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  • Resoconto teleriunione  10 dicembre 2019

Strategie preventive?

La teleconferenza di martedì sera, presenti undici compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo il fenomeno delle sardine, scese in piazza in decine di città italiane, e in ultimo in Piazza Castello a Torino.

Nel gruppo Facebook "6000 Sardine Torino", nato meno di un mese fa e composto da circa 72.000 membri, sono elencate le regole create dagli amministratori:

"1) ripudiare tutti i tipi di fascismi e violenze. Il vero caposaldo sotto cui ci riconosciamo sono i principi e i valori dettati dalla nostra Costituzione; 2) le sardine sono un fenomeno politico ma apartitico. Nonostante sia più che giusto che ognuno di noi abbia un'identità politica, è vietato fare propaganda per qualsiasi partito; 3) le sardine sono educate e rispettose. Non saranno accettati linguaggi volgari e qualsiasi tipo di atteggiamento irrispettoso (razzismo, xenofobia, bullismo, omofobia, transfobia, sessismo, etc.); 4) le sardine si aiutano segnalando. É diritto e dovere di chiunque noti un comportamento inappropriato segnalarlo agli amministratori tramite il pulsante 'segnala'."

La difesa della Costituzione, il ricorso alla non violenza, i consigli rispettosi al mondo politico e l'invito alla "segnalazione" dei comportamenti inappropriati sono le caratteristiche, almeno per adesso, di questa specie di movimento. L'Italia è ancora molto indietro rispetto a quanto succede in altri paesi in tema di lotte sociali, ma va tenuto conto del fatto che le motivazioni ufficiali che hanno fatto scendere in piazza milioni di persone, ad Hong Kong così come in Francia, sono state le più disparate e molte volte sono sembrate solo un pretesto, una scintilla che ha dato finalmente sfogo ad una rabbia per troppo tempo repressa. Le manifestazioni di massa valgono più per sé stesse che per le rivendicazioni accampate dagli organizzatori o dai manifestanti.

Detto questo, il fenomeno sardine potrebbe non essere così spontaneo ma celare partiti e forze di sinistra, in primis il PD, che lavorano preventivamente per evitare lo scoppio di incendi sociali e indirizzare il malessere verso obiettivi fittizi, senza creare problemi al Sistema. Anche se così fosse, è da vedere quanto alla lunga i pompieri sociali riusciranno a sviare la rabbia dei senza riserve. Non bisogna essere complottisti per notare che in Italia è in corso un tentativo di creare qualcosa di simile ad Extinction Rebellion (il gruppo ambientalista inglese che indice manifestazioni-spettacolo all'insegna della disobbedienza civile), con parole d'ordine che vanno dal pacifismo all'antifascismo, il tutto condito con tanti Bella ciao e con l'inno di Mameli. Del resto, lo stesso SISDE (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica) ha pubblicato alcuni studi di intelligence in cui spiega l'importanza, per qualsiasi forza politica e statale, di influenzare azioni e decisioni altrui (Vedere "L'agente di influenza", Gnosis, 8 luglio 2013). Nel Belpaese, dunque, potrebbero essersi attivate delle strategie preventive finalizzate ad evitare o almeno ritardare l'emergere di movimenti antiforma. Tuttavia, si può strumentalizzare e influenzare solo quello che c'è, ovvero un malessere sociale diffuso che porta in piazza decine di migliaia di persone.

Le sardine ottengono consenso da tutto il panorama politico (dalla CGIL a Casa Pound, a cui si è aggiunto il variegato mondo associazionistico cattolico), perché si richiamano ai valori della democrazia e dicono di voler difendere le istituzioni repubblicane. Le organizzazioni sindacali applaudono e dichiarano che saranno presenti alla manifestazione del 14 in piazza San Giovanni a Roma, dato che anche loro vogliono più democrazia e maggiore partecipazioni dei cittadini alla vita politica. La manifestazione dei confederali del 10 dicembre scorso, sempre nella Capitale, è stata anticipata dall'intervista rilasciata a Repubblica da Maurizio Landini in cui veniva proposto a governo e imprese un nuovo patto per il lavoro "per impedire che il Paese si sbricioli". Questa "alleanza per il lavoro", come la chiama il segretario della CGIL, non è niente di nuovo e comincia già negli anni '20 del secolo scorso con il patto di Palazzo Vidoni, in cui avviene il reciproco riconoscimento tra le parti sociali con la promessa di trovare luoghi di confronto permanenti. Questo principio fondamentale del sindacalismo fascista sopravvive fino ai nostri giorni: la trattativa non è più da tempo lo sbocco finale dello scontro fra industriali e lavoratori, ma il punto di partenza degli incontri triangolari tra i rappresentanti di quelle che dovrebbero essere le componenti principali della società. Il conflitto tra le classi, elemento naturale in una società basata sullo sfruttamento del lavoro salariato, viene incanalato in una trattativa perenne patrocinata dallo Stato e accettata con entusiasmo, anzi proposta con accanimento da quelli che dovrebbero essere i rappresentanti della classe sfruttata ("Sempre più al servizio dello Stato", 1985).

Da un pò di tempo a questa parte assistiamo a processi di ionizzazione delle molecole sociali in diversi continenti, che evidenziano un rapporto diretto tra la condizione di precarietà, miseria e "vita senza senso" a cui sono sottoposte milioni di persone, e il fatto che il marasma sociale cresca. Il movimento dei gilet gialli è nato contro l'aumento del prezzo della benzina, ma le manifestazioni continuano nonostante la tassa sia stata ritirata. Recentemente in Francia sono state messe in atto nuove strategie della polizia per contenere e disperdere i gilets jaunes, e centinaia di persone sono state arrestate preventivamente in vista delle manifestazioni dell'1 e dell'8 dicembre. La vertenza in corso è, apparentemente, di tipo sindacale, e gli scioperanti bloccano il paese per chiedere il ritiro della riforma delle pensioni voluta dal governo Macron. A ben vedere, si tratta piuttosto di un movimento generalizzato che coinvolge varie componenti sociali e mette a dura prova la rigidità dello stato francese.

Ad Hong Kong la manifestazione per la celebrazione dei 6 mesi dall'inizio della protesta ha portato nelle strade 800mila persone, nonostante i tentativi del governo e della polizia di distruggere e criminalizzare il movimento. In Cile continuano le mobilitazioni, come anche in Colombia, Haiti e Tunisia. In Algeria siamo al 42° venerdì consecutivo di manifestazioni, e per l'8 dicembre è stato proclamato uno sciopero generale di 4 giorni anche contro le elezioni presidenziali, poiché tutti i candidati sono espressione del vecchio potere. In Iraq centinaia di manifestanti hanno occupato piazza Tahrir a Baghdad, che è diventata il quartier generale della protesta. Il modulo Occupy resiste nel tempo e quando la tensione sociale cresce tende a materializzarsi nelle piazze. Anche il politecnico di Hong Kong era stato occupato e autogestito in stile OWS, con una serie di strutture che servivano allo svolgimento delle attività quotidiane, dal mediacenter alla mensa, dalla biblioteca all'infermeria.

I saggi di organizzazione futura messi in campo da Occupy Wall Street hanno lasciato traccia: l'occupazione in pianta stabile delle piazze e la lotta del 99%, cioè di chi fatica a vivere contro il sistema capitalistico, restano punti imprescindibili per qualsiasi movimento che si voglia proiettare nel futuro. Per forza di cose bisogna partire da quel livello e, avendone la forza, andare oltre. E' quanto abbiamo scritto nell'articoletto su #NuitDebout, provando a fare una panoramica sul movimento americano e a confrontarlo con quello europeo. Qualsiasi movimento che si attardi sul paradigma esistente, volge lo sguardo verso il passato invece che verso il futuro, ed è destinato a perire. Il tema è stato affrontato nell'ultimo numero della rivista nell'articolo "Che fine ha fatto il futuro?".

Questo nuovo ciclo di lotte, nato qualche mese fa, è molto più esteso di quello del 2011, iniziato con la Primavera Araba e approdato prima in Spagna e poi negli Usa. La storia del capitalismo, la freccia nel tempo del suo sviluppo irreversibile, porta alla maturazione di determinati fenomeni, al di là della coscienza che ne hanno gli uomini. Il partito rivoluzionario, quell'organismo politico in sintonia con il "movimento reale...", trae i suoi compiti dalla forma sociale futura ed è un potenziale anticipato. Guarda caso, quelli di OWS, voltando le spalle alla democrazia elettorale e alla politica parlamentare, dicevano di essere una voce aliena che dal futuro chiama a raccolta contro il capitalismo.

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    Nel testo si descrive come, fino al XIX secolo, lo scontro avviene principalmente nell'ambito della circolazione, dato che lì si trovano i beni necessari alla riproduzione. Successivamente, soprattutto con l'entrata in scena del proletariato, si rafforzano le forme di lotta più organizzate, le rivolte combaciano con gli scioperi, e il conflitto si manifesta per la maggior parte con l'interruzione organizzata del lavoro. A partire dalla fine degli anni 60' del secolo scorso, le forme di scontro si fanno sempre più incontrollabili (vedi riot negli USA): finita l'epoca di crescita industriale del capitalismo, l'accumulazione avverrebbe nella sfera della finanza, almeno nei paesi a capitalismo avanzato, dando così inizio ad una fase di espulsione della forza lavoro dalla produzione. Con lo scoppio della crisi industriale, gli afroamericani sono i primi a trovarsi alle prese con seri problemi di sopravvivenza e le rivolte, che assumono apparentemente una connotazione razziale, riguardano in realtà le condizioni di milioni di proletari. La seconda fase della rivolta, o rivolta prime, come la chiama Clover, si pone quindi direttamente in conflitto con lo Stato, poiché esso dispone di strumenti di repressione e controllo che le società precedenti non avevano, raggiungendo livelli di sofisticazione mai visti prima. Gli scioperi moderni toccano la circolazione di uomini e soprattutto di merci, dal trasporto aereo ai treni, dalla logistica ai petroliferi. I gilet jaunes, ad esempio, a partire dal 2018 hanno occupato le principali vie di comunicazione bloccando autostrade e rotatorie. La logistica connette il tessuto produttivo ed è fondamentale nell'epoca del just in time e della produzione senza magazzino.

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    "La struttura mondiale del lavoro sociale, la socializzazione crescente della forza produttiva umana, non possono non avere effetti materiali sulle forme in cui si manifesta lo sfruttamento. Se la miseria e il sottosviluppo odierni sono fenomeni modernissimi dovuti alla distruzione irreversibile dei rapporti antichi, l'estendersi enorme di rapporti di lavoro atipici nelle aree metropolitane non devono essere considerati fenomeni di regresso: saranno anch'essi a tutti gli effetti il risultato di progresso, quindi, per definizione, riflessi del futuro sul presente in via di liquidazione continua."

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