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  • Sabato, 28 Giugno 2014

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  • Resoconto teleriunione  24 giugno 2014

Fabbrica diffusa e proletari 2.0

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, ha preso le mosse dal commento dell'inchiesta pubblicata dall'Espresso "Noi, i nuovi proletari digitali". Ecco chi sono gli operai 2.0.

Anche in Italia il crowdsourcing (da crowd, "folla", e outsourcing, "esternalizzazione di una parte delle proprie attività") coinvolge ormai molti settori, tra cui quello della produzione e della manutenzione di contenuti multimediali. Spesso spacciato come una conquista in termini di creatività e libertà individuale, in realtà il lavoro "digitale" disegna i caratteri degli operai del nostro tempo, 2.0 come li chiama l'Espresso. Content editor, video maker, sviluppatori, sound designer, ecc., proletari digitali che svolgono mansioni ripetitive e alienanti, spesso sottopagati e con orari di lavoro "elastici", costretti a districarsi, al pari dei compagni "analogici", nella giungla contrattuale che governa il settore. Con il rischio di vedersi corrispondere il salario in moneta virtuale, come fa Amazon, la grande azienda monopolista dell'e-commerce, che compensa i lavoratori impiegati per piccole mansioni di basso profilo, magari da casa, con buoni da spendere sulla propria piattaforma.

Quando s'incontra un programmatore o un web designer, capita che la mente corra alle immagini di ragazzotti in bermuda che, tra una partita a freccette e un tiro a biliardino, danno vita a startup milionarie o app innovative che verranno un giorno acquistate da Facebook. Ma nella maggior parte dei casi ci si trova di fronte ad uno fra i più, anch'egli ingranaggio della catena di montaggio della fabbrica diffusa, per cui la separazione tra tempo di lavoro e tempo di vita è scomparsa e tutto è diventato funzionale al lavoro.

Come abbiamo scritto in Tempo di lavoro, tempo di vita, nelle società pre-capitalistiche il tempo della produzione coincideva del tutto con quello di riproduzione dell'individuo e della specie, e il tempo di lavoro era immediatamente tempo di vita. La società capitalistica, grazie alle macchine, all'organizzazione scientifica del lavoro, al passaggio dall'industria pesante a produzioni sempre più "leggere" e smaterializzate, ecc., ha oggettivamente liberato una parte dell'umanità dalla necessità di lavorare per molte ore. Nella società futura, in cui molte delle occupazioni inventate dal capitalismo non avranno più ragione d'essere perché non ci sarà alcuna disoccupazione da contrastare, tutti i componenti saranno impegnati nella produzione, nella distribuzione in armonia con l'ambiente in cui esse avvengono senza avere la nozione di "costo" e neppure di "valore", e il tempo di lavoro corrisponderà al tempo di vita.

I processi in atto che coinvolgono i settori dell'industria e della finanza mostrano ancora più chiaramente le dinamiche che portano verso questa direzione. Nell'articolo Massimo di centralizzazione abbiamo messo in luce lo sviluppo della capacità autorganizzativa, non solo nella rete internet, ma più in generale nella rete produttiva, dove va scomparendo la figura del singolo padrone e il passaggio alla centralizzazione è reso più facile dallo sviluppo dell'economia virtuale, per cui le merci fisiche lasciano il passo a quelle immateriali e moltissime figure lavorative vengono soppiantate dalle macchine. In un processo di innovazione tecnologica sempre più veloce (La singolarità è vicina, Kurzweil), il capitalismo è oramai diventato un freno insopportabile per lo sviluppo di quelle stesse forze produttive che sono state suo motore propulsivo.

Un intero mondo sta scomparendo sotto i nostri occhi: le relazioni tra gli uomini si dispongono a rete, e Internet, lo specchio fedele di tutto ciò che di positivo e negativo esiste al mondo, ha uno sviluppo enorme. Mai fenomeni della sovrastruttura hanno rispecchiato in modo così netto e visibile la struttura del modo di produzione. Questo è un assunto di Marx: più il Capitale matura, cioè marcia verso la sua disfatta storica, più si rende evidente la sua natura transitoria con la formazione delle strutture adatte alla forma di domani. Basti pensare allo smartphone prodotto da Amazon. Il percorso seguito dalla grande compagnia americana è simile a quello delle altri grandi aziende operanti in rete, le quali, partite da un settore specifico, si sono poi allargate ad altri: Facebook studia "caschi" computerizzati, Google si interessa di "occhiali intelligenti", entrambe puntano sui droni per ingrandire il loro raggio d'azione. Nell'articolo Tutto è in vendita, col telefono di Amazon Giuliano Santoro scrive:

"Ormai da tempo giganti dell'economia digitale Apple, Google, Microsoft ed Amazon combattono una guerra che è cominciata sui monitor e sta tracimando sugli schermi delle televisioni di nuova generazione e sui display dei dispositivi mobili. L'enorme massa di dati elaborata dagli algoritmi pervasivi di Google, ad esempio, costituisce una minaccia per gli affari di Amazon. Come ha spiegato David Streifeld sul New York Times, fino ad oggi la prospettiva era questa: chiunque avesse cercato su Google informazioni sulla farina di cocco, avrebbe ricevuto sul suo apparecchio una comunicazione ogni volta che si sarebbe avvicinato a meno di 50 metri da una determinata catena che vende quel prodotto. Ecco perché Google nel 2011 ha acquistato Motorola e ha sperimentato il telefono Nexus. Adesso, con l'Amazon-Phone, la relazione tra la nostra vita quotidiana e il mercato si annuncia ancora più stringente: puoi acquistare una merce, e riceverla nel giro di poche ore direttamente a casa, ogni volta che la inquadri con la fotocamera o ne digiti il nome. Il mondo circostante diventa un enorme negozio, le mura dei centri commerciali si spalmano nella metropoli come era già avvenuto con i cancelli della fabbrica."

Amazon, col suo telefono, elimina ogni intermediario tra le merci e il cliente, tentando così di imporre definitivamente il predominio nel settore di appartenenza; allo stesso tempo però opera un cambiamento incisivo sul funzionamento del mercato, a cui tutti gli altri si dovranno adeguare. E' il capitalismo stesso che modifica dall'interno elementi fondamentali della sua struttura. Se a questo aggiungiamo l'incessante sviluppo dell'automazione e della relativa capacità sostitutiva dell'uomo, in un contesto di crisi che perdura da otto anni, scorgiamo all'orizzonte il profilarsi di tremende contraddizioni.

In chiusura di teleriunione abbiamo accennato alla mobilitazione prevista (e poi annullata) per l'11 luglio a Torino, e al nuovo allarme di rischio fallimento per l'Argentina.

Saltato il vertice, "viene meno la data di mobilitazione". Così hanno spiegato la cancellazione della giornata di protesta le "realtà torinesi organizzatrici dell'assemblea del 31 maggio". La rete di lotta che nelle settimane precedenti si era messa in moto ed era mano a mano cresciuta, con il lancio di iniziative, assemblee pubbliche e hashtag (#civediamol11) dedicati alla manifestazione, si è così trovata disorientata, rimanendo vittima di un paradosso logico. Da una parte il "movimento" ha delle potenzialità di coordinamento mai viste prima, dall'altra il fenomeno del codismo è duro a morire e si continua a correre dietro alle scadenze imposte dall'avversario.

E' di questi giorni la sentenza della corte suprema degli Usa sul debito dell'Argentina, 1,3 miliardi di dollari, nei confronti di alcuni hedge found possessori di bond e titoli sovrani. La Kirchner e il suo governo stanno tentando di dilazionare il pagamento, mentre la finanza internazionale chiede che il prelievo, al di là del debito stesso, venga garantito dall'aumento della produttività, e cioè dall'intensificazione dello sfruttamento operaio. La situazione non può non avere ripercussioni in borsa, la spirale continua ad avvitarsi su se stessa, e prima o poi, come nel vicino Brasile, il proletariato si metterà in moto.

D'altronde, non si può estrarre da pochi operai tanto plusvalore quanto se ne estraeva da molti. C'è un limite, dato dalla lunghezza non variabile a piacere della giornata lavorativa, oltre il quale non si può andare.

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