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  • Sabato, 24 Ottobre 2020

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  • Resoconto teleriunione  20 ottobre 2020

L'impossibile ripartenza del mondo capitalistico

La teleconferenza di martedì sera, presenti 21 compagni, è iniziata dall'analisi dello stato dell'economia cinese.

Nell'articolo "L'economia della Cina esce per prima dalla crisi per la pandemia: Pil +4,9% nel terzo trimestre", pubblicato dal Corriere della Sera lo scorso 19 ottobre, vengono riportati diversi dati sull'andamento del sistema economico del paese asiatico, che nel 2019 ha registrato una crescita ufficiale dello 6,1%, per poi subire nei primi mesi del 2020, a causa del lockdown, un calo del 6,8% e successivamente, nel secondo e terzo trimestre, vedere invece un riassestamento con un +4,9%. Pechino ha risposto alla crisi internazionale puntando ad un forte sostegno dei consumi interni e su investimenti pubblici in grandi opere.

Evidentemente, il mercato lasciato a sé stesso non funziona, e lo stato è costretto ad intervenire affinché l'economia non crolli. Detto questo, il capitalismo è una rete di interessi che copre il pianeta e se il resto del mondo entra in crisi profonda e i consumi crollano, le ripercussioni sono inevitabili, anche per la "fabbrica del mondo":

"Se i consumi interni dei cinesi risalgono, ha senso tenere aperte le fabbriche italiane specializzate in export. Ma resta l'incognita grave della seconda ondata di coronavirus in Europa, che può riavviare la spirale di depressione: se si fermano di nuovo i consumi degli occidentali costretti a restare a casa, soffre anche la macchina dell'export cinese, che conta ancora per il 17% del Pil." (Corriere della Sera, 19.10.2020)

Nel nostro articolo "Imperialismo in salsa cinese" abbiamo messo in luce il cambiamento in corso della struttura dell'economia cinese. Al pari degli altri paesi, anche la Cina si trova di fronte alla crescita del debito pubblico e privato, mentre il rapporto con gli Usa si fa sempre più distorto:

"Detto in estrema sintesi, gli americani acquistano merci cinesi in grande quantità senza un corrispettivo di acquisti cinesi di merci americane; si dilata perciò il deficit commerciale americano, cioè il surplus cinese, che permette alla Cina di acquistare parte del debito pubblico di Washington e di innescare lo stesso meccanismo nei confronti di altri paesi."

Dalla crisi del 2008 in poi, la finanziarizzazione dell'economia non ha fatto che aumentare. Non sono state solo FED e BCE a pompare liquidità nei mercati, ma anche la Banca Popolare Cinese, ed il risultato è stato che l'economia mondiale si è indebitata a livelli record. Le cifre in ballo sono al di fuori di qualsiasi confronto con situazioni del passato, la scala è di gran lunga maggiore. Un'opera gigantesca quale l'ampliamento del Canale di Panama ha richiesto contratti per qualche decina di miliardi di dollari; nei primi mesi del 2020 gli investimenti nel progetto di raddoppio della rete ferroviaria cinese ad alta velocità hanno comportato una spesa di alcune decine di miliardi di dollari, cifra paragonabile all'attività della borsa di Shanghai in un solo giorno. Sono ben altri i numeri necessari a risollevare l'economia mondiale, soprattutto se rapportati ai 2,2 milioni di miliardi di dollari in derivati in circolo nel sistema finanziario.

Questa società ha difficoltà enormi a realizzare progetti sociali, e lo si vede bene con la (non) gestione della pandemia in corso. I diagrammi che chiunque può reperire su Internet, ad esempio quelli della Protezione Civile, mostrano curve ad andamento esponenziale. In Italia si sono registrati 69mila nuovi casi di contagio in una settimana, con un incremento del 96% rispetto ai sette giorni precedenti. Nella conferenza stampa del 18 ottobre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, intervenuto per presentare il nuovo DPCM, si è complimentato con il Paese per un'inaspettata ripresa economica che ha superato quella di Francia, Germania e Spagna. Peccato che questa crescita si stia rivelando solo un piccolo rialzo dovuto alle riaperture estive. I dati sono riportati nell'articolo di Repubblica "Pil: l'illusione è finita, in inverno si rischia il ritorno alla crescita zero" (19.10.20).

Visionando alcuni grafici tratti dall'ultimo rapporto del FMI relativi alle maggiori economie ("World Economic Outlook"), si nota che il debito pubblico mondiale, dal 1970 in poi, è sempre aumentato, segnando un record durante le due grandi guerre. Altri picchi di crescita si sono verificati nel 2008 e nel 2020 (in seguito ai lockdown), ma senza che intercorressero conflitti mondiali paragonabili a quelli del XX secolo. Durante i periodi di chiusura, i paesi avanzati hanno cercato di sostenere la produzione e i consumi, difendendo le industrie medie e grandi. Sappiamo però che in assenza della distruzione di forze produttive in eccesso, funzionale al riavvio di grandi cicli di accumulazione, non è prevedibile un nuovo boom economico. Negli ultimi anni il debito dei maggiori paesi è servito a sostenere una crescita che in realtà non esiste, è fittizia. Anche i mercati cosiddetti emergenti hanno adottato la stessa strategia. A differenza del periodo post-bellico, quando c'era un mondo da ricostruire e salariati da impiegare, oggi che invece ci sono i robot, operai e impiegati vengono espulsi dai luoghi di lavoro, e le mezze classi si impoveriscono. Finita l'era del carbone e dell'acciaio, il Capitale non può sopportare l'era della leggerezza, dei bit senza peso e della smaterializzazione delle merci.

Il capitalismo è come un drogato che per restare in vita deve assumere dosi sempre più grandi di droga, in questo caso di debito pubblico. Il sistema è entropico. Ed entropia significa perdita di vitalità, perdita della capacità riproduttiva di un organismo, la quale è per definizione irriformabile. Tutte le controtendenze che hanno prolungato l'agonia dell'attuale modo di produzione non sono più in grado di rivitalizzarlo. Per esempio le maxi-iniezioni di moneta nel circuito del credito-debito, che ormai non hanno più l'effetto sperato. La FED, come nota Business Insider, si è spinta fino a comprare il debito della fallita Hertz, agendo in un mercato dove le banche centrali comprano asset per 2,4 miliardi all'ora. Questo tipo di interventi sono chiari indicatori dei problemi profondi che attanagliano il funzionamento dell'economia di mercato.

Un altro grafico che abbiamo avuto modo di prendere in considerazione mostra l'incremento negli ultimi anni delle situazioni dei "civil unrest" (disordini civili). Nell'articolo "Marasma sociale e guerra" (2001) avevamo notato che le zone maggiormente interessate dalle rivolte urbane erano principalmente il Nord Africa e il Medio Oriente. Adesso è tutto il mondo ad essere in subbuglio: negli ultimi giorni sono scese in strada masse di persone in Colombia, Nigeria, Indonesia, Grecia, Thailandia, Cile e Libano. Le rivolte, in maniera del tutto naturale, si stanno sincronizzando. Le motivazioni delle manifestazioni e la loro composizione di classe passano in secondo di piano di fronte alla realtà di un sollevamento generalizzato contro lo status quo.

In chiusura di teleconferenza, si è accennato ad un articolo del Corriere della Sera, "Il difficile equilibrio tra riforme e sicurezza" (19.10.20), che riprendendo l'ultimo rapporto IPSOS su democrazia e corpi intermedi descrive la pessima salute delle istituzioni italiane:

"Rafforzando tendenze già esistenti prima del Covid, la sfiducia verso le istituzioni aumenta fino a diventare largamente maggioritaria col crescere del livello di insicurezza personale, causata dalla compresenza di una serie di fattori: instabilità lavorativa, basso livello di istruzione, marginalità territoriale, qualità della vita affettiva e relazionale. Con punte che si raggiungono nella fase centrale della vita (30- 50 anni): in un Paese come l'Italia, a bassissima crescita ormai da molti anni, sono tanti coloro che hanno perso la speranza che le istituzioni politiche (ma anche le associazioni di rappresentanza, a cominciare dai sindacati) possano portare qualche beneficio alla loro vita personale."

Come andiamo dicendo da tempo, cresce la sfiducia nello stato, nei partiti e nelle organizzazioni sindacali ("Una vita senza senso"). In un contesto di miseria assoluta crescente, matura un senso di disagio profondo che la borghesia registra con preoccupazione nei suoi giornali.

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