato; in alcuni momenti può essere più appariscente in altri più nascosto; la lotta c’è sempre ed il suo esito non è scontato. La sua dinamica, la tensione che si determina tra le parti in lotta, può sfociare nella rovina della società, nella distruzione di tutto. L’esplosione del cambiamento deve essere controllata, così come per il pistone di un automobile, la violenza ed il cambiamento che ne consegue può condurre ad un progresso o all’incendio della società. La nostra corrente, coerentemente con quanto dimostrato da Marx, ha affermato, nella riunione di Milano del 1952, che la storia delle organizzazioni delle risorse produttive non procede in modo continuo e graduale, ma con una serie di distanti successivi balzi in avanti. Sono vere e proprie catastrofi. Intanto però sono balzi in avanti, cioè indietro non si torna e non per una scelta volontaristica, ma perché le forze produttive crescono e si sviluppano, fino al punto in cui gli elementi sovrastrutturali non diventano delle catene da rompere, degli ostacoli da superare per liberare lo sviluppo delle stesse forze. La storia, cioè, procede sì in avanti, ma non linearmente, bensì con picchi e fratture e balzi improvvisi.

5. E’ già nato il superuomo?

Alcuni risultati scientifici che la borghesia ha ottenuto in questi due, tre secoli di dominio, sono appannaggio di tutta l’umanità e non sarà certamente il comunismo a distruggere quello che di buono, o per meglio dire quello che di funzionale, abbiamo a disposizione. Gli scienziati, utilizzando le tecniche messe a loro disposizione dalle forze produttive, clonano cellule animali ed umane senza alcuna difficoltà. Per quanti sforzi possano però fare nel riprodurre organi, primo atto alla loro commercializzazione, non sono ancora riusciti a rigenerare completamente l’uomo, con i suoi appetiti, le sue aspirazioni, le sue paure. L’uomo è ancora quello con la u minuscola, abituato, anzi necessitato a rispettare i dettami di dio: "…Con dolore ne [dalla terra] trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita….Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai" [Gn 3,17-19]. La Sinistra ha, meno poeticamente, ma più materialisticamente, nel 1951 ribadito che "Nel singolo si va dal bisogno fisico all’interesse economico, all’azione quasi automatica per soddisfarla….Nella classe il processo è lo stesso: solo che si esaltano enormemente tutte le forze di direzione concomitante." [Rapporto alla riunione di Roma del 1° aprile 1951].

6. Il sindacato è morto: viva il sindacato!

Ora non è che la classe di per sé, essendo espressione degli interessi comuni, esprima naturalmente queste istanze in lotta contro la classe dominante. Occorre che sorga la coscienza di classe, essere classe in sé stessa. Per Marx la lotta tra classe e classe è lotta politica, ed essa, portata alla sua espressione più alta, è una rivoluzione totale [da "La Miseria della Filosofia"– 1847]. Allo stesso tempo, però, la classe potrebbe non aver ancora acquisito un’organizzazione per condurre la lotta decisiva contro la potenza dominante, per trasformare le istanze economiche immediate in rivendicazioni politiche; per elaborare, analizzare e potenziare tutti gli stimoli: il partito di classe, la sola organizzazione in cui si abbia il capovolgimento della prassi.

L’assenza di un partito formale e di un’organizzazione intermedia, quale il sindacato, che guidino il proletariato verso la lotta finale contro la borghesia, attraverso rivendicazioni economiche prime, e politiche poi, non inficia il fatto innegabile che le esigenze economiche individuali esistano; soltanto è assente una coalizione di individui, pronta a difendere i propri istinti economici primordiali. La divisione tra i lavoratori porta inevitabilmente alla loro concorrenza.

Dalle lotte risorge sempre l’araba fenice

Ordine Nuovo

Il Fascismo

Il modello chiuso e la crescita dell’informazione interna la modello sociale

 

Parte seconda

La nascita del movimento di classe

Per analizzare un fenomeno sociale, quale l’evoluzione del sindacato, occorre procedere con metodo scientifico, ripercorrendone la storia. Questo non per un semplice esercizio didattico o come sfoggio di erudizione. Il ricorso al passato non è motivato dall’incapacità di analizzare il presente e di prevederne il futuro; tutt’altro l’analisi di un processo sociale nella storia, il suo inserirlo ed analizzarlo nella globalità della Storia umana, ci consente di cogliere gli elementi caratteristici del fenomeno stesso, gli invarianti che, presenti nel passato, si manifestano nel presente e si sviluppano nel futuro.

Il ricorso all’analisi scientifica ci aiuterà quindi ad analizzare l’evoluzione del sindacato ma, ad una prima sua applicazione, ecco che sembra emergere subito una contraddizione, o meglio la difficoltà di circoscrivere e delimitare il campo d’analisi. Se infatti dobbiamo guardarci indietro, nella storia, per riscoprire i primi sintomi di sindacalismo, è altresì vero che saremmo miopi se restringessimo la nostra analisi ai soli momenti della storia in cui si parla per la prima volta di Sindacato: non è la parola, infatti, che dà vita alla realtà, ma semmai essa ne descrive il senso a chi già ne comprende il significato. Per poter parlare di qualcosa quel qualcosa deve già esistere, ma la sua descrizione può avvenire con terminologie diverse. Il sindacato, quindi, acquisisce delle precise connotazioni nell’età moderna, a partire dallo sviluppo del Capitalismo, ma in quanto fenomeno, in quanto associazione economica di professione, si manifesta in ogni epoca storica: se la storia è lotta di classe, se le classi si contrappongono per il dominio sui mezzi di produzione, se le organizzazioni a difesa del proprio benessere economico sono le prime forme di autorganizzazione che i singoli individui appartenenti ad una stessa classe si danno, allora nella storia delle classi troviamo anche la storia dei sindacati, o meglio di quelle organizzazioni costruite a difesa delle professioni, cioè dei possessori dei mezzi di produzione. Non ci deve quindi spaventare il constatare che il fenomeno sindacato accompagni la storia delle civiltà: solo in laboratorio, in un modello chiuso, i fenomeni sono circoscrivibili, e lo devono essere per forza se vogliono essere osservabili e ripetibili; per i fenomeni sociali nulla ci sarebbe di più sbagliato. Armiamoci quindi di santa pazienza e sfogliamo il libro della Storia.

Dobbiamo dare per scontato che si utilizzi il bagaglio teorico della Sinistra: non possiamo in questa sede preoccuparci di smentire le teorie borghesi sul ruolo del sindacato e sulle cause sociologiche del suo apparire. Già Marx e poi la Sinistra hanno superato il semplicismo borghese che considera le organizzazioni come il frutto della volontà individuale, come la risposta collettiva ad un problema comune. Il superamento di tale concezione non avviene rinnegando le analisi capitalistiche, la scienza marxista non è altro dalla realtà: il superamento è un oltrepassare i limiti raggiunti dall'analisi borghese, è un andare oltre, comprendendo al proprio interno gli elementi di analisi precedenti, per poi superarli e spingersi a spiegare la società, la lotta di classe, la dinamica storica con uno strumento scientifico più potente.

In questo caso non si afferma la scomparsa dell’individuo, o che esso non conti nulla nella storia, assorbito dal grande anonimato della massa. Esso riacquista il ruolo che gli spetta, nella sua giusta dimensione storica, né dio né anonimo granello in un mucchio di sabbia. L’individuo, l’uomo si caratterizza dall’animale perché produce, perché non si limita a raccogliere ciò che trova, ma costruisce gli attrezzi per incrementare il proprio benessere. Anzi, a differenza di altre specie animali, più dotate nei sensi e nel corpo, egli non può fare a meno di costruire, di ingegnarsi strumenti di caccia, prima, di coltivazione poi. La spinta alla sopravvivenza muove l’uomo alla ricerca di migliori forme di sostentamento: non basta più la raccolta o la caccia con le mani, ma l’attrezzo nasce e si sviluppa per consentire la riproduzione della specie. L’individuo, quindi, dalla nascita alla morte, deve rincorrere la sopravvivenza, deve lottare con la Natura per riprodurre sé stesso. La spinta inizialmente lo conduce ad una lotta solitaria ma poi, la comunanza di interessi con altri individui, la polarizzazione dei bisogni, la spinta della necessità determina un’azione comune con altri individui, anche se ancora non cosciente, per la salvaguardia degli interessi economici comuni.

La classe operaia.

Possiamo affermare che siamo in presenza della nascita di una classe sociale? Che cos’è una classe sociale? Applicando un modello astratto, di natura sociologica, potremmo descrivere la classe come un insieme di elementi distinti secondo una loro caratteristica tipica (per esempio la classe dei numeri interi, la classe dei mammiferi). Per la scienza marxista sarebbe riduttivo dividere gli individui secondo una classificazione scolastica, meccanicistica. La società umana è un soggetto in movimento, non un mero elemento statistico. L’analisi deve comprendere lo svolgere del tempo, deve essere dialettica, cioè analizzare gli elementi che compongono la classe e i rapporti di reciproca influenza. Non bisogna quindi fermare l’analisi della classe ad un periodo storico particolare e ricercare le caratteristiche tipiche degli individui che in quel momento ne fanno parte. La classe è un elemento dinamico e quindi dinamici sono i suoi elementi. L’attenzione va quindi posta ai caratteri salienti di questo movimento. La ricerca non sarà sui numeri di una classe, per cui ad una diminuzione del numero corrisponda una diminuita forza di classe, ma sulla comunanza di interessi di una parte di individui della società, posti in una certa condizione dal sistema di produzione.

Le origini della classe operaia.

Nella società pre capitalistica la produzione avveniva per soddisfare i bisogni primari. Esisteva il mercato ma si trattava di scambi esigui per volume di beni e per valore. La società era prevalentemente agricola ma, nella seconda metà del settecento, si assistette in Inghilterra, e poi ne resto dell’Europa continentale, allo sviluppo della tessitura, grazie a nuove invenzioni che permisero un maggior rendimento delle macchine. In precedenza i tessuti venivano prodotti da famiglie di agricoltori- tessitori, che utilizzavano parte del loro tempo per la produzione artigianale dei capi di lana e di cotone. Con l’avvento dei nuovi macchinari, invece, i lavoratori si dedicarono sempre più a questa produzione, dato che era cresciuta la loro produttività e contemporaneamente la domanda di beni. Ciò produsse anche ad una maggiore divisione del lavoro, con una specializzazione tra chi tesseva e chi filava. Era nato il proletariato industriale. Come possiamo ben vedere non si è trattato di una nascita improvvisa: esistevano le condizioni oggettive per lo sviluppo del fenomeno e il progredire della tecnica, legato allo sviluppo del commercio ed alla crescita demografica, con conseguente crescita dei consumi e quindi della domanda fecero il resto.

Nel tempo furono introdotti continui miglioramenti nella produzione, come il telaio a vapore, miglioramenti che portarono a produrre a prezzi più bassi e con meno operai. Con le macchine si sostituivano uomini; con il progresso tecnologico aumentò l’espulsione di lavoratori dalle fabbriche, si assistette alla nascita di una grande massa di uomini senza altri mezzi di produzione se non la propria forza lavoro. Ciò portò ad una sempre maggiore forza lavoro di riserva, uomini e donne in attesa di essere chiamati nelle fabbriche, sottostanti ai tempi sempre più serrarti della produzione. Il proletariato crebbe di numero e si depauperò sempre più, con una maggiore insicurezza sul lavoro. Aumentò la migrazione dalle campagne alle città. Il processo procedette sotto la spinta delle crescenti esigenze industriali di avere manodopera pronta e a buon prezzo nelle immediate vicinanze delle fabbriche, che sorsero in prevalenza nei grandi agglomerati urbani.

Le prime lotte di classe.

Le trasformazioni industriali portano quindi a grandi sconvolgimenti sociali, con lo sviluppo tumultuoso della classe operaia e della borghesia. Accanto però a questo sviluppo crebbe di pari passo l’antagonismo di classe: le esigenze contrapposte delle due maggiori classi sociali, il proletariato e la borghesia, per l'appunto, non potevano trovare una conciliazione, in quanto lo sviluppo economico dell’una produceva immancabilmente all’impoverimento dell’altra. In termini più oggettivi la contrapposizione non è determinata da motivi etici o storici, bensì da una normale e sempre presente legge di mercato. In precedenza, infatti, a livelli esigui di produzione e di domanda di beni di consumo corrispondeva anche una bassa domanda di forza lavoro da parte delle nascenti industrie manufatturiere e i lavoratori erano impiegati per lo più, come abbiamo visto in precedenza, in attività agricole o attinenti ad esse. Con lo sviluppo industriale e la crescita della domanda di merci si creano le condizioni per lo sviluppo del mercato del lavoro: il borghese va alla ricerca di nuovi mercati, è spinto dalla necessità di aumentare la propria produzione e quindi ricerca la manodopera necessaria alla sua produzione; questa richiede sempre più investimenti in macchinari sempre all’avanguardia e il capitale necessario per questi nuovi investimenti diventa sempre più imponente, e tutto ciò porta alla conseguenza di avere una sempre maggiore concorrenza tra capitalisti, con un aumento della forza lavoro di riserva.

Ora in un mercato di beni tradizionali, il prezzo del bene di scambio è dato dalla quantità di lavoro necessario alla sua produzione. Questo vale anche per quel particolare bene che è la forza lavoro, venduta dai proletari ai borghesi, gli acquirenti. Anche in questo caso il valore è determinato dalla quantità di lavoro necessaria alla sua produzione, quindi al suo sostentamento. Il salario che viene ad essere determinato non è giusto o sbagliato; non possiamo dare un giudizio di equità, trattandosi di un’analisi storico-scientifica, sulla determinazione del valore del salario in un determinato momento. In un mercato concorrenziale del bene forza lavoro le due parti che effettuano lo scambio dovrebbero partire dalle stesse condizioni di forza contrattuale: solo così lo scambio viene considerato equo da entrambe le parti e non c’è coercizione ma scambio. In realtà mentre per il capitalista esiste sempre la possibilità di scegliere in un mercato dove l’offerta di forza lavoro è ampia e quindi può permettersi di scegliere tra diverse opzioni, il lavoratore non ha altra alternativa che vendere la propria forza lavoro alle condizioni proposte dal capitalista, in quanto l’alternativa è quella di non ricevere i mezzi di sussistenza, quindi la povertà e la fame.

Le prime organizzazioni di lotta.

Dato che la determinazione del prezzo del salario dipende dai beni necessari alla riproduzione della forza lavoro, e questi beni variano a seconda del tempo e dello spazio, non è possibile determinare una volta per tutte il suo valore assoluto, ma questo varierà a seconda dei rapporti di forza dei soggetti operanti lo scambio salario-forza lavoro. Allora l’aggregazione dei lavoratori ha l’effetto di accrescere la forza contrattuale dei proletari, riducendo la disgregazione generata dalla forza lavoro di riserva. Questa modalità di lotta non annulla la legge del mercato, nel senso che l’aggregazione, l’accordo tra gli appartenenti ad una stessa classe, la lotta comune per ottenere condizioni migliori, è una pratica accettata e disciplinata da tutte le forze sociali, in quanto non sono queste aggregazioni che rompono la struttura produttiva, ma esse determinano solo uno spostamento temporaneo della bilancia a favore ore dei lavoratori, ora dei capitalisti; in un’alternanza che, per le ragioni viste sopra, è sempre impari per il salariato.

Già nel 1824 in Inghilterra veniva riconosciuta ed accettata l’azione delle Trade Unions, i sindacati britannici. Esse contribuirono certamente a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e vennero appoggiate da Marx e da Engels, ma questi sostenevano anche che l’azione dei sindacati non era sufficiente per cambiare la realtà delle cose: i lavoratori salariati continuano ad essere schiavi del salario e della necessità di vendere al miglior offerente la propria lavoro, finché esisterà questo sistema di produzione. Finché i lavoratori si adopereranno, singolarmente o in organizzazioni di base, all’interno dei sindacati ufficiali o creando nuove organizzazioni, per ottenere un prezzo più elevato della merce che è in loro possesso, la forza lavoro, ogni sforzo risulterà essere vano, di breve durata, perché la tendenza storica porta alla naturale espulsione di forza lavoro dal sistema produttivo, quindi ad un aumento dei disoccupati con conseguente crescita dell’offerta di forza lavoro ed una naturale diminuzione del suo valore. Detto alla buona: più passa il tempo più le condizioni lavorative dei salariati sono destinate a peggiorare.

Che fare.

Se la lotta per migliori condizioni di vita è destinata all’insuccesso, cosa resta da fare alla classe operaia ed al militante comunista? Messa in questi termini la domanda è scorretta, perché presuppone che ci sia qualcosa da fare, e che il problema sia nell’individuazione dello strumento migliore per il raggiungimento dell’obiettivo; ma così ricadiamo di nuovo nel volontarismo, buttandoci alle spalle le analisi marxiste fatte dalla Sinistra. Innanzitutto le lotte operaie, sia che prendessero forma di lotte sindacali, sia che assumessero altre forme più o meno radicali, come il luddismo, ci sono sempre state, da quando sul mercato è stata messa a disposizione degli acquirenti un’altra merce, la forza lavoro, le cui oscillazioni di prezzo sono oggetto di varie valutazioni, come abbiamo visto sopra. Non è che affermiamo che siccome le lotte ci sono sempre state allora queste sono giuste ed è giusto lottare sempre; è nella natura della merce lavoro che la trattativa per la determinazione del suo valore assume connotazioni conflittuali. All’inizio della rivoluzione industriale le lotte erano incentrate sul rifiuto di accettare il progresso tecnologico: l’innovazione portava ad un aumento della produzione per addetto e quindi anche all’espulsione di braccia dalle fabbriche. La protesta assunse quindi le caratteristiche di una resistenza allo sviluppo scientifico-tecnologico, con distruzioni di macchine ed assalti alle fabbriche. Oggi tali proteste hanno un qualcosa di folcloristico e chiunque non può che giudicarle come movimenti di resistenza assolutamente anti storici, cioè destinati alla lunga al fallimento: le macchine venivano comunque introdotte e lo sviluppo tecnologico andava avanti. Successivamente gli operai si organizzarono in associazioni segrete, al fine di ottenere dei migliori risultati con l’unione delle forze, ma il loro sviluppo e successo fu sempre molto modesto e la risposta della borghesia fu quella di acconsentire a queste organizzazioni di operare apertamente nella legalità; quella che viene passata come una vittoria della classe operaia in realtà è una vittoria della classe borghese, perché riporta lo scontro ad un livello di gioco delle parti, assolutamente previsto dalle forze del mercato. Queste associazione cercarono allora di contrapporre alla forza della borghesia la forza dell’unione di classe, con la fissazione di contratti collettivi di lavoro, tentando di legare la crescita dei salari alla crescita dei profitti, elevando tutti i livelli salariali in qualunque branca del lavoro, cercando di controllare l’introduzione di nuovi macchinari nel sistema produttivo e sostenendo finanziariamente i disoccupati; tutto questo veniva ricercato utilizzando sempre lo strumento dello sciopero, sia esso generale sia no. La risposta della borghesia è stata semplice: far agire il mercato del lavoro; queste azioni, infatti, possono al massimo mitigare gli effetti brutali del sistema capitalistico, ma non bloccarne la causa. Tanto è vero che le misure adottate dai sindacati descritte sopra non hanno prodotto alcun effetto duraturo in più di un secolo di lotta di classe.

Con lo sviluppo del sistema produttivo anche i rapporti tra borghesia e proletariato assunsero connotazioni diverse. Con il fascismo la borghesia sviluppa il più alto grado di efficienza, rimasto irraggiungibile, rispetto all’utilizzo della macchina statale e del mercato, al fine di produrre quella concentrazione di capitali che altrimenti non sarebbe stata in grado di conseguire. In questa fase i sindacati divennero un pilastro della costruzione capitalistica, più ancora di quanto non avvenisse prima. Per i borghesi questa è chiamata la fase corporativa dello sviluppo economico. Si tratta in sostanza di una concertazione tra lo sviluppo capitalistico ed il tentativo di controllare le richieste salariali provenienti dalla classe operaia. La risposta a questa azione di svuotamento delle funzione del sindacato non fu in un inasprimento dello scontro di classe, ma anzi il modello di Ordine Nuovo, che attribuiva ai comitati di fabbrica un ruolo politico, in sostituzione alla funzione storica del partito di classe, svuotava il proletariato di ogni strumento rivoluzionario, consegnandolo mollemente alla classe capitalistica.

Immaginare oggi di poter tornare indietro rispetto a questo livello di progresso raggiunto dalla borghesia è pura utopia e non possiamo quindi aspettarci di veder rifiorire questi sindacati, vista la loro lunga storia all’interno del mercato capitalistico. Vero è però che la particolarità della merce lavoro, come abbiamo visto, conduce sempre a tensioni sul mercato della sua compravendita, e quindi tensioni sindacali e momenti di una maggiore acutezza della lotta di classe sono sempre possibili e l’atteggiamento che dobbiamo tenere non può che essere conseguente alle analisi scientifiche, i cui risultati sono già da tempo bagaglio della storia umana: non siamo cioè in presenza di un fenomeno sociale nuovo caratterizzato da elementi diversi dal passato, la storia sociale non si comporta come i funghi in un bosco, dove un alito di vento, una pioggia fanno nascere dalla notte al mattino una miriade di altri funghetti; quello che dobbiamo fare è riprendere pari pari i ragionamenti scientifici di Marx, Engels e della Sinistra. L’evidenza storica è da sola sufficiente a dimostrare la fondatezza delle analisi di cui sopra. Per capire quindi gli avvenimenti del presente ed individuare le tendenze del futuro non dobbiamo inventarci nulla di nuovo. Per concludere vediamo invece cosa dicono altri su questo tema, altri che si richiamano anch’essi alla tradizione marxista e alla Sinistra, ma che sembrano aver dimenticato il metodo marxista.

Primo maggio 1999: Il Programma Comunista ne celebra l’evento con un articolo apparso sul loro periodico; di seguito ne riportiamo alcuni stralci e proviamo a commentarli: "Questi i nostri [per nostri di Programma si intenda "dei comunisti"] compiti: 1)Ripresa della lotta di classe. Ricominciare a difendere con vigore le proprie condizioni di vita e di lavoro, opponendo ai padroni, al loro stato, al capitale nazionale ed internazionale, un fronte di lotta che non conosca divisioni interne per età, località, nazionalità, sesso, categoria, lingua od altro, e ricorrendo ad azioni di lotta le più estese ed organizzate possibili."

Ora non si capisce a quale Marx loro facciano riferimento; forse a quello annacquato e totalmente diverso di un Bertinotti o di un Cossutta. "Ripresa della lotta di classe" e quando mai questa ha cessato di esistere? Forse che la lotta di classe sorge in un determinato momento, all’incendiarsi di una fabbrica, o ad una manifestazione di piazza, e cessa alla firma di un contratto nazionale, con l’avvallo di tutte le forze sociali, stato sindacati ed imprenditori? Questa analisi dei fatti non ha nulla di marxista, semmai assomiglia pericolosamente a posizioni opportuniste: se qualcosa sorge di botto e scompare dalla scena politica con altrettanta velocità forse è perché manca, secondo questi compagni rivoluzionari, un attore nella scena politica, un partito formale che guidi le masse alla rivolta, che spieghi lo stato di cose presenti con la mancanza di una guida certa e sicura: la colpa è individuale o, al massimo, della classe che non riconosce la propria guida: il partito comunista internazionale. E non può essere una scusante quella che tale frase appare su di un volantino adatto per la propaganda, perché intanto se la frase è sbagliata è meglio non scriverla, e poi neppure Marx, in un altro Manifesto, quello del Partito Comunista, si guardò bene dal dire cose del genere anzi, affermò che "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi. …oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta."

La lotta quindi non finisce come se la immaginano quelli di Programma Comunista, né "riprende", tutt’al più il contrasto è meno palese, ma è comunque sempre presente.

Altra affermazione di Programma:

2) Organizzazione permanente dei proletari. Lavorare alla rinascita di organismi in grado di centralizzare, collegare e dirigere le lotte di difesa economica, in aperta opposizione alla pratica sabotatrice dei sindacati tricolori e nella piena comprensione del tradimento consumato, a pieno vantaggio dell’economia borghese, dalle centrali sindacali e dai partiti e partitini opportunisti.

Lavorare alla rinascita di organismi per la difesa degli interessi economici: ecco la missione che spetterebbe ai comunisti. Ma, abbiamo visto, dato che non è possibile modificare lo sviluppo delle forze produttive, non sarà neanche possibile riprendere possesso di uno strumento, i sindacati, che sono stati completamente snaturati dalla loro funzione. Velleitario è anche però invocare la nascita di altre organizzazioni di categoria, come se fosse possibile creare in questa società delle isole felici di comunismo, con la stato attuale delle forze presenti. L’invito alla resistenza contro i soprusi della borghesia non solo è ovvio, ma è anche del tutto inutile, dato che si tratta della sopravvivenza della classe operaia, al quale non ha bisogno di proclami per sentirsi attaccata tutte le volte che tratta per il riconoscimento del valore della sua forza lavoro.

Nella tradizione della Sinistra è sufficiente riprendere un passo da "Teoria ed Azione nella Dottrina Marxista" del 1951, per capire lo sviluppo della lotta di classe: "Al di sopra del problema contingente di questo o quel paese di partecipare al lavoro in dati tipi di sindacato ovvero di tenersene fuori da parte del partito comunista rivoluzionario [ricordiamoci che noi dobbiamo funzionare come se fossimo il partito rivoluzionario] gli elementi della questione fin qui riassunta conducono alla conclusione che in ogni prospettiva di ogni movimento rivoluzionario generale non possono non essere presenti questi fondamentali fattori: 1) un ampio e numeroso proletariato di puri salariati; 2) un grande movimento di associazioni a contenuto economico che comprenda un’imponente parte del proletariato; 3) un forte partito di classe, rivoluzionario, nel quale militi una minoranza dei lavoratori ma la quale lo svolgimento della lotta abbia consentito di contrapporre validamente ed estesamente la propria influenza nel movimento sindacale a quella della classe e del potere borghese".

4)Sciopero generale senza limiti di tempo e spazio Riconoscere la necessità di opporre forza a forza – non dunque con imbelli fiaccolate e raduni inconcludenti, ma riappropriandosi dello sciopero generale come arma di lotta sia economica che politica e colpendo con essa l’organizzazione capitalistica nel suo punto più delicato: alla fonte stessa del profitto, la produzione; affasciando cioè i lavoratori di tutte le categorie e località e tornando così a sentire la propria forza collettiva, invece della frustrazione derivante dall’isolamento, dalla frammentazione, dalla passività….