Stampa questa pagina

Che cosa sta succedendo negli Stati Uniti?

Un compagno mi chiedeva se certe forze interne della borghesia americana, come il PNAC (Project for a New American Century), potessero essere la base per un cambiamento di rotta della politica americana. Se cioè si stesse per caso passando dalla dottrina delle alleanze con chiunque convenga, a quella delle alleanze con "chi la pensa come noi", alla Huntington. Ho risposto con un no secco: un Bush è talmente utile che sarebbe saltato fuori comunque, magari dopo la vittoria di Al Gore, che qui si dice sia stata quella autentica.

Un cambiamento di rotta e l'avvio di una politica meno ottusa potrà esservi in futuro, ma adesso l'America deve passare attraverso questa fase. Sulla scena politica americana del terzo millennio l'intreccio di forze favorevoli al capitale privato più che al Capitale in generale era talmente forte che con la crisi delle elezioni in Florida hanno visto un opportunità da cogliere al volo. Quando dico "capitale privato" non voglio ripetere le sciocchezze sui fatti personali dei petrolieri, ma mi riferisco all'intera corporate elite, una classe capitalista avida, strafottente e sicura del proprio potere di controllo, una burocrazia militaristica gonfia di dollari e forte di vasto appoggio sociale, non solo elettorale. Una vera e propria ideologia dominate parallela, irrazionale, basata sul peggior fondamentalismo religioso ed economico. Tutto questo di fronte a un political establishment – il Congresso americano e la Casa Bianca – in completo collasso. È il Sistema che ha problemi di autocontrollo, ma è ovvio che, trattandosi dell'America, questo ha effetti sul mondo intero.

Se avesse vinto Al Gore vi sarebbero state solo due possibilità: o i democratici andavano nella direzione che hanno preso i repubblicani, o questi avrebbero vinto comunque le elezioni nel 2004. L'unica forza che è sfuggita – in parte – al controllo, è il movimento pacifista. Se si arrivasse di fronte ad una vera crisi, sia interna che soprattutto militare in Medio Oriente, non è da escludere un colpo di stato, sia da parte di un civile (per me Bush nel 2000 ha ordito un mezzo golpe) sia da parte dei militari. Del resto: chi li può fermare? La costituzione?

 

La situazione che sta maturando negli Stati Uniti comporta problemi gravissimi per l'imperialismo americano, perché il mondo, di riflesso, ne sarà sconvolto. Gli Stati Uniti non possono passare da una dottrina militare di "proiezione sul territorio" da basi sicure al "controllo diretto del territorio" con truppe proprie. Sarebbe un modo anti-storico di condurre la guerra, un comportamento da vecchio imperialismo colonialista classico, mentre Gli Stati Uniti sono stati il nemico numero uno di quel tipo di passato (almeno dalla guerra del 1898 contro la Spagna in poi). E inoltre c'è un problema pratico: occorrerebbero decine di milioni di soldati in tutto il mondo, bisognerebbe pagarli direttamente ecc.

Chi ferma la banda "bushita", come ormai la chiamano molti americani? Nessuno, d'accordo. Ma sarà essa stessa ad accorgersi (sta già succedendo in Iraq), che la guerra facile e tecnologica, senza morti, non esiste se diventa un sistema permanente. Ricordiamo che ogni guerra scoppiata nelle epoche di transizione comporta la morte di un pezzo di passato e sconfigge chi non impara la lezione del futuro. Questo è Marx che lo dice a proposito della guerra di Crimea (1853-56) e lo possiamo estendere per esempio alle due guerre mondiali.

Se i bushiti hanno in mente di continuare su questa strada che abbiamo definito "ottusa", allora per loro è finita: dal "colpo di stato" virtuale alla Bush devono passare al colpo di stato paramilitare per controllare l'ordine mondiale e soprattutto interno, con le conseguenze sul mondo che lasciamo immaginare. Da questo punto di vista ci sembra di intravedere negli Stati Uniti una analogia "turca": l'esercito nel suo insieme è meno ottuso della società civile. Lo dimostrerebbe quel poco che siamo riusciti a sapere sulle divergenze fra governo e militari proprio mentre era in corso l'avanzata su Baghdad, e che oggi continuano.

È indubbio che l'invasione e l'occupazione di un paese, se si pensa al futuro, non debbono essere condotte come sono state condotte. I militari, durante l'avanzata, sembra si siano comportati in modo più professionale e meno banditesco del solito. A parte i killer di prammatica dal grilletto facile, lo Stato Maggiore dell'esercito aveva capito la natura delle sacche di resistenza e nell'immediato le aveva lasciate esaurire senza troppe uccisioni e distruzioni. È stata evidente anche la tendenza dei militari a defilarsi e a mettere in piedi il più presto possibile delle amministrazioni civili locali, chiedendo più truppe (100.000 uomini in più) per assicurarne la copertura in maniera non troppo visibile. Invece i bushiti avevano usato l'apparato tecnologico, in primo luogo l'aviazione, per massicce incursioni terroristiche, tanto che il 90% delle uccisioni di iracheni era stato provocato dai bombardamenti aerei. Sullo stesso piano erano da porre gli attacchi contro i diplomatici russi e i giornalisti, per non parlare della "teoria della carta moschicida" per attirare i "terroristi" in trappole mortali e sterminarli (tattica dimostratasi poi non troppo efficace).

La guerra d'invasione era stata perciò mantenuta dai militari nei limiti della politica, molto più di quanto i bushiti avevano voluto, con i loro wargame da tavolino. I bushiti avevano un piano di sterminio dall'alto e l'esercito si era dovuto arrangiare per occupare un paese di 450.000 Kmq e città molto vaste ed abitate – teatri spaventosi dal punto di vista militare – con una forza insignificante. La guerra d'occupazione, che i militari non avevano voluto, si sta dimostrando un vicolo cieco. Non è da escludere, all'interno degli Stati Uniti, una resa dei conti potere politico e potere militare a causa della "nuova epoca" che si voleva inaugurare.

Il nuovo "governatore" dell'Iraq sta accelerando i tempi per levare le tende e la borghesia irachena sta già facendo affari con gli invasori, mentre le tribù stanno già dando vita a una specie di governo ombra nelle tre parti principali del paese. Non sembra che i piani stiano andando come previsto. La situazione interna ed estera è per gli Stati Uniti così fluida che, se non un colpo di stato, almeno una robusta prova di forza con protagonisti i militari potrebbe verificarsi davvero. Non è detto che vinca la banda di Bush: essa, terminato il "lavoro sporco", potrebbe essere allontanata senza tanti complimenti proprio dall'esercito.

(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 13 - dicembre 2003.)

Articoli correlati (da tag)

  • La guerra riflette la società, le armi riflettono la sua industria

    La teleriunione di martedì 13 marzo, presenti 15 compagni, è iniziata commentando alcune news sulla guerra globale.

    Papa Francesco, che già da qualche mese ha lanciato l'allarme riguardo il passaggio dalla terza guerra mondiale combattuta a pezzi ad un vero e proprio conflitto mondiale, ha invitato il governo ucraino ad una riflessione seria sul da farsi, affermando "che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l'aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa."

    La dichiarazione ha avuto una certa risonanza sui media perché il Papa, sostanzialmente, ha esortato il governo ucraino ad arrendersi, sostenendo che oramai l'Ucraina non ha più le forze per continuare a reggere lo scontro con la Russia. Il Vaticano è uno stato particolare, ha ramificazioni in tutto il mondo, e in quanto centro della cattolicità controlla un miliardo di fedeli ed ha una rete di influenza internazionale: disponendo di propri agenti anche in Ucraina, possiede informazioni dettagliate, comprese quelle sulla tenuta del fronte interno. Forte di una tradizione bimillenaria, la Chiesa fiuta gli scenari futuri.

  • Il capitalismo è praticamente morto

    La teleriunione di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata commentando un articolo di Maurizio Novelli, "Perché il sistema capitalistico è praticamente morto", pubblicato sul quotidiano economico Milano Finanza. Si tratta di un'analisi di ormai quattro anni fa, ma i problemi che l'autore solleva sono ancora presenti, anche se nascosti accuratamente sotto il tappeto.

    Nel pezzo si parla della necessità capitalistica di fare sempre più debito per sostenere l'economia (il debito ha superato il 330% del PIL globale), del problema della valorizzazione del capitale, e in generale del dominio del capitale azionario su quello industriale:

    "Il sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è praticamente morto e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso. Gli Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l'economia reale a sostegno della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno dell'economia reale. Oggi il settore finanziario 'fa leva' 4/5 volte sull'economia reale per ottenere rendimenti che l'economia reale non riesce più a produrre, così come le banche nel 2008 facevano leva 40 volte sul capitale per ottenere rendimenti che l'attività caratteristica non poteva dare."

    La finanziarizzazione del capitale, riflesso della sua autonomizzazione, è la parte conclusiva della parabola storica del plusvalore. Il fenomeno è descritto nel nostro articolo "L'autonomizzazione del capitale e le sue conseguenze pratiche", che si basa sul Frammento del testo originario di "Per la critica dell'economia politica" del 1858. Oggi tale processo è ben visibile, basti pensare alla recente impennata del Bitcoin che vale più di Visa e MasterCard messe insieme. I crolli di borsa, le crisi finanziarie del 1987, del 1997, delle Dot-com e del 2008 testimoniano la difficoltà del sistema a riprodursi in quanto tale. La finanziarizzazione dell'economia non è altro che una risposta alla crisi di valorizzazione, dovuta all'aumentata produttività del lavoro. Non c'è mai pletora di capitali senza pletora di merci: per questo motivo "rilanciare la produzione" o "ritornare all'economia reale" sono slogan privi di senso.

  • O passa la guerra, o passa la rivoluzione

    La teleriunione di martedì sera, connessi 16 compagni, è iniziata con il commento di alcuni articoli inerenti il nuovo modo di condurre la guerra.

    Da segnalare l'importanza acquisita dai droni nel teatro bellico ucraino, ma non solo. Nell'articolo "Legioni di 'droni intelligenti' all'orizzonte", pubblicato sul sito di Analisi Difesa, si afferma: "Non è utopico immaginare un futuro in cui legioni di droni, guidati da un unico comandante, si confrontino sul campo di battaglia. Droni da ricognizione, d'attacco, kamikaze e da supporto impiegati contemporaneamente per svolgere compiti diversi, come del resto sta già accadendo sui campi di battaglia in Ucraina."

    Recentemente, l'intelligence americana ha fatto circolare la notizia, pubblicata dalla CNN e ripresa da La Stampa, di una nuova arma russa (electro magnetic pulse, impulso elettromagnetico nucleare) "in grado di distruggere i satelliti creando un'enorme ondata di energia paralizzando potenzialmente una vasta fascia di satelliti commerciali e governativi.". Il dispositivo rappresenterebbe un'importante minaccia per la sicurezza del paese.

    Si sta dunque configurando un nuovo modo di fare guerra. Gli USA sono riusciti a vincere la Seconda guerra mondiale perché hanno esternalizzato a livello globale la loro catena di montaggio industrial-militare ("Guerra di macchine. La battaglia delle Midway"); la guerra moderna è, invece, un conflitto tra sistemi cibernetici, incentrato sull'elettronica e su reti di sensori. Il progetto Replicator del Pentagono, ad esempio, dà l'idea di uno scontro tra sciami di veicoli autonomi guidati dall'intelligenza artificiale. Il sistema israeliano Gospel, sempre attraverso l'utilizzo dell'IA, riesce a orientare il fuoco verso le postazioni di lancio di Hamas. Il gruppo italiano Leonardo sta sviluppando un progetto che "intende definire un'architettura spaziale in grado di fornire agli enti governativi e alle Forze Armate nazionali una capacità di calcolo e memorizzazione ad alte prestazioni direttamente nello spazio" ("Leonardo: al via il progetto per il primo sistema di Space Cloud per la difesa").