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  • Sabato, 08 Agosto 2020

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  • Resoconto teleriunione  4 agosto 2020

Record storici

La teleconferenza di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata con l'analisi degli ultimi dati macroeconomici, a cominciare da quelli degli Usa.

Secondo un recente articolo del Sole 24 Ore ("Stati Uniti, il Pil crolla del 32,9% nel secondo trimestre, record dal Dopoguerra"), "l'economia americana nel secondo trimestre ha sofferto una contrazione record del 32,9% su base annuale, paralizzata dallo shock della pandemia da coronavirus e dei lockdown delle attività per cercare di arrestarla. Anche considerando la contrazione dell'output tra aprile-giugno rispetto al primo trimestre dell'anno, anziché la tradizionale misura che proietta i dati nel corso di un intero anno, il crollo è stato ugualmente di dimensioni storiche, pari al 9,5 per cento."

L'andamento trimestrale dell'economia viene calcolato al fine di fare una previsione sul PIL annuale, considerando anche la possibilità di recupero in base alla capacità produttiva del sistema-paese. Il calo del 32,9%, anche solo per un trimestre, è un dato spaventoso, soprattutto se confrontato con il -8% raggiunto nel quarto trimestre del 2008, l'anno del grande crack economico scatenato dalla crisi dei mutui subprime. Va ricordato che oggi l'ammontare dei titoli subprime è quasi nullo rispetto alla liquidità immessa nel sistema dalle banche centrali negli ultimi anni.

Tutte le volte che si verifica una crisi, le economie si sincronizzano seguendo una curva asintotica, ma rimangono, allo stesso tempo, concorrenti (come nel caso di Cina e Usa che continuano a farsi la guerra, la prima aumentando la penetrazione nel mercato americano, la seconda cercando di contrastarla). Per il 2020 è previsto il segno negativo anche per il PIL di diversi paesi europei: Germania -10,1%, Francia -13,8%, Spagna -18,5%, e Italia -12,4%. Pur trovando un vaccino contro il Coronavirus, il capitalismo non potrà uscire dalla crisi storica che lo attanaglia. L'alta composizione organica del Capitale si traduce nell'impiego di sempre meno forza lavoro per produrre sempre più merci, e ciò significa la crisi della legge del valore. In questo contesto la pandemia ha semplicemente fatto venire a galla, ovunque, contraddizioni preesistenti legate alla struttura del sistema produttivo, a sua volta connessa alla situazione economica internazionale.

La scomparsa della middle class negli Usa mette in discussione, insieme ad altri fattori, il ruolo di locomotiva dell'economia mondiale del paese. Dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi, gli Stati Uniti sono passati dal detenere il 50% circa del PIL mondiale ad uno scarso 20% degli ultimi decenni. Il tracollo è causato dalla struttura materiale della produzione del valore: l'80% del PIL proviene dal settore dei servizi, con una grossa quota derivante da brevetti e diritti d'autore e una produzione industriale in netto calo. Sono dati importanti perché riguardano non un paese qualunque ma il gendarme mondiale, da qualche mese messo a dura prova anche dalla diffusione del Coronavirus che ha provocato più di 155mila morti.

Proprio la struttura della società americana può essere utile a spiegare certe dinamiche. Werner Sombart nel suo saggio del 1906 Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo?, riporta l'intervista a un sindacalista americano dell'AFL in cui questi dichiara che il sindacato non è pregiudizialmente contrario al sistema salariale: se il capitalismo migliora le condizioni di vita della classe operaia, il suo sindacato è ben lieto di tenerselo! Certo, se il capitalismo portasse a peggiorare il livello di vita dei lavoratori, si potrebbe prendere in considerazione l'idea di cambiare sistema e di sostituirlo con altro.

Secondo Sombart, il socialismo negli Usa non si è mai radicato (mentre in Europa è stato tutto un fiorire di movimenti e partiti socialisti) a causa di una frontiera ancora intatta da oltrepassare (siamo agli inizi del Novecento), costituita da ampi spazi vergini da conquistare che invece in Europa si sono esauriti. Qualora questi confini si restringessero, le motivazioni che hanno fatto crescere e prosperare il capitalismo americano gli si ritorcerebbero contro, portandolo al collasso e facendo sorgere dalle sue ceneri il socialismo.

In questi mesi di confinamento sanitario l'utilizzo dello smart working è aumentato provocando effetti a catena: chi lavora da casa consuma meno risparmiando su spostamenti, pasti, carburante, ecc. E visto che il risparmio economico c'è anche per le aziende, è difficile immaginare che si tornerà indietro, specie in settori ad alta tecnologia come quello dei servizi. Il telelavoro ha subito una profonda accelerazione, proprio come il denaro elettronico su cui gli stati stanno spingendo, anche per combattere l'evasione fiscale.

Un altro dato interessante è quello che riguarda i disoccupati: negli Usa sono circa 30 milioni i lavoratori che percepiscono una qualche forma di sussidio di disoccupazione. Misure di reddito di base o di cittadinanza erano in corso in molti paesi già prima dello scoppio della pandemia e ora non potranno che aumentare, andando a sostenere i consumi e a frenare l'esplosione di rivolte sociali. Il sistema capitalistico, nel tentativo di salvarsi, è spinto oltre sé stesso. Niente di nuovo: negli anni Venti il fascismo riuscì a bloccare la rivoluzione perché fece proprie alcune istanze riformiste del socialismo.

Se da una parte il capitalismo si smaterializza (nei paesi più sviluppati la maggior parte della forza lavoro è impiegata nei servizi), dall'altra è costretto ad introdurre un reddito di cittadinanza. Su Bin-Italia, sito dedicato alla raccolta di informazioni da tutto il mondo sul fenomeno del reddito di base, è segnalata la prossima iniziativa in sostegno a questa misura economica, una marcia che si terrà il 19 settembre in decine di città. La parola d'ordine del salario ai disoccupati è stata fatta propria da gruppi che non si richiamano al comunismo né tantomeno al proletariato, e lo stesso discorso vale per la riduzione dell'orario di lavoro: di fronte all'emorragia occupazionale, anche in ambienti borghesi inizia a sentirsi parlare di redistribuire le ore di lavoro. Da qualsiasi angolazione lo si guardi, il sistema è maturo per un salto ad un altro paradigma.

L'Italia è uno dei pochi paesi che ha inserito il blocco dei licenziamenti nei provvedimenti d'urgenza dovuti alla pandemia, il che ha sollevato le proteste dei capitalisti. Evidentemente la borghesia italiana, che per prima ha sperimentato il corporativismo, ha molta paura dell'instabilità sociale al seguito di questa crisi, anche perché è cosciente che le rivolte che avvengono in tutto il mondo, prima o poi, scoppieranno anche qui.

A proposito di marasma sociale, negli Usa sta scricchiolando il fronte interno: nelle ultime settimane, dopo le rivolte per la morte di George Floyd, gli scontri di Portland hanno visto una dura risposta statale con la militarizzazione della città. Gli Stati Uniti sono la punta avanzata del capitalismo, e quindi maggiori sono le contraddizioni sociali che maturano al loro interno. Ma le manifestazioni avvengono un po' dappertutto, ad esempio in Libano, paese tecnicamente fallito, dove alla crisi economica e sanitaria segue quella sociale (si sono verificati alcuni suicidi per fame). Oltre al fenomeno delle rivolte, esiste quello del collasso degli stati legato all'eclissi di questo modo di produzione. I problemi stanno diventando sempre più sistemici e gravi, e gli stati trovano sempre più difficoltà ad auto-regolarsi e a dare risposte adeguate alle popolazioni immiserite. Nell'Imperialismo Lenin sostiene che il capitalismo, giunto alla sua fase senescente, si configura come un involucro che non corrisponde al contenuto; questo significa che prima o poi deve manifestarsi un'organizzazione comunista internazionale, la quale, come la rivoluzione, non nasce dal nulla. Le manifestazioni sono sempre più distruttive, non avanzano rivendicazioni, sono tendenzialmente antiforma, e gli stati le trattano come vere e proprie insurrezioni.

Nell'articolo della rivista "Un modello dinamico di crisi" (2008) abbiamo utilizzato i dati forniti da centri di ricerca borghesi per costruire un diagramma che indicava il punto di collasso del sistema capitalistico intorno al 2030:

"Unificando i parametri del 'nostro' modello con quello standard del MIT e con quello della GFN, senza dimenticare il picco del petrolio, la proiezione che se ne ricava è inesorabile: al 2030 il sistema salta. Pur avendo spiegato come leggere le proiezioni di un modello dinamico, siamo sicuri che fra vent'anni qualche cretino verrà a chiederci conto delle nostre 'profezie'."

Fare previsioni è doveroso per i comunisti, essendo i militanti della rivoluzione degli esploratori nel domani. Fare una previsione significa basarsi sui dati reali per costruire modelli al fine di capire cosa succederà nel futuro. E il metodo utilizzato è più importante del verificarsi della previsione stessa. Non sono passati tanti anni dall'articolo citato e possiamo constatare che la crisi si è aggravata più velocemente di quanto avessimo previsto: il mondo borghese è in una fase di collasso, in una situazione inedita per cui in breve tempo è entrato in subbuglio ogni continente: non c'è un paese che sia stabile, le popolazioni fibrillano e tendono, per le motivazioni più disparate, a rivoltarsi contro i propri governanti (migliaia di persone stanno manifestando con motivazioni irrazionali contro il lockdown in Germania, Francia e Australia), in alcuni casi con assalti ai parlamenti, incendi di uffici governativi e occupazioni di piazze.

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