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  • Sabato, 16 Novembre 2019

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  • Resoconto teleriunione  12 novembre 2019

I diseredati del globo si ribellano ad ogni latitudine

La teleconferenza di martedì sera, connessi 13 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul testo Salario, prezzo e profitto di Marx, ed in particolare sul capitolo "La forza lavoro".

Il lavoratore moderno non vende sé stesso ma la sua particolare forza lavoro, secondo un processo storico di dissociazione tra l'operaio e i suoi mezzi di lavoro: "La separazione del lavoratore e degli strumenti di lavoro, una volta compiutasi, si conserva e si rinnova costantemente a un grado sempre più elevato, finché una nuova e radicale rivoluzione del sistema di produzione la distrugge e ristabilisce l'unità primitiva in una forma storica nuova".

Oggi la produttività del lavoro è altissima: pochissimo lavoro vivo mette in moto una grande quantità di lavoro morto, sottoponendo la legge del valore a dura prova. Troppo capitale, troppe merci e troppa produzione sociale rispetto all'appropriazione privata spingono il sistema al limite. Naturalmente esiste un nesso tra questo insieme di fenomeni e le rivolte che stanno scoppiando nel mondo.

In Francia un ragazzo si è dato fuoco per protestare contro la situazione di miseria in cui viveva, accusando il presidente Macron ed i predecessori di averlo costretto a tale gesto; in seguito al fatto, che ricorda quanto accaduto in Tunisia nel 2010 quando la protesta di un venditore ambulante scatenò un'ondata di rivolte che coinvolse tutta l'area (Primavera araba), sono stati immediati i flash mob e le manifestazioni in varie città francesi (#LaPrecariteTue). In questi giorni sul Web stanno circolando gli appelli dei gilets jaunes per i prossimi appuntamenti di lotta: il primo chiama al blocco di Parigi in occasione del primo anniversario del movimento (16-17 novembre), il secondo esprime solidarietà a tutte le rivolte che si stanno sviluppando in giro per il mondo, mentre il terzo invita a partecipare allo sciopero per le pensioni il prossimo 5 dicembre. Ultimamente la polizia francese è stata impegnata anche al confine con la Spagna dovendo intervenire per sgomberare i manifestanti catalani che bloccavano l'autostrada. In Catalogna ha assunto un certo peso il movimento indipendentista Tsunami democratic, molto presente sui social network e autore di azioni di blocco come quello dell'aeroporto di Barcellona. Movimenti nati da cause diverse tendono a mescolarsi e sovrapporsi aumentando il marasma sociale in corso.

L'8 novembre scorso ad Hong Kong è morto Alex Chow, uno studente di 22 anni caduto da un ballatoio durante un fitto lancio di lacrimogeni da parte della polizia. Qualche giorno dopo, un poliziotto ha sparato a distanza ravvicinata ad un manifestante colpendolo al torace. I due episodi hanno portato a scontri violentissimi tra i ribelli e le forze dell'ordine. In Bolivia, il presidente Morales, che faceva parte del fronte della sinistra bolivariana, è scappato in Messico dopo che alcuni reparti di polizia e dell'esercito si sono ammutinati invitandolo a farsi da parte. Gli apparati statali cominciano a sgretolarsi, in tutto il mondo è in atto una dinamica che porta l'esercito a presentarsi come ultimo baluardo in difesa dell'ordine costituito. Qualcosa di simile era successo in Egitto con l'avvento al potere dei militari.

Ad alimentare il caos sociale, ci pensano anche le formazioni di destra che stanno prendendo piede in Ungheria, Polonia, Italia, Spagna, ecc. A Varsavia hanno marciato decine di migliaia di ultranazionalisti e sono state bruciate bandiere dell'Unione europea, in Romania ha avuto successo al primo turno una formazione nazionalista, e ovunque la socialdemocrazia è in bancarotta politica. Negli anni '20 il fascismo riusciva ad inglobare le spinte contraddittorie (dannunziani, arditi, ecc.) prodotte dalla società in crisi all'interno dello stato corporativo; oggi il capitalismo non ha più quell'energia e fatica a tenere insieme i pezzi.

Nel testo "Così app e social network vengono usati per organizzare e alimentare le rivolte nel mondo", pubblicato su L'Espresso, si descrive l'uso massiccio di queste tecnologie, in Spagna così come ad Hong Kong. Sulla stessa rivista è comparso anche l'articolo "Perché i popoli del mondo si stanno ribellando", dove si afferma che le proteste sono legate da un filo rosso:

"In Cile sono stati quattro centesimi di dollaro, il costo dell'aumento della metropolitana. In Libano la tassa di 20 centesimi al giorno della stessa moneta per le videochiamate con WhatsApp, Facebook, Messenger e FaceTime. In Sudan il pane, il cui valore è triplicato. In India le cipolle che hanno fatto registrate il record di rincaro del 700 per cento a causa dello scarso raccolto. In Ecuador la benzina più salata per la fine dei sussidi. Ad Haiti stessa miccia e non vengono più protetti gli alimenti di prima necessità. E non è rimasta immune nemmeno la ricca Arabia Saudita per il raddoppio del prezzo di un oggetto voluttuario, l'uso del narghilè nei caffè e nei ristoranti. [...] I diseredati del globo si ribellano ad ogni latitudine."

Secondo il Corriere della Sera, il "motivo della rabbia è la diffusa percezione che la politica continui ad agire sempre e comunque per gli interessi delle élite, scavalcando quelli del popolo. Nei Paesi in via di sviluppo si svolgono regolarmente manifestazioni di protesta, e per buoni motivi. Le popolazioni sono costrette a sopportare i disagi causati dall'incapacità dei governi a fornire i servizi più basilari, e la mancanza di istituzioni politiche avanzate significa che attori non tradizionali – in maggior parte gli stessi contestatori – tendono a far vacillare l'ago della bilancia."

Nella maggior parte dei casi, giornalisti ed osservatori si limitano a scattare un'istantanea della situazione, fermandosi alla narrazione delle cause contingenti dei disordini. Nell'articolo del Corriere manca la dinamica, e cioè quel processo storico che porta il sistema a passare da uno stato ad un altro. Manca, insomma, la freccia del tempo. Data la parabola del plusvalore, noi crediamo che sia inevitabile la morte del capitalismo. I sistemi sociali collassano quando hanno raggiunto il massimo del loro rendimento e non hanno più nulla da offrire, cioè quando i rapporti di produzione diventano catene per lo sviluppo ulteriore della forza produttiva.

Gli attuali movimenti di protesta non hanno bisogno di leader in quanto sono sistemi reticolari che si auto-organizzano (M. Buchanan, L'Atomo sociale), in cui i partecipanti non sono liberi di "scegliere" né di fare di testa propria, ma è la struttura stessa che dispone e polarizza i singoli elementi.

Nel valutare le dinamiche sociali, disponiamo di una chiave di lettura che ci differenzia da tutti, anche da quelli che si richiamano al marxismo ma poi lo tradiscono nei fatti. Abbiamo un programma di lavoro e questo è elencato nel nostro Codice redazionale (1999): l'indagine ulteriore sull'aumento dello sciupìo capitalistico; l'indagine dinamica del processo capitalistico (differenza fra foto e cinema); lo studio del futuro capitalistico e della società comunista; il riscontro, nel capitalismo avanzato, di settori senza scambio di valore (comunismo); il lavoro e l'organicità contro i tentativi di rappezzare i resti del passato; la ricerca sulle capitolazioni della borghesia di fronte al marxismo; la ricerca sul capitale senza capitalisti che domina capitalisti senza capitale; la ricerca sui meccanismi del capitalismo ultramaturo (mercato mondiale, finanza, ecc.); lo studio dei fenomeni politici legati alla "democrazia fascista"; il superamento della questione nazionale e coloniale; lo sviluppo della Riunione di Forlì (compiti immediati della rivoluzione in Occidente); l'adozione di un linguaggio utile a trasmettere ad altri i risultati di un lavoro; l'adozione dell'atteggiamento vitale di chi lavora in prospettiva (progetto). Tutti questi punti sono strettamente collegati tra di loro e non sono in ordine di importanza.

La grande differenza risiede proprio nel linguaggio e nella capacità di spiegare quanto succede attraverso la scienza, dalla teoria delle reti alla termodinamica. Per Engels le rivoluzioni sono un fatto fisico, non dipendono dalla psicologia degli uomini. Non si presenterà più una questione nazionale e si chiarificherà in senso non rivendicativo quella sindacale, e anche la sacralità del lavoro, questo virus che ammorba il proletariato, tenderà a sparire.

Esiste un nesso tra i fenomeni planetari di insofferenza allo stato di cose presente e altri tipi di manifestazioni come l'utilizzo del voto democratico per mandare in parlamento partiti populisti. In Italia la protesta si è espressa con il voto al M5S che, messo alla prova, ha dimostrato tutta la sua inconsistenza ed è quindi avviato sulla strada della dissoluzione. Se il peso della situazione grava sulle spalle di miliardi di senza riserve, in futuro vedremo rivolte ancora più estese. In "Fiorite primavere del Capitale" (1953) si dimostra come le rivoluzioni possano avvenire anche senza la partecipazione di chi ne trae beneficio. Una rivoluzione anticapitalista senza proletariato è quasi impossibile, ma le rivoluzioni vincono anche se le classi che ne beneficiano non sono presenti attivamente. D'altronde, la parabola di paesi decadenti come quelli occidentali è tracciata: si va verso l'impossibilità di produrre valore in una società basata sul valore.

In chiusura di teleconferenza, abbiamo ricordato l'anniversario della caduta del Muro di Berlino, avvenuta trent'anni fa. Sui giornali si celebra la ventata di progresso, libertà e benessere che sarebbe arrivata nell'ex blocco sovietico. Nel 1989, sull'onda degli eventi, abbiamo scritto: "Era ora: con il Muro di Berlino crollano miseramente gli avanzi della lunga mistificazione staliniana". Fino a pochi giorni prima che il muro venisse abbattuto, nessuno si immaginava che in così poco tempo quel sistema sarebbe scomparso, eppure le avvisaglie c'erano e parlavano chiaro. Lo stesso discorso vale per l'oggi: in tanti si fanno ingannare dalla percezione e continuano a pensare che il capitalismo sia eterno senza riuscire a vedere l'enorme accumulo di materiale esplosivo pronto a farlo saltare.

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