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  • Venerdì, 14 Maggio 2021

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  • Resoconto teleriunione  11 maggio 2021

Vecchi paradigmi duri a morire

Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 22 compagni, abbiamo commentato la newsletter numero 243, uscita lo scorso 7 maggio, ed in particolare il trafiletto "Grazie, stato".

In un documento del SI Cobas dell'11 febbraio 2021, la prefettura di Piacenza viene ringraziata per la disponibilità dimostrata durante lo svolgimento della vertenza Tnt/FedEx: "[... Teniamo] a trarre un bilancio da sottoporre alla città di Piacenza al termine della dura vertenza FedEx-Tnt [...]. Prima di tutto, vogliamo ringraziare pubblicamente la Prefettura di Piacenza, segnatamente nelle persone della prefetta Dott.ssa Daniela Lupo e della capa di gabinetto Dott.ssa Patrizia Savarese, per la grande disponibilità e comprensione dimostrate durante tutto l'arco dello svolgimento della vertenza. Sappiamo che mediare nei conflitti di lavoro non rientra nelle prerogative ordinarie della prefettura, e per questo a maggior ragione ribadiamo il nostro ringraziamento [...] Piacenza è un territorio attraversato ormai da dieci anni da forti mobilitazioni degli operai della logistica, non possiamo che registrare con favore il crescente interesse e la crescente cura, pur nel rispetto dei rispettivi ruoli, verso questo ampio segmento di popolazione e di lavoratori piacentini [...]"

In seguito, per contrastare la chiusura dell'hub della multinazionale della logistica che rischia di lasciare sul lastrico 300 lavoratori, i sindacalisti di base hanno chiesto l'apertura di un tavolo interministeriale in sede istituzionale tra azienda e organizzazioni sindacali.

Non abbiamo particolari preferenze per questo o quel sindacato: oggi tutte le organizzazioni sindacali si muovono all'interno di un quadro corporativo che prevede la collaborazione con lo Stato. Sono dunque significative non tanto le prone dichiarazioni del sindacatino di turno, quanto il silenzio generale del milieu terzinternazionalista, soprattutto di coloro che rivendicano l'esperienza storica della Sinistra Comunista "italiana". Il nostro "detector" (come dicevano i vecchi compagni) registra, ancora una volta, una profonda omologazione dei militanti e dei gruppi "marxisti" entro questa società, e il trionfo di un paradigma che intende gli scioperi come un'arma di pressione per aprire la trattativa con la controparte, con tanto di ringraziamenti allo Stato e ai suoi servitori quando si riceve l'atteso riconoscimento.

Sarebbe quasi da augurarsi la scomparsa di tutti i sindacati fotocopia, che dividono gli operai secondo le ideologie invece di unirli secondo le loro esigenze, e la permanenza di un unico grande sindacato. Almeno, lo schieramento di classe sarebbe più evidente, così come la direzione verso cui orientare le pedate della storia. Insomma, meglio un sindacatone in cui organizzare una corrente classista che non tanti sindacati divisi, litigiosi ed inconcludenti. Nei primi anni Venti, con le piazze piene di operai in rivolta, la nostra corrente riusciva a portare l'USI, organizzazione di ispirazione anarco-sindacalista, nell'Internazionale Sindacale Rossa lanciando la parola d'ordine del fronte unico proletario. Poi, nel dopoguerra, il sindacato in Italia si divideva in tre tronconi per seguire gli interessi delle varie fazioni politiche (DC, PCI, PSI) e depotenziare la lotta operaia.

In "Partito rivoluzionario e azione economica" (1951), sono descritte le tre condizioni fondamentali, tutt'ora necessarie, perché possa emergere un movimento di classe con un chiaro indirizzo anticapitalista:

"Al di sopra del problema contingente in questo o quel paese di partecipare al lavoro in dati tipi di sindacato ovvero di tenersene fuori da parte del partito comunista rivoluzionario, gli elementi della questione fin qui riassunta conducono alla conclusione che in ogni prospettiva di ogni movimento rivoluzionario generale non possono non essere presenti questi fondamentali fattori: 1) un ampio e numeroso proletario di puri salariati; 2) un grande movimento di associazioni a contenuto economico che comprenda una imponente parte del proletariato; 3) un forte partito di classe, rivoluzionario, nel quale militi una minoranza dei lavoratori, ma al quale lo svolgimento della lotta abbia consentito di contrapporre validamente ed estesamente la propria influenza nel movimento sindacale a quella della classe e del potere borghese."

Le scissioni sindacali servono solo ai vertici che le organizzano, e non fanno altro che riprodurre in piccolo tutte le pratiche deleterie del bonzume confederale. Detto questo, il paradigma rivendicativo è fuori tempo massimo, specie quando milioni di proletari, soprattutto giovani, vivono in condizioni di estrema precarietà, con la prospettiva di non riuscire mai a trovare un impiego stabile.

Nel 1913, nell'articolo "Un programma: l'ambiente" pubblicato su L'Avanguardia, i giovani socialisti napoletani, in rotta di collisione con la direzione riformista del PSI, sostenevano la necessità di tagliare i ponti che univano gli operai alla società borghese. Oggi, invece, quelli che si definiscono "autorganizzati" si affannano a costruire collegamenti tra le classi.

Nel passato l'autorganizzazione in campo sindacale ha dato vita ad esperienze importanti, ad esempio i CUB e i COBAS, che si presentavano come radicale critica alla situazione esistente. Assemblee di lavoratori producevano documenti che da una parte mostravano una combattività notevole, e dall'altra "suggerivano" ai sindacati come fare il loro lavoro, ovvero difendere le condizioni di vita dei lavoratori. I CUB delle origini non si ponevano l'obiettivo di costituire un nuovo sindacato, ma di sviluppare un coordinamento di base, di tutti i tesserati e dei senza tessere, per avere voce in capitolo in materia sindacale, senza precludersi la possibilità di intraprendere azioni autonome. E' utile fare un confronto tra quello che erano questi organismi all'inizio e ciò che sono diventati oggi.

La lotta di classe non è una questione di forme di organizzazione ma di forza e, quando vi sono delle polarizzazioni sociali, nascono nuove strutture che prima nessuno si immaginava.

Nel 2013, in Turchia, una grande rivolta è partita dall'occupazione di Piazza Taksim. In maniera molto rapida si è formata una struttura organizzativa centralizzata chiamata "Solidarity Taksim": si trattava di un'aggregazione democratica e frontista, ovviamente interclassista, composta da 116 organismi diversi che andavano dai partiti tradizionali d'opposizione ai gruppi calcistici di ultras normalmente nemici, dai sindacati ai gruppi anarchici o "marxisti". Quelle forze sociali, per quanto eterogenee, si erano polarizzate con velocità incredibile, fornendo coordinamento e centralizzazione tramite l'ormai consueta rete dei social network (newsletter numero 199, 20 giugno 2013).

Come abbiamo scritto nell'articolo "Una vita senza senso", le vecchie strutture di controllo sociale come la famiglia, le parrocchie, i partiti e i sindacati, stanno perdendo energia, dato che la loro funzione storica è ormai esaurita. Il movimento di classe prossimo venturo si darà nuove strutture e la Rete svolgerà sicuramente un ruolo organizzativo fondamentale. E sarà di fondamentale importanza avere le idee chiare sul "che fare", se non altro perché gli agenti della borghesia cercheranno di influenzare qualsiasi movimento di massa che appaia sulla scena (vedi articolo "L'agente di influenza" della rivista italiana di Intelligence Gnosis).

La situazione attuale è diversa da quella che ha visto nascere i CUB perchè, da allora, è cambiata l'industria e quindi tutta la società. A fine anni Sessanta la Pirelli in Italia impiegava 65 mila addetti. Oggi, in Occidente, tali concentrazioni operaie non esistono più, la struttura produttiva si è distribuita sul territorio, anche attraverso la crescita della logistica, e si è ingrandita la componente di forza lavoro mondiale che non entrerà mai nel ciclo produttivo, ma rimarrà precaria, intermittente e senza riserve. Una forza enorme che, adeguatamente organizzata, può ottenere tutto ciò che vuole.

In chiusura di teleconferenza abbiamo accennato alle notizie provenienti dalla Colombia, che descrivono scenari di guerra civile con decine di morti, centinaia di feriti e di desaparecidos. La polizia e l'esercito utilizzano mortai ed armi da fuoco contro la popolazione e diverse città sono in stato d'assedio. L'innesco della protesta è stato l'annuncio di una riforma fiscale che avrebbe colpito i redditi medio-bassi, già provati dalla situazione economica disastrosa del paese (anche a causa della pandemia). La rivolta colombiana ricorda quanto accaduto a fine 2019 in Cile, dove masse di senza riserve riempirono le piazze per manifestare contro l'aumento del costo del biglietto della metropolitana; e si inserisce in un contesto generale che vede l'intero Sudamerica in subbuglio. Basti pensare ad Haiti, completamente fuori controllo, o alle operazioni terroristiche dello stato brasiliano nelle favelas. La guerra alla povertà si è trasformata in guerra ai poveri.

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