Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  1 ottobre 2013

#Shutdown Usa

La teleriunione di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata dal commento di alcuni articoli sullo shutdown del governo americano. I membri del congresso non hanno raggiunto, come alcuni prevedevano, l'accordo sul budget federale. Questo significa che le casse dello stato chiudono, bloccando fondi e mettendo in crisi il funzionamento di servizi di pubblica utilità. Commentatori e giornalisti parlano di scelta ideologica da parte dei repubblicani (nel novembre 2014 ci sono le elezioni di metà mandato e il partito cerca di mobilitare la propria base), ma la spaccatura nel congresso è un prodotto della situazione economica generale. Ha poco senso incolpare una parte politica per una crisi di natura non congiunturale. Barack Obama ha dichiarato che garantirà gli stipendi ai militari in missione, si è dimenticato però di dire che circa 800mila lavoratori statali sono senza stipendio. In prospettiva il rischio è il default degli Usa e i dirigenti delle maggiori banche di Wall Street chiedono che si trovi al più presto un accordo. La borghesia non può arrivare a suicidarsi, ma è impossibilitata a comportarsi diversamente.

Quella che fino a poco tempo fa era la normale dialettica tra i partiti, assume oggi aspetti nuovi e può portare a polarizzazioni sociali inaspettate. A destra come a sinistra si sta scherzando con il fuoco: i dati economici dimostrano che lo spazio di manovra è sempre più ridotto e da queste prove di forza potrebbero innescarsi preoccupanti reazioni a catena. Quanto sta accadendo in questi giorni è molto diverso dallo shutdown di 18 anni fa: l'amministrazione Clinton aveva diminuito il debito e l'economia aveva ripreso fiato dopo la deregulation reaganiana. Oggi c'è il rischio che gli Usa vengano degradati dalle principali agenzie di rating internazionali.

Questo è l'ultimo colpo di coda dell'imperialismo nel disperato tentativo di salvarsi. Il piano consiste nell'aumento del plusvalore assoluto a scapito di quello relativo: meno macchine e tecnologia e più sfruttamento di tipo schiavistico. La Germania e il Giappone ci sono riusciti, nonostante quest'ultimo sia da vent'anni in una fase depressiva a crescita zero. Gli Usa non sono esportatori e nonostante questo vendono titoli di stato a mezzo mondo incassando i miliardi di dollari che poi versano alle banche. Queste, che dovrebbero utilizzarli per dare ossigeno all'economia, li reinvestono in cartolarizzazioni, mutui e paccottiglia finanziaria. E' un circolo vizioso che, evidentemente, non può durare a lungo. Dal punto di vista capitalistico hanno ragione i repubblicani a non volere un'amministrazione che continua ad assistere la popolazione. L'alternativa del diavolo è stimolare i consumi distribuendo soldi a tutti, oppure invertire la marcia e puntare sull'impiego massiccio di disoccupati pagati poco e sfruttati al massimo. Milton Friedman proponeva di distribuire valore nella società agendo sui consumi, non è stato ascoltato perché il Capitale è abbastanza autonomo da fregarsene dei governi. I meccanismi della globalizzazione obbligano gli attori statali a foraggiare prima le banche e poi, eventualmente, la popolazione immiserita.

La classe dominante non riesce più a compattarsi intorno agli interessi comuni. Il sistema è fuori controllo e dal 2007 ad oggi tutti gli indicatori economici mostrano che la situazione è peggiorata. Il Capitale anonimo e globalizzato fa ballare gli Stati al suo ritmo e gli esecutivi nazionali sono sempre più inadeguati nella gestione delle crisi mondiali:

"In una situazione che tende a sfuggire di mano alle borghesie nazionali per effetto dell'internazionalizzazione e autonomizzazione del Capitale, il sistema avrebbe bisogno vitale di un controllo economico e sociale planetario. Quello che sta succedendo in Europa con la folle e suicida competizione per la salvaguardia dell'interesse nazionale è lo specchio di quello che succede nel mondo, solo che fuori d'Europa non si teorizza alcuna unità sovranazionale. Perciò si aggiunge un ulteriore livello di contraddizione: sarebbe appunto necessario un controllo planetario, ma quando si tenta di realizzarne almeno dei surrogati, il nazionalismo ha il sopravvento." (Lo Stato nell'era della globalizzazione)

In tale quadro la situazione politica greca è paradigmatica: da una parte i mercati - per mano della Troika Ue-Bce-Fmi - chiedono misure di contenimento dei conti pubblici, dall'altra tali misure deprimono l'economia e provocano tensioni che sfociano in disordini sociali. L'effetto politico-sociale di un'ondata che sta coinvolgendo tutto il mondo e con problemi così omogenei nonostante le particolarità locali, non può essere paragonato a quello di un terremoto, ma a quello dell'energia che si accumula prima di un terremoto. In Italia il capitalismo ha mille anni, è troppo vecchio per ristrutturarsi, negli Usa invece è ancora giovane e potrebbe riuscire nell'operazione di impoverimento della popolazione al fine di ridurre il salario medio. L'America non può permettersi di statalizzare ulteriormente l'economia... di qui la lotta tra la tendenza demo-fascista che punta all'aumento della spesa sociale (i più reazionari sono i democratici, compreso Roosvelt che passa per rivoluzionario ed invece ha impiantato un sistema fascista), e quella "liberista" che punta all'impoverimento di ampie fette di popolazione. E siccome gli Usa fanno da apripista, prossimamente invece delle manifestazioni di Occupy Wall Street, vedremo quelle di Occupy The World.

Si è poi passati a parlare dei timori del mondo per il caos politico in Italia e dell'impatto di questo disordine sulla stabilità dell'Euro. I parlamentari in quota Pdl sono pressati a tutto campo affinché una parte di loro si smarchi da Berlusconi e appoggi Letta. E' importante ribadire che i governi non contano nulla nelle decisioni importanti: il Capitale comanda su tutto e ci sono amministratori occulti che eseguono i suoi ordini. Se il parlamento servisse ad amministrare tecnicamente qualcosa e non soltanto a fare fessi i cittadini, su cinque anni di massima vita non ne dedicherebbe uno alle elezioni e un altro a discutere la legge per costituire se stesso! Fatto il conto delle ore di sbraitamento, si va al di là dei due quinti (Il cadavere ancora cammina). Il parlamento potrebbe essere cancellato domani e le fabbriche andrebbero avanti lo stesso, nel paese non succederebbe nulla. Ma quando la nave sta affondando i topi l'abbandonano e, di fronte ad una dittatura del Capitale che tende ad eliminare i parlamenti, i politici fibrillano per difendere il loro posto di lavoro. A questo punto abbiamo letto un passo da Il piccolo golpe d'autunno:

"Ogni governo nazionale, in quanto comitato degli interessi di borghesie nazionali, è costretto a mediare sul piano internazionale e quindi a scontrarsi per salvaguardare interessi locali. Ciò lo rende totalmente inadeguato ad affrontare gli sviluppi economici e finanziari che si manifestano sul piano generale e globale. Sarà perciò difficile che il nuovo esecutivo italiano possa risolvere una situazione così incancrenita com'è quella nazionale e però collegata al contesto mondiale. Quello che conta, comunque, è la serie di conferme da trarre dalla pressione che i fatti materiali esercitano sulla compagine politica."

Nell'articolo in questione si parla del modello Peccei-Visentini. La grande borghesia dell'epoca aveva provato - in via del tutto teorica - a superare la democrazia parlamentare ipotizzando l'avvento di un modello sociale che funzionasse come la fabbrica. Il principio organizzatore della fabbrica avrebbe dovuto estendersi a tutta la società, coinvolgendo agricoltura, urbanistica, industria, economia, salute, tempo libero. I sostenitori di tale modello non avrebbero accettato la definizione nuda e cruda di società-fabbrica, ma di fatto proponevano un assetto sociale che funzionasse come il mondo della produzione e non come quello della politica. Oggi velleità tecnocratiche di questo tipo hanno poca possibilità di imporsi. Dal punto di vista istituzionale il Presidente Napolitano ha fatto tutto quello che gli era permesso, riuscendo a non ricorrere alle elezioni. Adesso giocherà pesante: un paese come l'Italia non può permettersi di andare troppo in basso nella gestione della "cosa pubblica". È vero che c'è la globalizzazione e per il proletariato non cambia nulla se viene sfruttato da un capitale nazionale oppure da uno estero, ma per la borghesia la vendita di aziende strategiche è un dramma poiché vengono sottratte quote nazionali di plusvalore da settori produttivi.

Nel frattempo i sindacati, non contenti dell'ingovernabilità del paese, chiedono a gran voce di essere governati. Sono sempre più al servizio dello Stato: "Cgil, Cisl e Uil ribadiscono che occorre una buona legge di stabilità che inverta le scelte recessive compiute in questi anni: non si può immaginare un'uscita dalla crisi senza puntare sul lavoro e sulla buona occupazione. Per questo serve un vero Governo del Paese, capace di compiere le scelte necessarie a rispondere alle richieste del mondo del lavoro." La disoccupazione in Italia ha raggiunto livelli da record storico e tutti, da Confindustria al Vaticano, lanciano l'allarme affinché si trovi una soluzione. La Sardegna è una delle regioni più devastate dalla crisi e tutte le categorie, dai pastori agli operai ai disoccupati, sono in stato di agitazione. Sul fronte sindacale un compagno ha parlato delle lotte in corso nel settore della logistica. Il movimento resiste e proseguono le mobilitazioni nel Lazio e nelle Marche. Stufi di essere schiavizzati da cooperative di mafiosi, facchini e corrieri si auto-organizzano e scendono in sciopero. Martedì 1 ottobre, i lavoratori dei magazzini TNT di Fiano Romano sono scesi in lotta bloccando fin dalle quattro del mattino il carico e lo scarico delle merci. Di fronte a una condotta pesantemente arrogante e provocatoria da parte dei capetti della cooperativa, la risposta dei lavoratori è stata decisa. Benché la direzione di TNT avesse dato la disponibilità alla trattativa dopo un'ora e mezzo dall'inizio del blocco, quest'ultimo si è protratto fino alla fine del turno di lavoro. La cosiddetta sinistra sindacale è sparita o comunque si tiene lontana da queste lotte. Invece di partecipare agli scioperi per controllarli e portare gli operai nel sindacato, sta cercando di formare un movimento politico da presentare alle prossime elezioni europee. Anche questo è un segno dei tempi.

Articoli correlati (da tag)

  • Un nuovo tipo di guerra

    La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 21 compagni, è iniziata con il commento del testo "Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura" (1953).

    Con l'analisi di quest'ultimo articolo si chiude la trilogia dei fili del tempo centrati sulla critica al gruppo "Socialisme ou Barbarie", di cui si può trovare traccia negli ultimi resoconti. Ancora oggi è utile ribadire che cos'è la classe per la teoria marxista. Essa non è un ordine e il proletariato non è un quarto stato, caposaldo su cui invece si basano le varie forme di operaismo:

    "La parola classe che il marxismo ha fatto propria è la stessa in tutte le lingue moderne: latine, tedesche, slave. Come entità sociale-storica è il marxismo che la ha originalmente introdotta, sebbene fosse adoperata anche prima. La parola è latina in origine, ma è da rilevare che classis era per i Romani la flotta, la squadra navale da guerra: il concetto è dunque di un insieme di unità che agiscono insieme, vanno nella stessa direzione, affrontano lo stesso nemico. Essenza del concetto è dunque il movimento e il combattimento, non (come in una assonanza del tutto... burocratica) la classificazione, che ha nel seguito assunto un senso statico."

  • Crisi dell'egemonia americana, guerra e marasma sociale

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata dal commento di una video-intervista a Fabio Mini, generale dell'esercito italiano in pensione, incentrata sull'escalation in Medio Oriente e sul ruolo degli Stati Uniti. Secondo Mini, la dottrina militare americana prevede al massimo due fronti di guerra: in questo momento gli Americani sono impegnati in Ucraina (da quasi due anni) e in Medioriente, ma in futuro potrebbe aprirsi un altro fronte nell'Indopacifico.

    Il caos scoppiato in Medioriente ha avuto delle ripercussioni in Ucraina, che non è più al centro dell'attenzione mediatica come prima del 7 ottobre. Adesso l'iniziativa è in mano russa (vedi l'accerchiamento di Avdiivka), mentre alle forze ucraine mancano proiettili, armi e uomini. Inoltre, il sostegno da parte del blocco NATO non è più certo, anche perché potrebbe esserci bisogno di armi e munizioni in altri contesti.

  • Sull'orlo del caos

    La teleriunione di martedì sera, collegati 21 compagni, è iniziata dal commento della situazione politica interna degli Stati Uniti d'America.

    Lo stato federale è in contrasto con lo stato del Texas riguardo alla gestione del confine con il Messico. Il presidente Joe Biden ha affermato che non è competenza dei singoli stati l'amministrazione delle frontiere, e ha intimato al Texas di rispettare la sentenza della Corte Suprema che assegna il controllo dei posti di pattugliamento al governo federale. Ben 25 stati retti da repubblicani hanno espresso solidarietà al Texas, e così pure la Guardia Nazionale texana che ha manifestato la sua fedeltà al governatore repubblicano Greg Abbott continuando a costruire barriere al confine. Funzionari locali texani hanno accusato l'amministrazione Biden di alto tradimento per non aver gestito adeguatamente il flusso migratorio e per aver trascurato la sicurezza delle frontiere.

    Il Texas, stato fondamentale per l'economia americana, ospita una centrale nucleare e depositi di armi nucleari, e da diversi anni perora la causa dell'indipendenza dal governo centrale. Donald Trump ha cavalcato la situazione, dando sostegno ad Abbott e criticando il governo Biden per la politica migratoria (che sta diventando un tema strategico in vista della prossima campagna elettorale). Alcuni osservatori borghesi paventano la possibilità di un'escalation, temono cioè l'avvio di una dinamica che potrebbe andare fuori controllo conducendo alla guerra civile ("Dramma politico o crisi costituzionale? Dove può arrivare il Texas", Limes). Viene alla mente la trama del film La seconda guerra civile americana (1997), dove una problematica legata all'immigrazione scatena meccanismi catastrofici.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email