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  • Venerdì, 27 Ottobre 2017

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  • Resoconto teleriunione  24 ottobre 2017

Invarianza della forma corporativa

Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, abbiamo affrontato alcuni dei temi sviluppati sulla rivista n. 42, attualmente in stampa, partendo dall'articolo "La socializzazione fascista e il comunismo".

Negli anni '20 lo scontro tra modi di produzione si acuisce: "In Russia la fase rivoluzionaria era matura per urgere in breve ciclo di forze nuove e disgregarsi di morte forme; fuori in Europa la situazione era falsamente rivoluzionaria e lo schieramento non fu decisivo, l'incertezza e mutevolezza di atteggiamento fu effetto e non causa della deflessione della storica curva del potenziale di classe." (Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, 1955)

In Italia si afferma il fascismo che, nato da una costola del sindacalismo rivoluzionario, non è però la causa dell'annichilimento del movimento proletario italiano; al contrario, è la sconfitta di quest'ultimo a permettere al fascismo di imporsi. L'opportunismo, afferma la nostra corrente, non è questione morale, "è un fenomeno di natura sociale e storica per cui l'avanguardia proletaria, invece di disporsi sullo schieramento che si pone contro il fronte reazionario della borghesia e degli strati piccolo-borghesi, più di essa ancora conservatori, dà l'avvio ad una politica di saldatura fra il proletariato e le classi medie." (Tesi di Napoli).

In quel frangente il proletariato occidentale non riesce a saldare le sue forze con quelle della rivoluzione russa. Come si afferma in Struttura, alla data del 1920-21 il partito bolscevico ha messo in campo tutto quanto poteva e la "svolta" non può che venire da Occidente. Ma la situazione in Europa non è rivoluzionaria e il risultato è che l'Internazionale cerca di modificare i rapporti di forza tra le classi con manovre tattiche (fronte unico, governo operaio, ecc.). Al di là di capi, dirigenti, governi e partiti, "la rivoluzione comunista può solo vincere quando, polarizzata da forze nuove questa morta atmosfera che oggi ci soffoca, dispersa la bestemmia scientifica dell'indifferente vile coesistere tra poli nemici, tutto il mondo capitalista sarà jonizzato nella fase rivoluzionaria futura, e due soli scioglimenti si porranno davanti alla lotta suprema. Non jonizza la storia il prurito di molecoline neutre fino alla sterilizzazione mortifera, né la ha solo jonizzata la nostra rivoluzione: lo fu ad esempio perfino quando il Cristo, che fu detto Dio perché non si ridusse alla parte risibile di Uomo Capo ed Eroe, ma era impersonale forza del campo storico, jonizzò il mondo delle società schiaviste antiche con l'equivalente formula: Chiunque non sarà con me, sarà contro di me."

La polarizzazione avviene perché esiste uno scontro tra forze enormi che mobilitano la società intera. Un modo di produzione non abbandona mai il palcoscenico della storia finché non ha esaurito tutte le sue risorse materiali. Il moderno capitalismo socializza a livello planetario la produzione, connette tutte le economie e, potenzialmente, anche le lotte dei proletari. Tramontata l'epoca delle doppie rivoluzioni e delle lotte di liberazione nazionale, oggi si presenta su scala globale la possibilità di uno schieramento netto tra le classi, che non lasci spazio a teorie ambigue come quelle che si sono imposte negli anni '20 in Italia e altrove.

Il fascismo è riuscito abilmente a sfruttare per i suoi fini di conservazione "temi" propri dell'avversario, come quello della "socializzazione del lavoro". Da notare che l'80% degli effettivi di tale movimento arrivavano dalle fila del sindacalismo rivoluzionario mentre il restante 20 dal PSI. Una volta stabilizzatosi come regime, il fascismo varò riforme di carattere social-riformista e per tutto il Ventennio non fece altro che sacralizzare il "lavoro" (Carta del Lavoro, 1927), rispondendo alla necessità del capitalismo di allora di una forma di governo centralizzata, per dare ordine alla società, e di inglobare le organizzazioni proletarie nello Stato. L'esperimento fascista ha perso militarmente, dice la nostra corrente, ma ha vinto politicamente estendendosi in tutto il mondo. Il capitalismo d'oggi avrebbe bisogno di un passo in più, di un governo unico mondiale, ma le borghesie nazionali non possono certo auto-sopprimersi.

Siamo quindi passati a parlare dei prossimi scioperi nel settore della logistica: il 27 ottobre si svolgerà quello organizzato dai sindacati di base e il 30 e 31 quello dei confederali. Le parole d'ordine di entrambe le mobilitazioni non rompono con la logica corporativa della difesa delle "garanzie" e dei "diritti". Anche la FIOM sembra si stia muovendo: l'Assemblea Generale dei metalmeccanici ha infatti approvato con 165 voti favorevoli e 14 astenuti un documento che lancia un percorso di mobilitazione "fino anche allo sciopero generale, per cambiare la manovra nel corso del dibattito parlamentare per l'approvazione della legge di bilancio". L'intero arco sindacale, compresi gruppi e partiti di sinistra, si pongono in difesa dell'apparato welfaristico ereditato dal fascismo; entrano nel merito dei problemi che deve risolvere il governo della borghesia e si spingono addirittura a proporre leggi o riforme alternative. È significativo che questo variegato fronte antifascista faccia proprio lo slogan "la crisi la devono pagare i padroni", lanciato da Mussolini a Dalmine in occasione dell'occupazione della Franchi-Gregorini (1919). Anche Gramsci e gli ordinovisti con il loro mito del controllo operaio della produzione non facevano che riprendere, con segno diverso, le proposte del fascismo sansepolcrista.

La corresponsabilità delle organizzazioni sindacali nei confronti dell'economia nazionale non è nuova: siamo passati dal sindacato di tutti i cittadini a sindacati che vogliono partecipare attivamente alle decisioni prese dai governi in materia politico-economica. L'eredità dell'epoca precedente è rivendicata nei fatti dai confederali, ed infatti si genera un'opposizione interna, in particolare in CGIL, per adesso all'acqua di rose ma passibile di radicalizzazione. Il sindacato è in crisi, vede assottigliarsi il numero degli iscritti e conta sempre meno nella società. CAF, patronati, sedi e uffici legali rendono se vengono utilizzati, ma sono un costo se i lavoratori non li utilizzano. Serve un cambiamento.

Si è poi accennato alla crescita degli autonomismi in relazione ai risultati dei referendum in Veneto e Lombardia. Se tutte le regioni iniziano a chiedere di rientrare nello statuto speciale, come farà lo Stato a trovare i soldi che gli servono? La spinta all'autonomia regionale ha sicuramente risvolti economici (mantenere in loco il valore prodotto), eppure è dimostrato che le amministrazioni regionali e locali sono più dispendiose di quelle centrali.

Un compagno ha segnalato l'ultimo rapporto dell'OCSE, "Preventing Ageing Unequally", che descrive una situazione del tutto "out of control": secondo lo studio crescono le diseguaglianze tra generazioni e i giovani italiani sono sempre più poveri. I senza riserve non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene e la perdita di efficienza del sistema ha come conseguenza la perdita di fiducia nel sistema stesso. Il capitalismo non viene più visto come fonte di sicurezza e benessere e tutte le illusioni costruite in decenni di controrivoluzione demo-fascio-staliniana vengono meno. Questa situazione, che rende evidente una perdita di vitalità dell'intero sistema, è l'avvisaglia di una consapevolezza delle condizioni di classe, il proletariato da una parte, la borghesia dall'altra, ognuna delle due tesa a difendere le proprie condizioni che stanno degenerando ("Il secondo principio", n+1 n.41).

I legami corporativi che tenevano insieme i proletari con l'apparato statale borghese si stanno sfaldando e ormai la maggior parte dei paesi occidentali vive di rendita con una crescita economica dello zero virgola qualcosa per cento. Pensiamo all'Italietta: secondo i dati del "World Factbook" della CIA la composizione del PIL è così data: 2% agricoltura, 24% industria e 74% servizi. Una tale quota di servizi vuol dire che il lavoro che una volta svolgevano gli operai è ora realizzato dalle macchine. La composizione sistemica è molto importante: il 60% del PIL è consumato all'interno, circa il 19% è dedicato per il consumo dello Stato, il 17% finisce in investimenti in capitali fissi; cresce inoltre l'esportazione di beni e servizi (30%), mentre cala la quota di importazione degli stessi (-26,5%). La popolazione sotto la soglia di povertà è al 29,9%, le tasse al 47% del reddito, il debito pubblico al 130%. Una situazione irreversibile, cifre di un modo di produzione arrivato al capolinea. L'economia mondiale viaggia grazie alla spinta di Cina e India, paesi che sono cresciuti velocemente bruciando tutte le tappe ma che già presentano i primi segni del capitalismo senile.

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