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La teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 14 compagni, si è aperta con le notizie sugli uragani che si sono abbattuti sugli Stati Uniti.

I dati a disposizione mostrano un crescendo dei fenomeni atmosferici capaci di provocare ingenti danni e di mettere in pericolo la vita umana. Sarà anche colpa del cambiamento climatico in atto, ma la crescente antropizzazione del pianeta non può che peggiorarne gli effetti. Gli uragani, le "bombe d'acqua", e tutti gli altri eventi "naturali" che si verificano sul pianeta, si trasformano in "drammi gialli e sinistri" non appena coinvolgono territori ad alta concentrazione di manufatti.

Recentemente è accaduto negli Stati Uniti con il passaggio dell'uragano Harvey in Texas e di Irma in Florida. Scenari del genere ricordano quanto successo nel 2005, quando Katrina devastò New Orleans. Allora, mentre i soccorsi non arrivavano e i sopravvissuti erano lasciati in balia di sé stessi, si scatenò una sorta di guerra civile con l'occupazione della città da parte dell'esercito, sostenuto dall'intervento degli uomini delle famigerate aziende militari private. L'episodio ha rappresentato un giro di boa per gli Stati Uniti in termini di controllo in ambito metropolitano, anche per l'utilizzo di mezzi corazzati, droni e mercenari.

Sul tema un compagno ha segnalato l'articolo "I signori dei disastri" di Naomi Klein. In continuità con le tesi presentate nel saggio Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri, la giornalista canadese sostiene che nel capitalismo i disastri diventano motivo di accumulazione, e quindi di profitto, per una parte ristretta della popolazione (l'1%), e di spoliazione per la restante (il 99%). Per dimostrarlo, parte da ciò che accade a Baghdad nel 2003, quando per l'Iraq viene decisa dall'alto una terapia economica d'urto, basata su una deregolamentazione selvaggia intrisa di corruzione e favorita dal clima di emergenza sociale. In quel caso il disastro sociale che colpisce il territorio non origina da uragani o inondazioni, bensì dall'invasione militare da parte delle truppe a stelle e strisce. Se nel 2003 questo succedeva nell'estrema periferia dell'impero, sostiene la Klein, le stesse dinamiche si vedono successivamente nel cuore del capitalismo, e cioè a New Orleans nel 2005, dove tra l'altro operano quegli stessi mercenari (Blackwater) che difendevano l'1% asserragliato nella zona verde di Baghdad.

La teleconferenza di martedì sera, presenti 12 compagni, è iniziata commentando le news della settimana.

Per comprendere la fase di transizione che stiamo vivendo è necessario utilizzare dati quantitativi, come ad esempio il consumo mondiale di grano. Rispetto ad un anno fa il prezzo del cereale è dimezzato e la motivazione è da ricercare nella drastica diminuzione del suo impiego. Se il calo dei consumi arriva ad intaccare l'acquisto di grano, bene di prima necessità per eccellenza, significa che la crisi del capitalismo ha raggiunto livelli avanzati e ovviamente questo ha riflessi anche in ambito militare.

In Turchia sono arrivati a 50 mila gli arresti tra militari, professori, prefetti, giornalisti e attivisti, in una serie di provvedimenti molto drastici che sembrano dar ragione a coloro che ipotizzano si sia trattato di un golpe fasullo per permettere al governo e al suo presidente di fare piazza pulita degli oppositori. L'Economist ha pubblicato un significativo diagramma sul parallelo tra Pil e colpi di stato nel Paese: quando l'indicatore economico scende ecco porsi l'esigenza di un golpe per stabilizzare la società.

Pubblicato in Teleriunioni luglio 2016

Abbiamo già parlato del determinismo e abbiamo una raccolta di semilavorati che un giorno pubblicheremo. Qui ci interessa esplorare il problema sollevato dal concetto di "rovesciamento della prassi" in quanto influenza della volontà (decisione) degli uomini sul corso delle cose.

Un vero e proprio modo di negare il determinismo "meccanicistico"

Ma nello stesso tempo affermare l'indeterminismo?

Fra ontologia ed epistemologia (la realtà è inconoscibile? O ci manca semplicemente dell'informazione su di essa)?

Oggi si tende a considerare l'indeterminismo come aspetto ontologico della realtà

Tanto per far divertire i nostri critici, adopereremo abbondanti risultati scientifici che secondo noi contraddicono e demoliscono l'indeterminismo ontologico.

A che cosa serve tutto ciò? Beh, a che cosa serve l'impianto teorico iniziato con Marx e non ancora messo definitivamente a punto (non lo sarà mai)?

Pubblicato in Materiale storico

La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata discutendo della situazione della Francia nel contesto generale della cosiddetta crisi del capitalismo.

Durante l'ultima giornata di sciopero indetto dai sindacati (#manif17mai), ci sono stati ancora scontri con la polizia a Parigi e in altre città francesi. Hollande ha dichiarato che andrà avanti nell'approvazione della Loi Travail senza se e senza ma. Siccome si è più sensibili alle "conquiste" che vengono tolte, i lavoratori francesi si muovono perchè sentono che certe garanzie stanno sparendo: la nuova legge sul lavoro, fra l'altro, rimette in discussione il modello delle 35 ore di lavoro settimanali.

Analizzando la situazione da un punto di vista sistemico, la Francia, pur non essendo economicamente disastrata come Grecia, Portogallo e Italia, e registrando tassi di crescita del Pil bassi ma non preoccupanti come altrove, ha un sistema rigido in cui lo Stato ha ancora molta voce in capitolo nell'economia. In una situazione globale altamente caotica, con flussi di capitale estremamente complessi da gestire, questa mancanza di elasticità potrebbe tramutarsi in un'insuperabile contraddizione. Se il sistema "rigido" non si adatta ai profondi cambiamenti interni e mondiali potrebbe saltare prima di altri e portarsi dietro l'Europa.

Pubblicato in Teleriunioni maggio 2016

La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con il commento di un articolo del Corriere della Sera sulla grande fuga di capitali dalla Cina.

Nonostante tutti i tentativi di controllo del fatto economico approntati dal governo cinese, il Dragone sta sperimentando una delle più grandi migrazioni finanziarie della storia. Il denaro volato oltre confine ammonta a circa 700 miliardi di dollari e il flusso non sembra destinato a fermarsi.

I capitali si spostano là dove la redditività è maggiore, passando non solo per gli istituti bancari ma in buona parte attraverso fiduciari non controllati. Se a ciò si aggiunge che software automatici di trading muovono nei mercati internazionali cifre enormi che nessuno riesce più a controllare, ci si rende conto che è l'intera economia mondiale ad essere fuori dai conteggi ufficiali.

La Cina ha raggiunto nel giro di pochissimi anni la potenza produttiva degli Stati Uniti diventando uno dei cardini dell'economia mondiale (seguita a ruota dall'India). Senza passare per la fase dell'accumulazione originaria, si è subito trovata ad essere un capitalismo aggressivo, esportatore e finanziarizzato la cui esuberanza produttiva si sposava con la richiesta di capitali da parte degli USA. I cinesi hanno difatti cominciato ad acquistare Buoni del Tesoro americani, utilizzando una parte del proprio plusvalore per sostenere il dollaro. Si è creata così una situazione di doppio vincolo tra le due economie, anche in virtù del fatto che le merci a basso costo made in China contribuivano a calmierare i prezzi di quelle americane. In epoca di deflazione sono però in molti a chiedere al Dragone l'adozione di una politica monetaria adeguata. Fino ad ora il governo di Pechino si è ben guardato dall'attuare provvedimenti in tal senso dato che il rapporto di cambio col dollaro favorisce le esportazioni; colpisce perciò la notizia di questi giorni dell'avvio di una rivalutazione dello Yuan.

La teleconferenza di martedì sera, connessi 12 compagni, è iniziata commentando il via libera ai decreti attuativi per il Jobs Act.

In un articolo di Micromega, Jobs End, ovvero la fine del lavoro, si fa notare che non sarà certo una legge a smuovere la stracotta economia italiana:"Dinanzi ad un legislatore che si fregia di un 'Jobs Act' presentato come epocale, a fronte di commentatori che, a ragione, hanno richiesto più 'Jobs Fact', chi scrive non può che limitarsi a registrare, oggi, un unico drammatico dato di fatto: il 'Jobs End', ovvero la fine del lavoro così come costruito in decenni di civiltà del diritto." Il Sole 24 Ore registra il tentativo governativo di copiare il modello di welfare tedesco, dove lo stato si prende in carico i disoccupati, garantendogli un salario universale, per poi "somministrarli" nel mercato del lavoro con mini-job pagati non più di 450 euro al mese. In qualche modo il Jobs Act suggella la fine del diritto al lavoro come l'abbiamo conosciuto finora, soprattutto a fronte dell'ennesimo significativo calo della produzione industriale italiana.

In questa società è senza senso la vita del disoccupato, ma anche quella del lavoratore che produce, consuma e crepa. Quando era uscito il testo La fine del lavoro, molti ipotizzavano che con l'avvento dell'era dei robot - per Rifkin si assisteva alla terza rivoluzione industriale - i lavoratori in esubero sarebbero stati occupati nei servizi e tutto si sarebbe riequilibrato.

La teleriunione di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con una serie di riflessioni sulle concezioni di probabilità, probabilismo e determinismo. Secondo Wikipedia "si definisce determinismo quella concezione per cui in natura nulla avviene a caso, ma tutto accade secondo ragione e necessità. Il determinismo dal punto di vista ontologico indica quindi il dominio incontrastato della necessità causale in senso assoluto giudicando quindi nel contempo inammissibile l'esistenza del caso. Il determinismo è associato alla teoria della causalità, sulla quale si appoggia." I luogocomunisti pensano che la citazione del Manifesto (1848) sulla possibilità della rovina di tutte le classi, metta in discussione il ferreo determinismo in Marx e apra la porta all'indeterminismo, ovvero all'impossibilità di fare previsione:

"Liberi e schiavi, patrizi o plebei, baroni e servi, capi di maestranze e garzoni, in una parola oppressori od oppressi, furono sempre in contrasto, e continuarono, in modo nascosto o palese, una lotta che finì sempre con la trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta."

Alla teleriunione di martedì sera, presenti 10 compagni, è stato commentato l'articolo Peer to Peer Production as the Alternative to Capitalism: A New Communist Horizon (Peer to peer come alternativa al capitalismo: un nuovo orizzonte comunista) di Jakob Rigi, un lavoro a suo modo in sintonia con il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente". La nostra corrente aveva a disposizione meno materiale anti-formista, mentre oggi le anticipazioni teoriche e pratiche della società futura sono una realtà a portata di mano. Nell'articolo si sostiene che la produzione peer to peer, nata e cresciuta nel capitalismo, inizia ad avere caratteristiche che si scontrano con il capitalismo stesso.

Partendo dall'analisi delle rivolte globali, dall'Egitto agli Usa, viene fatto un parallelo tra le aspirazioni dei dimostranti e le nuove forme e modi di produzione che si stanno imponendo in ambito informatico. Oggi tutta la tecnologia segue a ruota l'informatica. All'interno di questo settore c'è una forza che spinge verso una direzione comunista, questa forza cui non si può sfuggire può essere pensata in termini di inevitabilità strutturale dell'evoluzione bio-tecnologica. La Free Software Foundation e Linux vengono considerati come esempi di produzione collettiva che fa volentieri a meno del denaro e punta tutto sulla gratuità. Il copyleft è fattore e prodotto dello sviluppo di programmi che bypassano i vincoli dettati dalla legge del valore:

Pubblicato in Teleriunioni agosto 2013

Pongo prima di tutto una domanda su come si possa dimostrare la sostanziale uniformità tra natura e società: esistono, come in fisica, delle vere e proprie leggi che permettono l’analisi e, soprattutto, la previsione dei fenomeni sociali? È chiaro che la risposta è sì, ma in che modo questo avviene? Come metafora? Come analogia? Come vera e propria identità? Come interviene il fenomeno "mente" in questo schema deterministico? Non crea alcun problema alla "ferrea legge"?

Dal punto di vista materialista, è chiaro che la mente è un prodotto del corpo, o meglio dell’interazione che la specie ha avuto tra i suoi elementi agenti in un ambiente dato, ma mi domando, anche in relazione alla questione del "rovesciamento della prassi", se essa non permetta appunto una sorta di fuga dalle leggi di natura. Altra suggestione che mi è venuta è che queste leggi valgano fin tanto che il rovesciamento non è avvenuto, e fin tanto che non è avvenuto, il sentimento che il determinismo naturalista risulti insufficiente per le faccende umane potrebbe essere riflesso della mancanza, per ora, di questo rovesciamento. Per così dire, gli avversari del determinismo avrebbero ragione se parlassero delle potenzialità umane latenti, ma hanno assolutamente torto nel momento in cui, ed è questo quel che fanno, parlano della società presente, determinatissima dalle leggi del capitale, sproloquiando su libertà individuali assolutamente immaginarie.

Pubblicato in Doppia direzione

Rivista n°54, dicembre 2023

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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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