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Sulla propaganda

Definire che cosa vuol dire fare propaganda è un compito quanto mai utile. Inevitabilmente, i compagni che si avvicinano, pongono questa questione, i cui confini ondeggiano tra l'attivismo, sia pure travestito, e la concezione che ne vede la sostanziale inutilità di fronte a compiti teorici ben più importanti. Quasi inutile dire che entrambi i modi di affrontare il problema sono profondamente sbagliati e sottintendono una cattiva comprensione del rapporto tra la teoria e la prassi della scienza marxista.

Le Tesi della frazione astensionista del PSI - maggio 1920, III sezione, punto 3 sostengono:

"Attività fondamentali del partito sono la propaganda e il proselitismo basato, per l'ammissione dei nuovi aderenti, sulle maggiori garanzie. Pur basando il successo della propria azione sulla diffusione dei suoi principi e delle sue finalità, e pur lottando nell'interesse della immensa maggioranza della società, il movimento comunista non fa del consenso della maggioranza una condizione pregiudiziale per la propria azione. Criterio sull'opportunità di eseguire azioni rivoluzionarie è la valutazione obiettiva delle forze proprie e di quelle avversarie, nei loro complessi coefficienti di cui il numero non è l'unico né il più importante". (C.n.)

E al punto 4 si legge: "Il partito comunista svolge un intenso lavoro di studio e di critica, strettamente collegato all'esigenza dell'azione ed all'esperienza storica, adoperandosi ad organizzare su basi internazionali tale lavoro. All'esterno esso svolge in ogni circostanza e con tutti i mezzi possibili l'opera di propaganda delle conclusioni della propria esperienza critica e di contraddizione alle scuole e ai partiti avversari. Soprattutto il partito esercita la sua attività di propaganda e di attrazione tra le masse proletarie, specie nelle circostanze in cui esse si mettono in moto per reagire alle condizioni loro create dal capitalismo, ed in seno agli organismi che i proletari formano per proteggere i loro interessi immediati.". (c.n.)

E, ancora, nel progetto di tesi per il III congresso del partito comunista presentato dalla sinistra - Lione 1926, 3° paragrafo, è dichiarato: "L'attività del partito non può e non deve limitarsi o solo alla conservazione della purezza dei principi teorici e della purezza della compagine organizzativa, oppure solo alla realizzazione ad ogni costo di successi immediati e di popolarità numerica. Essa deve conglobare in tutti i tempi e in tutte le situazioni, i tre punti seguenti:

a) la difesa e la precisazione in ordine ai nuovi gruppi di fatti che si presentano dei postulati fondamentali programmatici, ossia della coscienza teorica del movimento della classe operaia;

b) l'assicurazione della continuità della compagine organizzativa del partito e della sua efficienza e la sua difesa da inquinamenti con influenze estranee ed opposte all'interesse rivoluzionario del proletariato;

c) la partecipazione attiva a tutte le lotte della classe operaia anche suscitate da interessi parziali e limitati, per incoraggiarne lo sviluppo, ma costantemente apportandovi il fattore del loro raccordamento

con gli scopi finali rivoluzionari e presentando le conquiste della lotta di classe come ponti di passaggio alle indispensabili lotte avvenire, denunziando il pericolo di adagiarsi sulle realizzazioni parziali come su posizioni di arrivo e di barattare con esse le condizioni della attività e della combattività classista del proletariato.....Scopo supremo di questa complessa attività del partito è preparare le condizioni soggettive di preparazione del proletariato nel senso che questo sia messo in grado di approfittare delle possibilità rivoluzionarie oggettive che presenterà la storia, non appena queste si affacceranno, ed in modo da uscire dalla lotta vincitore e non vinto.".

Per finire questa lunga carrellata di citazioni, riportiamo il punto 8 delle tesi del 1965 (Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole): "Dato che il carattere di degenerazione del complesso sociale si concentra nella falsificazione e nella distruzione della teoria e della sana dottrina, è chiaro che il piccolo partito di oggi ha un carattere preminente di restaurazione dei princìpi di valore dottrinale, e purtroppo manca dello sfondo favorevole in cui Lenin la compì dopo il disastro della prima guerra. Tuttavia, non per questo possiamo calare una barriera tra teoria e azione pratica: poiché oltre un certo limite distruggeremmo noi stessi e tutte le nostre basi di principio. Rivendichiamo dunque tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i rapporti reali di forze lo consentono". (c.n.)

Vediamo, quindi, che la propaganda è considerata uno strumento irrinunciabile della vita del Partito. Rinunciare all'azione pratica vuol dire, almeno entro un certo limite, rinunciare alle stesse basi programmatiche sulle quali si fonda la nostra vita in quanto aderenti a una teoria che si propone il superamento dello stato di cose presenti.

Il problema, di facile enunciazione ma di difficile comprensione, è quello di valutare dove la propaganda è uno strumento di lotta e di educazione e dove diventa un'attività finalizzata al "fare" fine a se stesso, all'attivismo, "terreno di coltura di tutti i chiodi e fissazioni che affliggono ricorrentemente il movimento operaio". Il problema dell'attivismo, tra l'altro, non è un prodotto dell'oggi (anche se la degenerazione della III Internazionale e tutto quello a essa connesso ne hanno accentuato alcune caratteristiche nella cultura politica odierna); già Engels ne tratta in un suo articolo in cui si sottolinea come dopo la sconfitta della rivoluzione, in periodi di controrivoluzione, dunque, si raddoppia l'attività, si intensificano gli sforzi tesi a una ripresa della congiuntura favorevole. Un esempio, magnifico quanto disgraziato circa al contenuto, di quanto stiamo dicendo, lo troviamo nella relazione che Bucharin fece in sede di esecutivo allargato dell'Internazionale Comunista (25 febbraio 1926) in cui, contrapponendosi a Bordiga, spaccia per metodo marxista l'adattare alla realtà concreta la lotta (ovvero, adeguare alle varie circostanze la tattica rivoluzionaria); mentre Bordiga, astraendo dalla situazione, si "contenta di coniugare il verbo: fare la rivoluzione" e "si pone, così facendo, fuori dal marxismo".

Noi abbiamo il grande vantaggio di sapere come è andata a finire e, pur se saremmo stati oltremodo contenti di riconoscere che Bordiga si era sbagliato perché questo avrebbe significato la riapertura di una fase rivoluzionaria e il mantenimento della rivoluzione proletaria in Russia, sappiamo che così non è stato. Ben al contrario. L'adozione del metodo di adattare la lotta alla realtà concreta si è tradotto nel socialismo in un solo paese, la politica interclassista dei fronti popolari, il sostegno alla guerra imperialista, in una parola il disarmo teorico, politico, organizzativo del proletariato.

Su questo dovrebbero riflettere quei compagni che, pur criticando a parole questo tipo di impostazione, la fanno rientrare dalla finestra quando strombazzano con altre parole, quanto detto dallo sfortunato Bucharin in occasione di quell'esecutivo.

Ma, nello spirito di usare i sacri testi e le tesi di partito, come strumenti utili al lavoro di oggi e alle sue esigenze, per evitare ripetizioni pappagallesche e perciò quanto mai inutili, ci sono alcune domande da porre e, di conseguenza, alcune risposte da dare.

La prima è la seguente: le Tesi dicono che bisogna rivendicare tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i rapporti reali di forze lo consentono. Come si valuta quando e in base a quali coefficienti, si produce una tale situazione?

I rapporti di forza, giova ripeterlo, continuano a essere a favore della borghesia, non si vedono all'orizzonte espressioni significative di lotta di classe, l'apatia delle masse continua, ecc. Insomma, i famosi rapporti di forza non consentirebbero proprio un bel niente. Eppure, si devono valutare anche altri elementi: gli accadimenti degli ultimi decenni vanno a confermare l'analisi della Sinistra e danno una serie di verifiche storiche a chiunque non abbia gli occhi e le orecchie foderati di prosciutto. Il campo di attrazione che esercita una corrente politica è rappresentato soprattutto dalla "forza" della sua analisi e del suo patrimonio teorico/politico.

I gruppi marxisti/leninisti, nonché quelli trotzkisti e, perché no, anche quelli della Sinistra nella stragrande maggioranza, sono irrimediabilmente affetti dall'incapacità cronica di essere adeguati ai compiti che la situazione pone. Molti compagni avvertono tutto questo e c'é una ricerca che seppur non ha chiarezza di fondo, apre oggettivamente delle possibilità per la Sinistra che, sempre oggettivamente, fino a pochi anni fa, erano, invece, minime.

Un segnale, significativo di quello che stiamo dicendo, è "l'approdo" alla Sinistra Comunista di compagni che fino a qualche tempo fa, avevano gli stessi pregiudizi e la stessa ignoranza prodotti dal conformismo culturale dell'eclettismo.

Strettamente legato a quanto si diceva sopra, c'é una sconfortante assenza di analisi marxista, nel panorama politico della sinistra para o extra istituzionale. Davvero, la teoria scientifica della lotta di classe è stata trasformata in un piagnisteo concentrico nel quale sembrano essersi smarrite le categorie fondamentali della critica all'economia politica. In tale situazione, seppur diventa difficile pure fare battaglia politica contro le tesi avversarie, la superiorità delle cose che diciamo e della prassi che ci contraddistingue dovrebbe affermarsi.

D'altro canto, ci sono delle espressioni, circoscritte, di scontro di classe: la lotta dei portuali di Liverpool e quella dei lavoratori coreani, non vanno esaltate ma vanno analizzate con attenzione al fine di trarne delle indicazioni rispetto alle forme che assumono i conflitti sociali.

Un'altra domanda che sollecita una risposta, è questa: si parla di un certo limite oltre il quale porre una divisione tra teoria e pratica, significa rinunciare alle stessi basi di esistenza in quanto comunisti. Come si delimita il "certo limite"? Quando un processo è innescato, è molto difficile per chi lo vive dall'interno, percepire cosa non va e in che misura non va. In questo senso, il contatto con l'esterno, è vitale, introduce stimoli e critiche di grande importanza. Se questo contatto non c'é, quando questa interazione non c'é, i problemi sono maggiori.

Lo scopo della propaganda è vario: è uno strumento per farci conoscere, per diffondere la nostra impostazione; è un veicolo di battaglia politica, permette il contatto con altri comunisti che, venendo a conoscenza e trovando interessante il nostro lavoro, possono decidere di lavorare con noi, è uno strumento di educazione rivoluzionaria, ecc..

I compagni di Torino scrivono: "Ogni tipo di attività deve essere subordinata agli scopi che ci prefiggiamo per il futuro e non deve essere mai fine a se stessa...aumentare la nostra forza non in modo qualsiasi ma secondo criteri dati da un'esperienza storica". E ancora: "Se l'attività, intesa come la intendono praticamente tutti, è ridotta all'esistenza di uomini che perpetuano concetti e li riproducono in fotocopia trasmettendoseli gli uni con gli altri, essa non ha nulla di rivoluzionario, è, al contrario, conservatrice. L'attività intesa come la intendiamo noi marxisti è invece rivoluzionaria perché tesa a produrre effetti, non fine a se stessa....". Non è quindi, la perpetuazione dell'esistente, anche se questo è la chiesuola politica, il modo giusto di intendere l'attività ma qualcosa che è tesa a produrre effetti. Questi effetti, lo sappiamo, non sono prodotti dalla volontà ma dall'incontro tra date condizione obiettive che rendono il terreno fertile affinché questi si possano produrre e da quelle soggettive che non devono mancare. In una parola, la propaganda ha lo scopo di "preparare le condizioni soggettive" nelle duplici sequenze che servono.

"..L'infaticabile assiduo lavoro di difesa del patrimonio dottrinario e critico del movimento, la quotidiana fatica di immunizzazione del movimento contro i veleni del revisionismo, la spiegazione sistematica alla luce del marxismo delle più recenti forme di organizzazione della produzione capitalistica, lo smascheramento del tentativo dell'opportunismo di presentare tali "innovazioni" come misure anticapitalistiche, ecc..., tutto ciò è LOTTA, lotta contro il nemico di classe, lotta per educare l'avanguardia rivoluzionaria, è, se volete, lotta attiva, se pure non attivista..".

A questo si deve conformare la nostra attività.