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  • Venerdì, 05 Aprile 2019

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  • Resoconto teleriunione  2 aprile 2019

La rivoluzione non è intermittente, c'è sempre

La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul monito lanciato dalla direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, in un intervento alla Camera di commercio di Washington: "L'economia mondiale sta attraversando un momento delicato [...], il 70% dei Paesi si troverà ad affrontare un rallentamento della crescita nel 2019."

Le economie della maggior parte dei paesi si stanno sincronizzando su un basso livello di crescita, fatto legato allo storico andamento asintotico degli incrementi relativi della produzione industriale. A ciò si aggiunge la situazione politica che non facilita le cose: mentre l'incombente crisi bis avrebbe bisogno di una sintonia internazionale in termini di coordinamento rispetto alle misure d'intervento, avanza l'area politica cosiddetta sovranista che propugna protezionismo, rilocalizzazione, espulsione della manodopera straniera, svalutazioni competitive, esattamente il contrario di quello che servirebbe. Il Capitale, globalizzato e autonomizzato come non mai, deve fare i conti con le borghesie nazionali che per proteggere i loro interessi particolari tirano i remi in barca, minando quelli generali.

A proposito di irrazionalità sistemica, abbiamo parlato del caos Brexit. I laburisti di Corbyn stanno cercando di sfruttare la situazione per danneggiare i conservatori, ma se andassero al governo si troverebbero alle prese con i medesimi problemi. Il Regno Unito, che fino a pochi anni fa si comportava da paese imperialista, adesso è passato alla difesa passiva, preoccupato delle conseguenze delle sue azioni. Andando oltre l'aspetto politico, è da notare che il PIL inglese è composto per l'80 per cento dai servizi, e ciò significa che Londra importa praticamente tutto dall'estero. Il paese, non partecipando alla zona euro ma accordandosi in maniera limitata per il movimento di merci, è nei confronti dell'Europa nella stessa condizione di Turchia o Norvegia. La City londinese muove centinaia di miliardi di euro al giorno, ma l'industria manifatturiera è ridotta ai minimi termini, e lo stesso vale per l'agricoltura. Con la Brexit la circolazione di merci, semilavorati e macchine utensili all'interno del circuito dell'UE andrebbe incontro ad intoppi e problematiche che potrebbero rappresentare un grosso pericolo per l'economia inglese, ma anche per quella europea. Sono in molti nel paese anglosassone ad aspettarsi sviluppi catastrofici da questa situazione, in primis tutte quelle aziende che hanno già lasciato Londra spostando la loro sede altrove. Insomma, il pasticcio inglese conferma ancora una volta che il controllo dello Stato sul Capitale non è più possibile, mentre è il Capitale che fa muovere gli Stati, i quali non riescono proprio a mettersi in sintonia con il Sistema.

Problemi di natura economica producono caos e fibrillazione a livello politico, accompagnati da fenomeni di insofferenza e disagio sociali. Crisi economica, caos istituzionale e movimenti di piazza più o meno polarizzati, fanno parte di un unico processo che nella rivista abbiamo definito "Il secondo principio" (riferendoci a quello della termodinamica che registra la perdita locale di energia nei sistemi chiusi, il passaggio da stati ordinati meno probabili a stati caotici, più probabili).

In Turchia l'opposizione laica ha strappato ad Erdogan i principali centri urbani; il partito del presidente resta al 50% ma perde Istanbul ed Ankara. Secondo la maggior parte degli osservatori, la principale causa di questo risultato è da ricercare nella crisi economica che ha investito il paese. Lo stesso discorso vale per l'Algeria, dove Bouteflika si è dimesso dopo manifestazioni oceaniche che hanno coinvolto milioni di persone. Anche in Inghilterra, recentemente, sono scese in piazza contro la Brexit un milione di persone. In Francia, dal 17 novembre scorso, ogni sabato ci sono le manifestazioni dei gilet jaunes, movimento che resiste nonostante la militarizzazione e la violenza della polizia. In Italia a causa dello scontro continuo tra Lega e 5 stelle il governo è traballante, e il presidente della Commissione europea Juncker si è detto "preoccupato per l'economia italiana", specie per le riforme "Quota 100" ed il reddito di cittadinanza, alla luce degli indici della crescita del Pil italiano, atteso con il segno meno per il 2019. La Spagna è alle prese con una situazione politica complicata dopo che la regione della Catalogna ha indetto, il 1° ottobre 2017, un referendum sull'indipendenza dallo stato centrale, il quale è intervenuto con forza schierando la polizia, sospendendo l'autonomia catalana e rimettendo i poteri nelle proprie mani: nella penisola iberica è in corso una polarizzazione di tipo nazionalistico interna alla borghesia, per cui una parte è schierata per l'autonomia catalana e l'altra per lo stato centrale.

La relazione "Fiorite primavere delle rivoluzioni" (72° incontro redazionale), titolo ripreso dal filo del tempo "Fiorite primavere del Capitale", ha voluto ribadire uno dei concetti fondamentali della Sinistra Comunista: se c'è la controrivoluzione vuol dire che la rivoluzione è in marcia. La controrivoluzione, per essere tale, deve fare propri alcuni elementi della rivoluzione, mistificandoli e utilizzandoli per ritardarne l'avvento. Volendo, possiamo fare un parallelo con le "cause antagonistiche" alla caduta tendenziale del saggio di profitto (aumento del grado di sfruttamento del lavoro, riduzione del salario al di sotto del suo valore, ecc.): esse sono in grado di annullare la legge solo temporaneamente perché anche le controtendenze, in ultima analisi, si trasformano nel loro contrario.

In tutte le rivoluzioni passate non c'è stata coerenza tra i motori, gli attori e i militi: a condizioni mature, le rivoluzioni sono avvenute comunque, utilizzando brutalmente gli utensili disponibili. Pur se non è protagonista il proletariato in quanto classe con il suo partito, la talpa scava le fondamenta della società capitalistica e in qualche modo la rivoluzione affina i suoi strumenti. Il determinismo economico e storico è più robusto delle determinazioni politiche; il passaggio da un modo di produzione all'altro avviene quando deve e non quando le classi sono "pronte" con i loro schieramenti anagraficamente accertati. Anzi, questo non è mai successo ed è probabile che non succeda nel corso della prossima (presente) rivoluzione. Il determinismo economico che sta dietro i grandi sconvolgimenti storici va oltre le classi che sono presenti sulla scena storica. Le rivoluzioni trovano gli attori esistenti, travolgono tutto e obbligano la formazione di organismi che anticipano il futuro. Per la nostra corrente, le rivoluzioni e i partiti non si fanno, si dirigono ("Partito e azione di classe", 1921). Il comunismo è il divenire della specie umana, il passaggio rivoluzionario da n a n+1, dalle società originarie alla società futura, attraverso la breve parentesi di quelle divise in classi. La rivoluzione non è intermittente: essa è sempre in corso e con la bussola-teoria la si può riconoscere anche quando lavora anonimamente nel sottosuolo. E' quanto troviamo scritto nella presentazione sul nostro sito del quaderno Riconoscere il comunismo:

"Non basta richiamarsi al comunismo. Lo fanno gli stalinisti, lo fanno gli eredi della tradizione proudhoniana, lo fanno le frange anarcosindacaliste e consigliari. Non basta lavorare organizzati in partito, lo fanno anche i borghesi. Come spiega un sottotitolo, che è stato posto a intestazione del volume, bisogna riconoscere il comunismo... contro tutto il variegato panorama dei rinnegatori, innovatori, raddobbatori e mistificatori in genere."

In chiusura di teleconferenza, si è commentata la legge sul copyright approvata recentemente a Bruxelles e voluta soprattutto dai grandi gruppi editoriali che accusano i big della Rete di macinare profitti grazie al lavoro altrui, senza dare nulla a chi produce le informazioni e/o ne detiene i diritti. La direttiva europea, che vuole obbligare i motori di ricerca, le piattaforme social o i siti aggregatori di notizie a pagare ai giornali una quota per la pubblicazione delle anteprime degli articoli, segue ai tentativi messi in piedi qualche anno fa in Spagna e Germania, entrambi falliti. Il vecchio mondo della carta stampata non ci sta a finire in un angolo e prova a resistere, attuando misure che molto spesso si rivelano la classica "zappa sui piedi".

La norma prevede inoltre che il controllo del materiale caricato dagli utenti sia effettuato dal gestore della piattaforma, in modo da bloccare a priori la violazione dei diritti d'autore. In molti temono che questo potrebbe tradursi in una forte limitazione della circolazione dei contenuti (basata su algoritmi, vedi la tecnologia "ContentID" sviluppata da YouTube), se non in una e vera propria censura ad opera dei monopolisti della rete che ad oggi detengono i dati di miliardi di persone.

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