Stampa questa pagina

Sull'attenzione verso i tipi di sciopero

[…] L’assorbimento del sindacato nell’orbita istituzionale corrisponde al tentativo di disciplinare il conflitto capitale-lavoro, vista la sua ineliminabilità, ed esprime un'esigenza precisa del capitalismo maturo. Ogni sindacato che nasca al di fuori di reali e spontanee pressioni dal basso non può che seguire lo stesso percorso o condannarsi, spacciando la manciata di iscritti raccolta o perduta come "indicazioni di fase".

Ma proprio l'integrazione massima fra industria, sindacato e Stato dimostra che la grande organizzazione sociale esistente deve necessariamente riflettersi anche sulle eventuali lotte generalizzate dei proletari. Finché tutto si svolge in settori isolati e la lotta viene articolata in mille rivoli il fenomeno non è visibile, ma non appena si dovesse rompere l'attuale equilibrio dobbiamo essere sicuri che sarà difficilissimo fermare la valanga.

Se guardiamo le lotte tradeunioniste che si sono svolte in questi ultimi decenni nel mondo, vediamo che sono state quasi sempre episodi isolati, frammentari, che non hanno quasi mai avuto le caratteristiche che pur vengono indicate in modo preciso da Lenin nel Che fare?

Parlando delle origini e dello sviluppo del movimento operaio in Russia, Lenin scrive per esempio che verso la fine del secolo gli scioperi si estesero assumendo un carattere contagioso. In questi tipi di sciopero si poteva vedere facilmente il carattere spontaneo, ma era una spontaneità ben diversa da quella degli inizi, quando vi erano state distruzioni di macchine e attacchi disorganizzati. Quindi, passato il periodo di formazione del proletariato, l'elemento spontaneo non può essere altro che la forma embrionale dell'organizzazione cosciente. Nessun processo di questo ultimo genere è mai stato in atto negli ultimi anni, almeno in Occidente: abbiamo assistito a lotte che rientravano perfettamente nel gioco delle parti all'interno di una società del tutto integrata. Le eccezioni hanno solo confermato la regola.

E’ ben delineato, nelle pagine di Lenin, il percorso che porta il proletariato a costituirsi come classe per sé e non per il capitalismo. Mentre in precedenza vi erano componenti vendicative e di disperazione, in seguito la sistematicità della lotta dimostra la crescita di un'esigenza organizzativa che va già oltre la riuscita dell'azione specifica. Da questo punto di vista ogni lotta generalizzata moderna, per quanto "spontanea", non può più rappresentare un fenomeno uguale a quelli degli inizi. I proletari sono già organizzati, nel senso che sono immersi nella rete ultraconsolidata del lavoro sociale.

Le lotte operaie del '69-'70 in Italia, ad esempio, furono del tutto generalizzate e la loro organizzazione era caratterizzata da un alto grado di efficienza, ma questi aspetti erano subordinati completamente alla politica sindacale, a sua volta subordinata a criteri di efficienza economica all'interno del capitalismo dell'epoca. La nota e per certi versi famigerata lotta della Fiat nel 1980 ebbe caratteristiche simili e fu condotta fino in fondo sul filo del rasoio da un sindacato in grado di controllare perfettamente la situazione; tant'è vero che fu utilizzata, in sincronia con l'azienda, per smantellare agli inizi una nascente capacità di pressione sulle strutture sindacali. Questo aspetto quindi la differenziava dalle lotte precedenti.

Ancora più chiara la situazione nei cantieri di Danzica in Polonia, nello stesso periodo: un vasto movimento sindacale, nato dalle rovine del sindacato come appendice ufficiale dello Stato, dimostrò formidabili capacità di organizzazione che solo qui da noi fu considerata spontanea mentre spontanea non era affatto. Essa crebbe per necessità in lunghi anni di lotta e soppiantò le vecchie strutture, senza tuttavia crearne di nuove dal nulla: milioni di operai si trovarono organizzati prendendo semplicemente dalla società ciò che a loro serviva, compresi i locali con mobili e telefoni.

Invece altre lotte, come quella dei portuali a Liverpool, dei minatori nel Galles, in Siberia e in Romania, furono lotte di retroguardia in difesa del "diritto" di scendere nei pozzi peggiori del mondo, rivendicando follemente un'alta probabilità di morte invece di un salario garantito nel caso di disoccupazione.

In Corea, un esempio positivo recente, la generalizzazione degli scioperi portò invece subito anche alla generalizzazione dell'organizzazione alternativa con richieste di tipo economico e normativo senza tanti fronzoli. Questo è il pericolo maggiore per i borghesi, ed essi lo sanno.

Questi episodi sono numericamente pochi, sporadici e non hanno caratteristiche comuni che facciano pensare a prossime stagioni di lotta classista come descritte da Lenin. Tuttavia, porre attenzione al modo in cui si esprimono le lotte è molto importante perché da esse possiamo cogliere importanti segnali.

 

Siamo d'accordo. Il nostro Quaderno Rivoluzione e sindacati, che è del 1985, era concepito proprio per rispondere, tra l'altro, a questioni dello stesso genere di quelle poste dal lettore (ora è in ristampa con ampie integrazioni).

(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 0 - maggio 2000.)

Articoli correlati (da tag)

  • Rivolte, marasma sociale e guerra

    La teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con una breve presentazione del saggio Riot. Sciopero. Riot. Una nuova epoca di rivolte, scritto nel 2019 da Joshua Clover.

    Secondo lo scrittore e professore di inglese e letteratura comparata all'Università della California "Davis", a partire dal Medioevo si può ravvisare una dinamica storica che vede prima la rivolta, poi lo sciopero ed infine di nuovo la rivolta, ma in forma diversa rispetto alla fase iniziale.

    Nel testo si descrive come, fino al XIX secolo, lo scontro avviene principalmente nell'ambito della circolazione, dato che lì si trovano i beni necessari alla riproduzione. Successivamente, soprattutto con l'entrata in scena del proletariato, si rafforzano le forme di lotta più organizzate, le rivolte combaciano con gli scioperi, e il conflitto si manifesta per la maggior parte con l'interruzione organizzata del lavoro. A partire dalla fine degli anni 60' del secolo scorso, le forme di scontro si fanno sempre più incontrollabili (vedi riot negli USA): finita l'epoca di crescita industriale del capitalismo, l'accumulazione avverrebbe nella sfera della finanza, almeno nei paesi a capitalismo avanzato, dando così inizio ad una fase di espulsione della forza lavoro dalla produzione. Con lo scoppio della crisi industriale, gli afroamericani sono i primi a trovarsi alle prese con seri problemi di sopravvivenza e le rivolte, che assumono apparentemente una connotazione razziale, riguardano in realtà le condizioni di milioni di proletari. La seconda fase della rivolta, o rivolta prime, come la chiama Clover, si pone quindi direttamente in conflitto con lo Stato, poiché esso dispone di strumenti di repressione e controllo che le società precedenti non avevano, raggiungendo livelli di sofisticazione mai visti prima. Gli scioperi moderni toccano la circolazione di uomini e soprattutto di merci, dal trasporto aereo ai treni, dalla logistica ai petroliferi. I gilet jaunes, ad esempio, a partire dal 2018 hanno occupato le principali vie di comunicazione bloccando autostrade e rotatorie. La logistica connette il tessuto produttivo ed è fondamentale nell'epoca del just in time e della produzione senza magazzino.

  • Disordine crescente

    La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 17 compagni, è iniziata affrontando il fenomeno delle "grandi dimissioni".

    È uscito Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita (Einaudi, 2023), un'analisi sociologica di Francesca Coin sul cambiamento del mondo del lavoro e della società. Sulla rivista abbiamo già avuto modo di recensire testi sulla fine del lavoro, sull'automazione e sulla "disoccupazione tecnologica"; il libro di Coin ha il merito di affrontare la nuova tendenza che si sta sviluppando in diversi paesi del mondo e che si risolve in una disaffezione crescente verso il lavoro salariato. Il fenomeno è esploso in concomitanza con la pandemia: nel 2021 negli Stati Uniti 48 milioni di lavoratori hanno deciso di licenziarsi, e nello stesso anno in Italia sono stati in 2 milioni a lasciare il posto di lavoro. Anche in Cina i lockdown hanno rappresentato un giro di boa, portando all'emersione dei fenomeni "Tang ping" ("sdraiarsi") e "Let it rot" (bailan, "lascialo marcire"): siccome il sistema si è rotto, i giovani cinesi pensano che tanto vale sdraiarsi e lasciare che esso marcisca. Come nota Coin, "in India come in Cina, da mesi si è diffusa una controcultura che mette in discussione l'etica del lavoro e l'obbligo al lavoro salariato."

  • La fragilità delle catene logistiche

    La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata parlando degli scioperi negli Stati Uniti.

    A fine luglio scade il contratto dei teamsters della UPS. Le trattive per il rinnovo si sono rotte e c'è la possibilità che dal primo agosto incrocino le braccia i 340mila lavoratori del gigante della logistica. Lo sciopero verrebbe organizzato dall'International Brotherhood of Teamsters (IBT), lo storico sindacato dei camionisti che, pur avendo avuto in passato dirigenze colluse con la mafia (Jimmy Hoffa), ha espresso in più occasioni una base militante pronta allo scontro con i datori di lavoro ("I sedici giorni più belli"). Il 97% degli iscritti all'IBT ha votato a favore dello "strike" qualora le loro richieste non vengano accettate (aumenti salariali, sicurezza, ecc.), e ciò potrebbe portare a una interruzione della catena di approvvigionamento con un effetto domino sull'intera economia del paese. Come nota USA Today, l'ultima volta che i lavoratori della UPS hanno scioperato, nel 1997, meno dell'1% delle vendite totali del commercio al dettaglio proveniva dagli acquisti online. Si stima che negli USA siano più di un milione i lavoratori impiegati nel settore della logistica, più del doppio rispetto ad allora.