Stampa questa pagina

Giorno della Memoria?

Mi sembra che nei vostri scritti vi sia una specie di equidistanza fra israeliani e palestinesi, come se non fossero stati gli invasori ebraici ad opprimere il popolo palestinese, distruggere le loro case, prendere le loro terre, deviare l'acqua dai loro campi, ecc. Capisco che si tratta di guerra fra due nazioni borghesi e che le popolazioni si dovrebbero coalizzare contro i propri governi per una nazione unica, laica e multietnica, ma intanto c'è una differenza oggettiva fra la condizione di un israeliano ebreo e uno arabo e fra entrambi e un palestinese di Gaza o della West Bank. Capisco anche che ogni borghesia abbia bisogno di inventarsi un suo risorgimento con martiri ecc., pratica molto lontana da una razionale e materialista visione della storia, ma lo sfruttamento del massacro da parte dei nazisti è andato oltre il limite nel momento in cui i massacrati hanno incominciato a massacrare.

Adesso anche gli Armeni, come prima gli Ebrei, vogliono il loro "Giorno della Memoria" e sono sicuro che i Kurdi staranno pensando alla stessa cosa nel momento in cui hanno un loro quasi-stato sotto protezione americana. Se questo significasse un minimo di riflessione sulle immense capacità di sterminio del capitalismo in quanto ultima società non ancora umana, lo potrei anche capire, aggiungendo - per rispetto alla Vita che tutto coinvolge - i Giapponesi atomizzati, i Neri schiavizzati, i Nativi d'America winchesterizzati e anche il Bisonte e le Foreste che furono. Ma sono dell'avviso che quella della Memoria, per Ebrei, Armeni e altri massacrati dal capitalismo sia in realtà un'operazione di assoluta Smemorizzazione. Nell'ambito nazionalistico, specie in epoca di capitalismo maturo, i colonizzati e massacrati di oggi non sono che gli aspiranti colonizzatori e massacratori di domani, come hanno dimostrato proprio gli Ebrei e stanno dimostrando i Kurdi. Smemorizzazione alla grande, soprattutto rispetto alla causa dei fatti, dato che ricordare il massacro di per sé non porta a niente se non se ne conoscono i motivi. Allora "Giorni della Memoria" nient'altro che per coprire i motivi, altro che per evitare future ripetizioni.

Che cotal giorno sia per gli Ebrei una delle più squallide operazioni dell'odierno arcinazionalismo di ritorno (e quindi non più tragico ma farsesco) mi sembra chiaro persin dal nome, Olocausto, che in origine significava "bruciato tutto", sacrificio completo della vittima alla divinità e solo in seguito divenuto sacrificio di sé per un alto ideale. Un termine che ricorda più il suddetto mito di fondazione che non la ricerca scientifica sulle cause di un massacro a scala industriale.

Cosa stiano facendo oggi i due rami dei figli di Abramo gli uni agli altri lo sappiamo, ma sappiamo pure che non risolveranno un accidente, specie con le memorie create apposta per inventarsi nazioni che non hanno più posto nella storia moderna e sono costrette a sopravvivere agonizzando con economie fasulle completamente assistite. A me il concetto stesso di terra mia, sua, nostra o loro starebbe stretto anche se non fossi comunista, dato che a nazione, termine di significato tribal-barbarico, preferirei civitas, all'antica, come ricorda giustamente il Cattaneo e, prima di lui il Verri.

Questo per dire che nell'era della grande globalizzazione vi è ancora qualcuno che massacra altri in nome di staterelli tribali (sì, penso che Israele sia un fenomeno del genere), che peraltro non possono neppure essere pensati senza il contesto imperialistico che li sfrutta ai fini di opposti schieramenti. So che vedete una soluzione solo nell'ambito della rivoluzione proletaria, e sono d'accordo, ma non vi sembra che borghesie meno imbecilli potrebbero capire che così sono in un vicolo cieco e che si potrebbero adottare soluzioni razionali, come ad esempio è successo in Sudafrica?

 

Permettici una precisazione: tu dici che le "popolazioni" dovrebbero coalizzarsi contro i loro "governi" per vivere in uno stato laico e multietnico; a parte il fatto che ciò è realisticamente impossibile, la prospettiva nostra è che si coalizzino i proletari contro le rispettive borghesie. Non che questo sia possibile, adesso, ma non è assurdo un futuro movimento rivoluzionario in grado di sconvolgere gli assetti attuali del mondo. È vero che ci sono gruppi misti israelo-palestinesi dediti alla propaganda per uno stato unico ebraico-islamico nel quale le due comunità possano convivere. Hanno un certo seguito, ma sono dei volonterosi utopisti, oltre che una goccia nel mare. Dal punto di vista pratico la realizzazione del loro programma significherebbe uno stato israeliano con una maggioranza palestinese cui sarebbero riconosciuti i diritti civili come ai neri in Sudafrica.

Va da sé che, come succede a questi ultimi, i musulmani finirebbero per essere i proletari, i sottoproletari e gli artigiani mentre gli ebrei farebbero parte della piccola e grande borghesia. Anche in questo caso, come in Sudafrica, sarebbe decisiva la pressione degli Stati Uniti. Se però adesso non è estranea all'evacuazione degli insediamenti a Gaza e nella West Bank, sarebbe impensabile nel facilitare il sorgere di uno stato israelo-palestinese.

Il discorso va fatto nella prospettiva storica, tenendo conto dello sviluppo inevitabile dei paesi dell'area, che già oggi non sono più nelle condizioni in cui erano quando dichiararono le loro guerre alla nazione ebraica da quando s'è proclamata Stato. Da questo punto di vista Israele, se continuasse con l'attuale politica, sarebbe già un potenziale cadavere, e la stupidità della sua borghesia si rivela proprio nell'assenza di un suo progetto nazionale, cioè di un piano per la sopravvivenza della nazione nel tempo, di fronte a sbocchi del tutto prevedibili.

Oggi gli israeliani sono 5 milioni e i palestinesi in Israele 1,2. A Gaza i palestinesi sono 1,4 milioni, nella West Bank 2,4 e nei paesi limitrofi 1,6 come profughi più o meno integrati fra le popolazioni locali; totale 6,6 milioni. Il tasso di crescita della popolazione ebraica è dell'1,1% all'anno, mentre quello della popolazione musulmana è del 3,77%. Fra una dozzina di anni i palestinesi saranno dieci milioni, mentre gli israeliani saranno cinque e mezzo. Questo calcolo vale per tutto il mondo arabo che circonda Israele e, se vogliamo, per tutto il mondo islamico, che al momento conta più di un miliardo di abitanti.

Il dato demografico va però considerato nella prospettiva dello sviluppo economico "islamico" in confronto a una stagnazione dell'economia israeliana, chiusa e assistita. Anche l'appoggio americano va considerato allo stesso modo. È ormai evidente – ed è una preoccupazione presente nei documenti ufficiali della Casa Bianca e del Pentagono – che una minima incrinatura nel sistema di controllo globale, ora in mano al massimo paese imperialistico, non potrà che generare reazioni a catena di tipo catastrofico in tutto il mondo, non solo in Medio Oriente.

Mettiamola così: la temperatura di un fiammifero acceso è molto alta, ma la sua quantità di calore è insignificante anche solo per intiepidire un catino pieno d'acqua; dal punto di vista termodinamico il catino, anche gelato, ha una quantità di calore più che sufficiente per vincere storicamente su qualsiasi fiammifero.

(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 18 - ottobre 2005.)

Articoli correlati (da tag)

  • La guerra riflette la società, le armi riflettono la sua industria

    La teleriunione di martedì 13 marzo, presenti 15 compagni, è iniziata commentando alcune news sulla guerra globale.

    Papa Francesco, che già da qualche mese ha lanciato l'allarme riguardo il passaggio dalla terza guerra mondiale combattuta a pezzi ad un vero e proprio conflitto mondiale, ha invitato il governo ucraino ad una riflessione seria sul da farsi, affermando "che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l'aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa."

    La dichiarazione ha avuto una certa risonanza sui media perché il Papa, sostanzialmente, ha esortato il governo ucraino ad arrendersi, sostenendo che oramai l'Ucraina non ha più le forze per continuare a reggere lo scontro con la Russia. Il Vaticano è uno stato particolare, ha ramificazioni in tutto il mondo, e in quanto centro della cattolicità controlla un miliardo di fedeli ed ha una rete di influenza internazionale: disponendo di propri agenti anche in Ucraina, possiede informazioni dettagliate, comprese quelle sulla tenuta del fronte interno. Forte di una tradizione bimillenaria, la Chiesa fiuta gli scenari futuri.

  • Il capitalismo è praticamente morto

    La teleriunione di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata commentando un articolo di Maurizio Novelli, "Perché il sistema capitalistico è praticamente morto", pubblicato sul quotidiano economico Milano Finanza. Si tratta di un'analisi di ormai quattro anni fa, ma i problemi che l'autore solleva sono ancora presenti, anche se nascosti accuratamente sotto il tappeto.

    Nel pezzo si parla della necessità capitalistica di fare sempre più debito per sostenere l'economia (il debito ha superato il 330% del PIL globale), del problema della valorizzazione del capitale, e in generale del dominio del capitale azionario su quello industriale:

    "Il sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è praticamente morto e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso. Gli Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l'economia reale a sostegno della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno dell'economia reale. Oggi il settore finanziario 'fa leva' 4/5 volte sull'economia reale per ottenere rendimenti che l'economia reale non riesce più a produrre, così come le banche nel 2008 facevano leva 40 volte sul capitale per ottenere rendimenti che l'attività caratteristica non poteva dare."

    La finanziarizzazione del capitale, riflesso della sua autonomizzazione, è la parte conclusiva della parabola storica del plusvalore. Il fenomeno è descritto nel nostro articolo "L'autonomizzazione del capitale e le sue conseguenze pratiche", che si basa sul Frammento del testo originario di "Per la critica dell'economia politica" del 1858. Oggi tale processo è ben visibile, basti pensare alla recente impennata del Bitcoin che vale più di Visa e MasterCard messe insieme. I crolli di borsa, le crisi finanziarie del 1987, del 1997, delle Dot-com e del 2008 testimoniano la difficoltà del sistema a riprodursi in quanto tale. La finanziarizzazione dell'economia non è altro che una risposta alla crisi di valorizzazione, dovuta all'aumentata produttività del lavoro. Non c'è mai pletora di capitali senza pletora di merci: per questo motivo "rilanciare la produzione" o "ritornare all'economia reale" sono slogan privi di senso.

  • O passa la guerra, o passa la rivoluzione

    La teleriunione di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata con il commento di alcuni articoli inerenti il nuovo modo di condurre la guerra.

    Da segnalare l'importanza acquisita dai droni nel teatro bellico ucraino, ma non solo. Nell'articolo "Legioni di 'droni intelligenti' all'orizzonte", pubblicato sul sito di Analisi Difesa, si afferma: "Non è utopico immaginare un futuro in cui legioni di droni, guidati da un unico comandante, si confrontino sul campo di battaglia. Droni da ricognizione, d'attacco, kamikaze e da supporto impiegati contemporaneamente per svolgere compiti diversi, come del resto sta già accadendo sui campi di battaglia in Ucraina."

    Recentemente, l'intelligence americana ha fatto circolare la notizia, pubblicata dalla CNN e ripresa da La Stampa, di una nuova arma russa (electro magnetic pulse, impulso elettromagnetico nucleare) "in grado di distruggere i satelliti creando un'enorme ondata di energia paralizzando potenzialmente una vasta fascia di satelliti commerciali e governativi.". Il dispositivo rappresenterebbe un'importante minaccia per la sicurezza del paese.

    Si sta dunque configurando un nuovo modo di fare guerra. Gli USA sono riusciti a vincere la Seconda guerra mondiale perché hanno esternalizzato a livello globale la loro catena di montaggio industrial-militare ("Guerra di macchine. La battaglia delle Midway"); la guerra moderna è, invece, un conflitto tra sistemi cibernetici, incentrato sull'elettronica e su reti di sensori. Il progetto Replicator del Pentagono, ad esempio, dà l'idea di uno scontro tra sciami di veicoli autonomi guidati dall'intelligenza artificiale. Il sistema israeliano Gospel, sempre attraverso l'utilizzo dell'IA, riesce a orientare il fuoco verso le postazioni di lancio di Hamas. Il gruppo italiano Leonardo sta sviluppando un progetto che "intende definire un'architettura spaziale in grado di fornire agli enti governativi e alle Forze Armate nazionali una capacità di calcolo e memorizzazione ad alte prestazioni direttamente nello spazio" ("Leonardo: al via il progetto per il primo sistema di Space Cloud per la difesa").