Comunità organiche

Nel corso del nostro lavoro abbiamo caratterizzato la città come forma di vita sociale organica che supera la limitata scala del villaggio. Organica nel senso che esistono dei lavori che sono destinati non al singolo membro della comunità ma alla comunità intera. Per questo aspetto la città non si differenzia affatto dal villaggio, come non vi differiscono molte altre forme di vita sociale (comunità o sette religiose, corporazioni,…). Quindi una forma di vita sociale organica presuppone che la comunità devolva una parte delle sue energie ai suoi stessi bisogni. Viene dunque spontaneo chiedersi quali siano i bisogni della comunità, e come questa riesca a soddisfarli.

Vi sono in primo luogo dei bisogni che la comunità riesce a soddisfare senza interventi esterni e dei bisogni che, al contrario, la comunità può soddisfare solo ricorrendo a qualcuno di esterno alla sua cerchia.

Come bisogno che la comunità riesce a soddisfare da sé va posto al primo posto, per una gran parte del mondo antico, quello della propria difesa, e quindi di un esercito. Sicuramente l’esercito è sempre più indipendente da influenze esterne che non, ad esempio, la religione. Anzi, la religione, piuttosto che elemento fondante dell’individualità di una singola comunità (villaggio o città che sia), è spesso elemento fondante di un’unità interurbana e addirittura interetnica (così, ad esempio, greci ed etruschi, che vivevano in città-"stato" –fino a che punto "stato"?- indipendenti le une dalle altre, avevano i loro santuari panellenici e panetruschi, e sono conosciuti anche i rapporti fra città etrusche, ad esempio, e santuari panellenici, o anche fra la fenicia Cartagine e santuari etruschi, etc. etc.; i santuari erano spesso veri e propri mercati internazionali). Al contrario, né greci (se non per un breve periodo, le guerre persiane) né tanto meno etruschi riuscirono a trovare un’unità militare. Se dunque la religione diventa il maggiore veicolo ideologico dell’internazionalismo mercantile mediterraneo, la guerra rimane un fatto estremamente isolante (come abbiamo visto a Perugina nelle lezioni di Prosdocimi sulle tavole iguvine) e conservativo (in cui si conserva il comunismo primitivo e la engelsiana "democrazia militare"). A questo proposito sarebbe interessante, se solo si potesse, approfondire la questione per quanto riguarda la Valle dell’Indo, dove molto probabilmente la struttura estremamente conservativa dell’esercito non aveva ancora superato la fase degli eserciti gentilizi tipica delle comunità di villaggio, impedendo così il relativo sviluppo tecnico delle armi. Ciò è tanto più significativo vista l’elevata unità raggiunta dai vallindi in molti altri settori (urbanistico, architettonico e artistico in generale, pesi e altre misure a sentir Clarck).

D’altra parte esistono interi settori produttivi che la comunità può soddisfare solo scambiando i propri prodotti contro merce altrui. Ciò avviene ovviamente in tutti quei settori in cui la comunità non è auto-sufficiente. A Roma venivano ad esempio chiamati artisti greci ed etruschi per decorare i templi cittadini. A questo proposito sarebbe interessante disegnare delle "mappe" per capire come si spostavano gli artisti-artigiani girovaghi. Si vedrebbero certamente spostamenti assai notevoli, anche presso popoli primitivi, quando sappiamo che anche i più grandi imperi non erano affatto strutture unitarie bensì agglomerati disorganici di piccole (e piccolissime) comunità organiche. Tutto ciò si spiega con il fatto che l’adempimento dei bisogni che le comunità non potevano soddisfare da sole era appannaggio di personaggi perfettamente esterni alle comunità, e che anzi erano disprezzati dai membri di una comunità. L’estrazione e la lavorazione dei metalli, attività estremamente specializzate (un villaggio non poteva certo permettersi un fabbro permanente), ad esempio, erano viste dagli antichi nordici come prerogativa di personaggi abbastanza ambigui, i nani, che non stavano né dalla parte del bene né dalla parte del male, e che nascondevano nell’ombra delle miniere le loro ricchezze e i magici segreti "tecnici" (o meglio "technici" nel senso greco del termine, da "techne", che oltre a tecnica significa anche arte, e molte altre cose ancora, per cui un mendicante era anch’esso portatore di una "techne"; "techne" che possiamo dunque caratterizzare come l’attributo di tutti quegli ambigui personaggi esterni ad una comunità) che ne sono il presupposto.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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