Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  9 aprile 2019

Incrementi di sviluppo a saggio decrescente

La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcuni articoli di stampa sulla situazione economica tedesca.

Abbiamo cominciato commentando l'articolo "Germania, i colossi industriali taglieranno 100mila posti di lavoro" del Sole 24 Ore, per poi passare a quello dell'Huffington Post intitolato "Gli ordini industriali tedeschi crollano ancora con il maggior ribasso da due anni. Più che dimezzate le stime del Pil della Germania". In effetti, a febbraio gli ordini industriali tedeschi hanno segnato una flessione del 4,2% e su base annua dell'8,4%, la più pesante in dieci anni; ciò ha portato i maggiori istituti economici a ridimensionare anche le previsioni di crescita dall'1,9 allo 0,8% per l'anno in corso. La Germania ha una struttura produttiva orientata all'esportazione e, evidentemente, risente della contrazione del commercio mondiale, proprio come l'Italia, tanto che il ministro dell'economia Giovanni Tria, intervistato da Repubblica, ha affermato che la situazione tedesca è sempre più simile a quella nostrana:

"I Paesi più colpiti in Europa, sono le due principali potenze manifatturiere, ossia Germania e Italia. La Germania parte da livelli di crescita del Pil più alti dei nostri e quindi anche il rallentamento non la porta a livelli di crescita vicini allo zero; ma la differenza tra il nostro Paese e loro si mantiene costante, mentre anche secondo stime di organismi internazionali già nel 2020 il gap di crescita tra l'Italia da una parte e la Germania e l'Eurozona dall'altra, si ridurrà."

Gli effetti della Brexit, la guerra commerciale tra Cina e Usa e il rallentamento dell'economia globale, condizionano un paese esportatore come la Germania, spingendolo verso la recessione. Di fronte ad una situazione del genere, qualsiasi governo non può fare altro che aumentare la produttività del lavoro spremendo ancor di più la forza lavoro. Ciò obbliga Berlino a introdurre nuove macchine e licenziare operai, mettendosi in linea con tutti gli altri paesi. Nell'articolo "Controtendenza alla caduta del saggio di profitto in Germania", pubblicato sulla rivista n. 34, abbiamo visto che la piena occupazione nel paese era ottenuta grazie ad una (relativamente) bassa composizione organica del Capitale; dagli operai tedeschi veniva mediamente ricavato plusvalore assoluto invece che relativo, occupandone di più e facendoli lavorare più a lungo e più intensamente con poco anticipo di capitale-macchine. Una controtendenza fondamentale alla legge della caduta del saggio di profitto. Tra le cause antagonistiche descritte da Marx nel capitolo 14, sezione III del Terzo libro de Il Capitale, vi è l'aumento del grado di sfruttamento del lavoro seguito dalla riduzione del salario al di sotto del suo valore. Se con la legge Hartz e i Mini-Jobs si è dato un po' di ossigeno al sistema-paese tedesco, alla fine tali misure si sono trasformate nel loro contrario. Le cause antagonistiche annullano solo temporaneamente la caduta tendenziale del saggio di profitto, non la cancellano. Il costo della forza lavoro di un paese, in un mercato del lavoro globale, deve confrontarsi con quello di altri paesi, per cui tutti sono costretti ad abbassarlo. I capitalisti sono obbligati ad automatizzare la produzione e di conseguenza a far crescere il numero dei disoccupati, i quali non potranno contribuire ad aumentare i consumi. A pesare sull'economia tedesca c'è anche la riduzione del fatturato delle grandi industrie automobilistiche; quasi la metà del Pil tedesco è legato a ciò che il paese esporta, in primis macchine utensili.

Anche l'Economist, in un'editoriale dello scorso 7 febbraio, avverte che è tempo di preoccuparsi dell'economia tedesca. Berlino ha un peso specifico fondamentale in Europa come locomotiva economica, ma è un nano politico. Fino a poco tempo fa, grazie al modello corporativo della mitbestimmung, sembrava un'isola felice rispetto a Spagna, Francia, Inghilterra e Italia. Ora, con il crollo degli ordinativi nel settore industriale cominciano a vedersi le prime crepe e le prime manifestazioni contro il caro vita (sabato 6 aprile ci sono state proteste a Berlino, Monaco Stoccarda e Colonia). Sappiamo che la motivazione che porta migliaia di persone a scendere in piazza può essere una qualsiasi, ne è esempio lampante il movimento dei gilet gialli in Francia: nato come protesta contro il rincaro del prezzo del carburante, in breve si è trasformato in qualcosa di completamente diverso.

E' dagli anni '70 che le economie dei maggiori paesi tendono a sincronizzarsi verso lo zero, e questa è una contraddizione mortale per il capitalismo: è impossibile produrre, esportare merci, esportare capitali ed espandersi tutti insieme in un mondo finito. Significativo a tal proposito il diagramma degli incrementi relativi della produzione industriale dei maggiori paesi dal 1914 al 2008, riportato nell'articolo "Un modello dinamico di crisi" (n+1 n. 24, figura 6). Riguardo alla Cina, il grafico individua un'economia ancora fuori dal coro, ma che va rapidamente sincronizzandosi con le altre. Se la globalizzazione è stata un salvagente per il capitalismo, ora si è trasformata nel suo contrario (una delle cause antagonistiche individuate da Marx nel Terzo libro è lo sviluppo del commercio estero).

"La prossima grande crisi sarà nel 2027. Lo dicono i 3 cicli dell'economia" è il titolo di un articolo del Sole 24 Ore del 5.4.19. Il fenomeno delle crisi è parte integrante della dinamica di sviluppo del modo di produzione capitalistico, ma quella che stiamo vivendo è una crisi strutturale, non di tipo congiunturale. Secondo la legge auxologica che studia gli incrementi di sviluppo degli organismi, molto banalmente i bambini crescono, i vecchi no. La crisi è da mettere in relazione con il livello di sviluppo raggiunto dal capitalismo: esso non può crescere all'infinito, ha una freccia nel tempo e a un determinato momento per far crescere anche di poco la massa del profitto deve mettere in moto una tale quantità di macchine, lavoro ed energia, che non riesce più a reggere al proprio peso e collassa. Sono temi che la Sinistra Comunista ha trattato in più occasioni, a cominciare dai testi che abbiamo raccolto in Scienza economica marxista come programma rivoluzionario.

La società futura non sarà un nuovo modo di produzione ma un metabolismo sociale, una forma sociale organica, che conosce sé stessa e progetta il futuro delle specie in armonia con il tutto. Le grandi società omeostatiche del passato, attraverso un sistema di sensori e attuatori sparsi nella società, avevano un pieno controllo della produzione e del consumo. I luogocomunisti hanno una visione costruttiva del comunismo quasi si trattasse di costruire una grande cooperativa, una società basata sulla redistribuzione della ricchezza prodotta. Per noi invece, il comunismo è il superamento positivo della società del valore, ha compiti distruttivi rispetto al capitalismo, e rappresenta il processo di liberazione della forza produttiva sociale.

In chiusura di teleconferenza, si è accennato al marasma sociale in Africa. La Libia è sprofondata nel caos più assoluto e la guerra di tutti contro tutti è diventata sistema. In Sudan una manifestazione oceanica è finita con l'assedio della sede dell'esercito a Khartoum; partito lo scorso dicembre a causa dell'aumento del prezzo del pane, il movimento sudanese cresce di intensità e si scontra violentemente con le forze di polizia. In Algeria, nonostante le dimissioni del presidente Bouteflika, continuano le proteste; i manifestanti pretendono le dimissioni di tutti i membri del clan che è stato al potere negli ultimi 20 anni, compresi i vertici militari.

Dalla Primavera araba in poi il movimento tellurico non si è mai fermato: ha abbattuto regimi, fatto scendere in piazza milioni di persone e attaccato gli apparati repressivi statali. Il capitalismo non ha più nulla da offrire, è un cadavere che ancora cammina e aspetta solo di essere seppellito. In molti cominciano a rendersene conto.

Articoli correlati (da tag)

  • La guerra e le sue conseguenze

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando le ultime news sulla guerra.

    A Mosca un gruppo di miliziani, presumibilmente appartenenti a ISIS Khorasan (c'è una rivendicazione), ha preso d'assalto il teatro Crocus City Hall, causando oltre centotrenta vittime e centinaia di feriti. Quattro persone di nazionalità tagika sono state arrestate dai servizi di sicurezza russi mentre si dirigevano verso il confine ucraino.

    Con le informazioni a disposizione è difficile capire quali forze ci siano dietro all'attacco. I Russi affermano che è opera di "islamisti radicali", ma hanno denunciato anche il coinvolgimento di Ucraini, Americani e Inglesi. Negli ultimi anni la Russia ha visto sul suo territorio diversi attentati di matrice islamica (vedi teatro Dubrovka o scuola Beslan); quest'ultimo, però, si inserisce in un contesto particolare e cioè quello della guerra in corso in Ucraina, dove da una parte si sta consumando un conflitto classico combattuto tra eserciti nazionali, e dall'altra c'è l'impiego da ambo i fronti di partigianerie, mercenari e miliziani. I servizi segreti occidentali avevano avvertito per tempo della possibilità di un attentato in Russia e l'attacco al Crocus può essere considerato come un episodio della guerra mondiale a pezzi, simile alla strage del Bataclan di Parigi avvenuta nel 2015 e compiuta da gruppi legati a Daesh, che causò centrotrenta vittime. Qualche mese fa l'ISIS K ha rivendicato l'attentato a Kerman, in Iran, vicino alla tomba del generale Qassem Soleimani; l'attacco ha provocato oltre ottanta morti e centinaia di feriti.

  • Guerra ibrida, disfattismo e rivolta

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata prendendo spunto da un articolo pubblicato sul sito Difesa Online intitolato "Hamas e Houthi e la guerriglia modernizzata a lunga distanza".

    Secondo la testata giornalistica, che diffonde informazioni sulle Forze Armate italiane e straniere, l'attacco del 7 ottobre condotto da Hamas in territorio israeliano è da classificare come "guerriglia modernizzata a lunga distanza". Nella guerra ibrida "non esistono più fronti chiari e definiti", perché si è abbandonata la logica centrata sul controllo del territorio nemico. La guerriglia del passato si svolgeva in uno spazio circoscritto, mentre adesso le forze irregolari hanno la capacità di colpire a decine se non centinaia di km di distanza (come nel caso degli Houthi). In Medioriente ci sono diverse organizzazioni armate non statali: Hamas, gli Houthi, Hezbollah, e tutti gli altri gruppi meno conosciuti che si scontrano con Stati come Israele e USA. I gruppi armati non statali sono collegati sia economicamente che militarmente a forze statali (nel caso di Hamas, con Iran ma anche Qatar) e non si limitano ad utilizzare armamenti leggeri o ordigni costruiti artigianalmente, ma impiegano anche armi tecnologiche avanzate e di una certa potenza. All'escalation verticale della guerra ibrida data dalla potenza di fuoco acquisita da soggetti non statali (Hamas ha sparato oltre tremila razzi contro Israele in poche ore), si accompagna la possibilità di una escalation orizzontale, che si allarga coinvolgendo sempre più soggetti, statali e non.

  • Disordine crescente

    La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata affrontando il fenomeno delle "grandi dimissioni".

    È uscito Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita (Einaudi, 2023), un'analisi sociologica di Francesca Coin sul cambiamento del mondo del lavoro e della società. Sulla rivista abbiamo già avuto modo di recensire testi sulla fine del lavoro, sull'automazione e sulla "disoccupazione tecnologica"; il libro di Coin ha il merito di affrontare la nuova tendenza che si sta sviluppando in diversi paesi del mondo e che si risolve in una disaffezione crescente verso il lavoro salariato. Il fenomeno è esploso in concomitanza con la pandemia: nel 2021 negli Stati Uniti 48 milioni di lavoratori hanno deciso di licenziarsi, e nello stesso anno in Italia sono stati in 2 milioni a lasciare il posto di lavoro. Anche in Cina i lockdown hanno rappresentato un giro di boa, portando all'emersione dei fenomeni "Tang ping" ("sdraiarsi") e "Let it rot" (bailan, "lascialo marcire"): siccome il sistema si è rotto, i giovani cinesi pensano che tanto vale sdraiarsi e lasciare che esso marcisca. Come nota Coin, "in India come in Cina, da mesi si è diffusa una controcultura che mette in discussione l'etica del lavoro e l'obbligo al lavoro salariato."

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email