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  • Venerdì, 21 Febbraio 2014

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  • Resoconto teleriunione  18 febbraio 2014

Il golpetto continua

La teleconferenza di martedì, a cui si sono collegati 15 compagni, è iniziata dalle ultime news politiche italiane, la caduta del Governo Letta e l'ascesa di Matteo Renzi.

Dopo la tornata elettorale del 2008, che porta al governo Pdl, Lega e Movimento per l'Autonomia, scriviamo sul numero 23 della nostra rivista Elezioni non proprio normali. Il titolo è ben presto spiegato: i risultati elettorali consegnano alle aule parlamentari una composizione di eletti che non vede rappresentanze dei partiti della sinistra tradizionale; dopo più di un secolo, escluso il ventennio fascista, è la prima volta nella storia della Repubblica Italiana. Nello stesso periodo Beppe Grillo comincia la sua campagna per un "Parlamento pulito" contro i costi della politica e i privilegi della casta. Nel novembre del 2011, in seguito alla crisi economica e alle forti pressioni internazionali, Berlusconi lascia l'incarico di Presidente del Consiglio. Lo sostituisce Mario Monti con un "governo di impegno nazionale", la cui compagine è formata da sette professori universitari, cinque dottori generici, un avvocato, un magistrato, un professore-avvocato, un banchiere, due giuristi, un prefetto, un ambasciatore e un ammiraglio, ma nessun politico di professione.

Il 6 dicembre 2012 il Pdl esce dalla maggioranza e Monti il 21 dicembre rassegna le dimissioni. Sparite le sinistre cosiddette radicali con le elezioni del 2008, col governo di larghe intese di Monti viene definitivamente liquidata la sinistra. Nel Pd, come reazione allo spostamento a destra del partito, nasce Occupy Pd. Ma non si torna indietro e dopo nuove elezioni e conseguente stallo di due mesi in cui non si riesce a formare un esecutivo, il 24 aprile 2013 Napolitano incarica Enrico Letta di dar vita ad un governo di larghe intese in quanto "sola prospettiva possibile, quella cioè di una larga convergenza tra le forze politiche che possono assicurare al governo la maggioranza in entrambe le camere". Quello di Letta si configura come il primo esecutivo di grande coalizione della storia della Repubblica: comprende esponenti di entrambe le principali coalizioni, fino a poco prima in contrapposizione, e la carica di vicepresidente del Consiglio dei ministri è affidata al segretario del partito di "opposizione" Angelino Alfano. La tendenza borghese al partito unitario è ormai generalizzata per l'intero pianeta. La dinamica in atto dal 2008 arriva fino ai giorni nostri con le dimissioni irrevocabili di Letta e l'incarico a Renzi da parte del Presidente della Repubblica.

Qualunque esecutivo abbia oggi il compito di governare il paese, deve agire sulla forza-lavoro (e sulla possibilità di cavarne maggiore plusvalore): dovrebbe liberarla completamente da ogni vincolo, estendendo la mobilità dei lavoratori, legando il salario minimo alle esigenze dell'economia e controllando la sua tendenza a crescere. Come risposta all'incalzare della crisi, serve un esecutivo snello che cerchi di far corrispondere il contenitore al contenuto, ovvero la sovrastruttura politica all'economia. Monti si era prodigato per creare occupazione, cioè per un ritorno ai "fondamentali", e anche Renzi mette in primo piano la creazione di lavoro e la riduzione della disoccupazione, ma "[...] chi si può prendere la briga di piegare a questo modo la storia? Nessun governo tradizionale è capace di tanto, e di sicuro nemmeno un governo provvisorio. Ora è inutile mettersi a fare profezie, ma è certo che se il capitale vuole sopravvivere ancora un po', deve comunque piantarla con la sua esplosione esclusivamente fittizia. Deve darsi una drastica autoriduzione e darsi un assetto sovrastrutturale tecnico, spazzando via gli orpelli del politicantismo parassitario. La riuscita anche solo parziale è dubbia, ma l'italietta come al solito prova a fare qualche esperimento di laboratorio, lasciando ad altri il compito di fare qualcosa di più serio. Vuol dire che prossimamente invece delle manifestazioni di Occupy Wall Street, vedremo quelle di Occupy The World".

Ne Il piccolo golpe d'autunno, da cui riportiamo il passaggio sopra, si fa giustamente il collegamento tra l'avvento dei governi tecnici e il diffondersi globale delle rivolte. Il marasma sociale in corso è un fenomeno unitario anche se a livello locale assume caratterizzazioni particolari. E al surriscaldarsi della situazione gli Stati rispondono con ulteriori giri di vite, a livello legislativo e non. Insomma, le democrazie si blindano sempre più.

In una situazione economica disastrosa come quella attuale, la lentezza del Governo Letta, nato per cambiare la legge elettorale, non era più sostenibile. Renzi, al contrario, si presenta come un giovane rampante. Ma non riuscirà a fare cambiamenti sostanziali se non metterà insieme una maggioranza compatta che gli consenta di operare in profondità. Nonostante l'ambiziosa agenda politica (a marzo la riforma del lavoro, ad aprile quella della pubblica amministrazione, a maggio il fisco), ci sono interessi organizzati che frenano le riforme poiché vedono intaccati privilegi e rendite di posizione. Ministeri, Provincie e Regioni hanno migliaia di dirigenti e altrettante migliaia di portaborse; è difficile per chiunque mettere le mani nel sottobosco dello stato italiano dove peraltro ci sono accordi con le mafie. Le reti di interessi hanno sempre influenzato l'azione dei governi, ma al di là dei mandanti reali, degli appoggi internazionali e delle lobbies, aspetti di cui sono ghiotti in questi giorni gli analisti politici che studiano Renzi, è alla sostanza storica dei processi che bisogna andare per cogliere le dinamiche di lungo periodo. La tendenza generale è quella del superamento della forma demo-fascista: se il fascismo aveva consolidato in modo definitivo il passaggio della sussunzione dello stato al capitale nazionale, i governi tecnici vanno ben oltre, poiché tentano di liquidare quel residuo di relativa autonomia dello stato nazionale nei confronti del capitale internazionale.

La proposta renziana del contratto unico per tutti risponde al tentativo di razionalizzazione del meccanismo di contrattazione e mette in discussione l'abitudine storica a negoziare per mestiere e per categoria. E' curioso che la borghesia faccia delle proposte del genere: la riunificazione contrattuale è sempre stata una richiesta della nostra corrente poiché facilita l'organizzazione di tipo territoriale. Un altro dei punti di programma annunciati dal Presidente incaricato riguarda la legge sulla rappresentanza sindacale. In questo caso si tratta di suggellare legislativamente il testo unico firmato dai confederali per definire le nuove regole della rappresentanza. Dal punto di vista democratico, ci fanno sapere gli esponenti della cosiddetta sinistra sindacale, con il testo unico viene sequestrata la libertà dei lavoratori di scegliere i propri rappresentanti e viene cambiato il dna del sindacato. In realtà, manovre di questo genere ottengono l'effetto opposto a quello voluto: quando il proletariato è costretto, mosso dall'esasperazione, a scioperare in massa occupando strade e piazze, non bada a regole e sanzioni e rompe sia con lo Stato che con le proprie organizzazioni acquiescenti. In questo quadro si inseriscono gli schiaffi e gli spintoni volati qualche giorno fa durante un attivo regionale della Cgil a Milano, a dimostrazione che qualche meccanismo si è inceppato all'interno dell'organizzazione. I dissidenti sono stati cacciati dal servizio d'ordine per aver distribuito ai delegati un volantino contro l'intesa sulla rappresentanza, che ricordava la singolare coincidenza tra l'assemblea per il sì al testo unico ed il 14 febbraio 1984, giorno del Decreto Craxi per il taglio alla Scala Mobile dei salari. Il sindacato per sua natura deve rappresentare i lavoratori nella lotta per migliori condizioni di vita ma, dato l'attuale modello corporativo, non può che firmare contratti peggiorativi.

Utile la lettura di alcuni passaggi presi da La classe dominante italiana ed il suo stato nazionale del 1946, e da Il ciclo storico del dominio politico della borghesia del 1947. Nel primo testo si fa un excursus sulle peculiarità geostoriche della Penisola in relazione alla formazione dell'unità italiana:"Alla vigilia del prevalere del capitalismo nell'economia europea, per quanto questo avesse in Italia salde radici e secolari inizi, non era affatto compiuta l'evoluzione statale che poteva permettere alla borghesia italiana di trovare un centro statale solido di cui impadronirsi per accelerare al massimo il ritmo della trasformazione sociale". La rivoluzione borghese italiana di metà Ottocento avviene in ritardo rispetto a quella di Francia e Inghilterra ed è ottenuta perlopiù grazie all'abilità politica e alle manovre diplomatiche dello staterello piemontese, gonfiatosi a nazione italiana. Tale spregiudicatezza continua con altri attori nel secondo dopoguerra, quando si chiama il proletariato a raccogliere il tricolore gettato nel fango dalla borghesia. In Italia sopravvivono, secondo Togliatti, sacche di feudalesimo da estirpare e a tal fine bisogna mettere da parte le differenze di classe e lottare tutti insieme, proletari e borghesi, per il progresso della nazione. Quando ha esordito sulla scena storica, la borghesia ha spazzato via con la violenza le vecchie classi dominanti, soprattutto in Francia, forte di una teoria rivoluzionaria che ha fatto piazza pulita della concezione del potere come diritto divino o ereditario, introducendo un principio filosofico per cui tutti gli uomini nascono uguali: "Costruì così una nuova e moderna impalcatura ideologica, che volle presentare come di portata universale e definitiva, come trionfo della verità contro la menzogna dell'oscurantismo religioso e assolutistico. In effetti, tale nuova impalcatura ideologica, alla luce della critica marxistica, non è che una nuova costruzione rispondente ai nuovi rapporti di classe ed alle nuove esigenze della classe assurta al potere. Nel campo politico, la borghesia condusse l'assalto rivoluzionario al potere dello Stato, e se ne servì per infrangere tutti i vecchi vincoli allo svolgimento delle forze economiche di cui era l'espressione". Nella prima fase la borghesia ha lottato duramente per arrivare al potere, utilizzando anche forze sociali non borghesi per i suoi fini. Arrivata al potere, con il monopolismo e l'accentramento delle funzioni statali, essa ammette storicamente di temere di essere spodestata, e dichiara guerra aperta al proletariato.

Ora, con l'aumento dei senza-riserve, il timore dell'1% si sta trasformando in terrore. A Roma durante la manifestazione degli artigiani e dei commercianti, il leader di Confcommercio ha dichiarato che è pericoloso lasciare famiglie e giovani sull'orlo della disperazione e che il "sistema ci soffoca". In realtà il sistema cerca di contenere il disordine reagendo ad una pressione sociale crescente e per farlo non può che blindarsi a livelli sempre più elevati. Sembra però servire a poco. In Ucraina la situazione è fuori controllo, la rivolta si sta trasformando in guerra civile, e viene naturale fare un collegamento con quanto successo in Bosnia, Serbia, Thailandia, Egitto, Turchia e Brasile. Milioni di individui in diversi paesi si stanno sincronizzando attraverso Internet, radio, giornali e televisione, e la rivolta "contro il potere" scavalca i confini nazionali. Ma come le sommosse tendono a sincronizzarsi, così anche la risposta degli apparati repressivi statali è sincronica. In Turchia il Presidente Gul ha emanato una nuova legge per il rinforzo del controllo su Internet, che è stata giudicata "liberticida" dall'opposizione e da numerose organizzazioni non governative internazionali. In Spagna le autorità hanno promulgato leggi che vietano o limitano fortemente l'organizzazione di flash mob e proteste via social network. Curiosa la nascita, da una costola del movimento 15M-Indignados, del Partido X (partito futuro), movimento anonimo (simile al nostrano M5S) il cui programma ha come slogan "Democrazia e punto" e si basa su quattro argomenti: referendum, wikigoverno, voto permanente e trasparenza. Dall'Italia, per ora, si esporta solo generica indignazione interclassista.

La teleconferenza si è conclusa con la lettura di un passo dell'Antidühring di Engels: "La borghesia non poteva trasformare i primi limitati mezzi di produzione in poderose forze produttive senza trasformarli da mezzi di produzione dell'individuo in mezzi di produzione sociale e atti ad essere usati da una comunità di uomini [...] La proprietà da parte dello Stato delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma essa racchiude il mezzo formale, il manubrio della soluzione. Questa soluzione può consistere soltanto in ciò: che la natura sociale delle forze produttive viene effettivamente riconosciuta, e quindi il modo di produzione e di distribuzione è messo all'unisono col carattere sociale del mezzo di produzione [...] Le leggi economiche agiscono come quelle naturali. Una volta conosciute e comprese, diverranno da indemoniate dominatrici nostre, serve volenterose". Il capitalismo è il peggior nemico di se stesso. Ha socializzato la produzione a livelli mai visti prima: tutti siamo interconnessi e non sono più possibili movimenti autonomi locali non collegati tra di loro. Il processo in corso è irreversibile.

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