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  • Venerdì, 18 Novembre 2022

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  • Resoconto teleriunione  15 novembre 2022

Insieme ibrido

Durante la teleconferenza di martedì sera, connessi 20 compagni, abbiamo parlato dello scontro bellico in corso in Ucraina e delle sue conseguenze a livello internazionale.

Il governo di Zelensky e i media occidentali hanno celebrato la riconquista della città di Kherson da parte dell'esercito ucraino in seguito alla ritirata dei Russi verso est, ma hanno cantato vittoria troppo presto. Il 15 novembre scorso la Russia ha sferrato un attacco missilistico, con oltre 100 razzi, che si è abbattuto sulle infrastrutture energetiche del paese, causando l'interruzione della fornitura elettrica in alcune città. Leopoli è rimasta senza elettricità e riscaldamento. In serata un paio di missili sono caduti in Polonia, vicino al confine con l'Ucraina, facendo scattare l'allarme nelle capitali occidentali dato che il paese dell'Europa centrale fa parte della NATO e l'articolo 5 del Trattato Nord Atlantico sancisce che un attacco armato contro uno stato membro è un attacco contro tutti.

La ritirata delle truppe russe dalla sponda occidentale del fiume Dnipro non rappresenta automaticamente una vittoria per l'esercito di Zelensky (i Russi controllano ancora più del 18% di territorio ucraino) anche perché, come diceva il generale prussiano von Clausewitz, "a parità di ogni altro parametro, la difesa è più forte dell'attacco". L'Ucraina è economicamente e militarmente dipendente dall'Occidente e quindi ha scarsi margini di manovra. Molti analisti prevedono che l'Unione Europea, a causa dell'aumento dell'inflazione, degli alti prezzi dell'energia e dell'instabilità causata dal conflitto, possa entrare in recessione entro fine anno, e allora gli aiuti a Kiev potrebbero diminuire.

Tutti sono coinvolti in questa guerra, chi più chi meno. La Russia acquista droni dall'Iran, che recentemente ha subito un attacco hacker da parte di un gruppo che si fa chiamare Black Reward, e che a sua volta la scorsa estate aveva compiuto un massiccio cyber attacco nei confronti dello stato albanese, accusato di dare protezione ad un gruppo di mujaheddin anti-Teheran.

Un altro paese coinvolto nel conflitto in corso è la Turchia, che si è ritagliata un ruolo di mediatore politico al fine di estendere la propria area d'influenza. Il 13 novembre un attacco terroristico nel centro di Istanbul ha provocato 6 morti e 81 feriti. Ankara ha individuato nel Pkk/Ypg il responsabile dell'attentato, respingendo il messaggio di cordoglio degli Stati Uniti, incolpandoli di fornire armi ai combattenti curdi. Data la situazione critica in cui versa il paese (vedi crescita dell'inflazione: + 83% su base annua), il governo turco potrebbe decidere di spostare l'attenzione dell'opinione pubblica interna verso un nemico esterno, magari lanciando un'operazione militare contro i Curdi stanziati nel nord della Siria.

Lo scenario globale è di marasma sociale e guerra: gli USA impediscono preventivamente la formazione di poli alternativi, e quindi hanno reciso il legame economico e politico tra Germania e Russia e lavorano per contenere l'espansionismo cinese.

Come abbiamo scritto nell' editoriale del n.51 della rivista a proposito della guerra d'oggi: "L'insieme ibrido, se vogliamo chiamarlo così, che comprende le leve politiche, economiche, diplomatiche, umanitarie, cibernetiche, informative, sarà sempre più integrato con gli strumenti prettamente militari che soltanto tali non saranno mai più."

Il collasso del "fronte interno" è una minaccia per ogni paese, dalla Turchia all'Italia, dagli USA alla Cina. Nessuno stato è al sicuro, e tutti si attrezzano in previsione dello scoppio di rivolte.

Così come il Capitale è socializzato al massimo livello, parimenti il proletariato si è internazionalizzato, ed è a tutti gli effetti una forza globale. Scioperi generali contro il carovita si sono verificati recentemente in Belgio e Grecia; centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in Spagna contro i tagli alla sanità; in Cina ci sono state proteste per le restrizioni anti-Covid; in Iran è stato indetto uno sciopero generale in occasione del terzo anniversario della rivolta del novembre 2019 che coincide col 60° giorno della rivolta iniziata il 16 settembre scorso con l'omicidio della giovane Mahsa Amini.

E' una certezza: con la crescita della miseria sociale aumenteranno anche le lotte e gli scioperi e tenderanno a sincronizzarsi, anche perché la crisi storica del capitalismo senile riguarda tutto il mondo. Nella newsletter "Rivolta contro la legge del valore" (dicembre 2019), abbiamo scritto che "milioni e milioni di persone manifestano nelle piazze di molti paesi del mondo. Si tratta di un movimento globale non coordinato, che per adesso non esce dai confini dei paesi coinvolti, ma è evidente che c'è una qualche ragione oggettiva per una tale persistenza e determinazione."

Da anni i partiti politici perdono militanti e iscritti e l'astensionismo è in crescita, se ne rende conto con preoccupazione la borghesia che vede sgretolarsi alcune delle colonne che tengono in piedi il sistema. La classe media, cuscinetto tra proletariato e borghesia, si assottiglia, e la società risulta sempre più polarizzata. L'attuale modo di produzione sta perdendo energia, non ha più la vitalità di un tempo, è un involucro che non corrisponde più al suo contenuto (Lenin, L'imperialismo).

Si stanno accumulando numerose contraddizioni a livello mondiale, che porteranno il sistema verso una soluzione di tipo catastrofico ("Teoria delle catastrofi", René Thom). Sono le rivoluzioni che provocano l'emergere di movimenti antiforma, non il contrario, come pensano attivisti, volontaristi e idealisti in genere.

È da un secolo che la controrivoluzione ammorba tutto, rubando il futuro a generazioni di uomini. Ma più a lungo un vulcano non erutta, maggiore è il magma accumulato nella parte invisibile che si trova sotto la superficie, e più violenta sarà la successiva eruzione. La rivoluzione è l'equivalente sociale di un terremoto o di un'eruzione vulcanica. Quindi, più che domandarsi quando scoppieranno moti di piazza in questo o quel paese, i comunisti dovrebbero porsi il problema del "che fare" quando questi inevitabilmente si manifesteranno. I nostri articoli sul wargame, pubblicati sugli ultimi numeri della rivista ("Wargame, Non solo un gioco", n.50 e "Wargame, Parte seconda", n.51), sono appunto una prima risposta a questo cruciale quesito.

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