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  • Venerdì, 28 Ottobre 2022

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  • Resoconto teleriunione  25 ottobre 2022

Guerra integrata

La teleconferenza di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie riguardo alla guerra in Ucraina.

Trenta deputati del partito democratico americano hanno inviato una lettera al presidente Joe Biden con la richiesta di "raddoppiare gli sforzi per cercare un quadro realistico per un cessate il fuoco". I dem invitano l'amministrazione in carica a cambiare radicalmente la strategia sulla guerra in Ucraina, e sollecitano negoziati diretti con la Russia. I redattori della missiva sono una minoranza, ma questa iniziativa potrebbe determinare una spaccatura all'interno del partito proprio a ridosso delle delicate elezioni di midterm, quando è probabile che la maggioranza del Congresso passi ai repubblicani e che perciò l'approccio americano verso il conflitto in corso cambi. Una settimana fa il leader del Grand Old Party alla Camera, Kevin McCarthy, ha detto che in caso di vittoria del suo partito alle elezioni di medio termine "non ci saranno più assegni in bianco per Kiev".

Il fronte esterno di guerra influenza quello interno, e viceversa. Tutto va inquadrato alla luce della tensione sociale crescente negli Stati Uniti, anche per l'affare Trump. Sono infatti passate in sordina le perquisizioni dell'FBI nella casa dell'ex presidente, accusato di aver "volontariamente sottratto carte relative alla sicurezza nazionale Usa... nascosto o sottratto documenti pubblici" e "ostruito un'indagine federale". Gli apparati statali americani, che non sono così unitari come sembra, temono probabilmente che un'eventuale incriminazione di Trump per i fatti del 6 gennaio a Capitol Hill potrebbe scatenare movimenti di piazza da parte dei suoi sostenitori, i quali il più delle volte sono armati. Sui media americani si registra una certa apprensione verso certi eventi, come appunto le elezioni di midterm, che possono fare da catalizzatori per una resa dei conti tra gli opposti schieramenti.

È stato annunciato che il prossimo numero di Limes riguarderà la situazione molto complessa in cui si trovano gli Stati Uniti. Secondo la rivista di geopolitica, "la priorità americana non è far vincere Kiev ma controllare l'Europa... Washington cerca di evitare lo scontro diretto con Mosca. Vuole dissanguare la Russia e renderla inservibile per la Cina, non farsi strumento degli ucraini. Lo scontro vero è con Pechino."

Gli USA sono riusciti a compattare l'Europa in funzione antirussa, ma allo stesso tempo hanno lasciato i vassalli europei alle prese con gravi problemi energetici ed economici e, prossimamente, anche sociali. L'America, uscita vittoriosa dalla Seconda guerra mondiale, ha impiantato in giro per il mondo 800 basi militari, necessarie per il controllo dei flussi di valore internazionali; ha plasmato il mondo a sua immagine e somiglianza, vendendogli merci anche di carattere ideologico (cinema, musica, ecc.), esportando capitali in esubero, ma soprattutto instradando verso Washington il plusvalore prodotto altrove. Ora, la forza di obbligare il resto del pianeta a sostenere l'american style of life si sta incrinando. Il mondo non può permettersi che gli USA si facciano da parte, ma non può nemmeno accettare che essi continuino a vivere al di sopra dei propri mezzi. La coperta è diventata corta.

Andare oltre l'automatizzazione dei processi produttivi non è possibile, se non colonizzando altri pianeti (che poi è quello che sta provando a fare Elon Musk con la sua SpaceX). I robot installati nelle industrie non si riposano, non acquistano merce e, soprattutto, non producono plusvalore. Il capitalismo non ha più futuro, è un morto che ancora cammina.

La guerra moderna, tecnologica e automatica porta ad un salto di fase rispetto alle vecchie dottrine militari. I missili ipersonici, ad esempio, sono in grado di mantenere velocità superiori a cinque volte la velocità del suono, non possono essere intercettati dai sistemi radar, e una volta lanciati nessuna difesa è possibile. Rispetto a questo tipo di risorse belliche, i Russi sono più avanzati degli Americani (sembra che i missili russi Avangard possano raggiungere la velocità di 27 volte quella del suono); ma oltre alla qualità degli armamenti, ciò che conta è il loro utilizzo da un punto di vista sistemico. Al pari della produzione, le armi sono sociali e non individuali: un carro armato da solo è inutile, come parte di un'unità di combattimento è funzionale. Ogni paese fa la guerra con le armi che ha a disposizione, ma di fronte ad una escalation bellica chiunque schieri una portaerei individuabile dai sistemi d'arma moderni ha perso in partenza.

Il conflitto in Ucraina è la punta di un iceberg, il segnale di un qualcosa di grosso che sta montando a livello mondiale e che riguarda cambiamenti molto profondi nella struttura del capitalismo. In un articolo dal sito il sussidario.net ("Quello che i media non hanno raccontato del discorso di Xi Jinping", Mauro Bottarelli), si riportano due grafici piuttosto significativi sulla crescente egemonia del Dragone. Nel primo sono rappresentati i rapporti economici tra Cina e Germania (import/export), in cui si nota una Pechino quale primo partner commerciale di Berlino ma in "una dinamica che, a causa della crisi energetica e dell'inflazione, nell'ultimo periodo ha patito una biforcazione epocale: esportazioni tedesche verso la Cina stagnanti, esplosione dell'export cinese verso Berlino". Il secondo grafico è dedicato al rapporto economico tra Pechino e Mosca e mostra che il 52% delle importazioni totali russe è garantito dalla sola Cina. In questi ultimi anni il gigante asiatico ha intrecciato importanti rapporti economici con vari paesi africani, ha costruito una base militare a Gibuti e ha progettato di costruire una nuova Via della Seta, andando a mettere in discussione equilibri delicati a livello inter-imperialistico. Inoltre, "non è un caso che persino un alleato storico degli Stati Uniti come l'Arabia Saudita si sia stufata dell'atteggiamento rapace di Washington e abbia deciso di fare fronte comune con Mosca in sede Opec+, tagliando la produzione di petrolio e facendo infuriare la Casa Bianca." A ciò si aggiunge l'importanza che sta assumendo l'Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (SCO), che vede aumentare il numero di paesi membri (essa riunisce il 44% della popolazione globale e il 24% del Pil del mondo).

Nel discorso introduttivo tenuto al XX Congresso del PCC, il presidente Xi Jinping ha chiarito che non saranno ammesse interferenze esterne su Taiwan dato che si tratta di una questione interna alla Cina, la quale è pronta anche all'uso della forza per arrivare alla riunificazione. Il rapporto America/Cina è schizofrenico, entrambi i paesi hanno bisogno l'uno dell'altro ma, essendo il pianeta piccolo, non possono non pestarsi i piedi. Lo si è visto con le nuove restrizioni volute da Biden sulle esportazioni di chip in Cina: è proprio il Dragone a possedere buona parte delle "terre rare", le materie prime fondamentali per la produzione di apparecchiatura tecnologica. Il modo di produzione capitalistico è per sua natura contraddittorio, socializza al massimo la produzione ma concentra in sempre meno mani i profitti, in questo gli Stati Uniti sono maestri. L'ultimo colonialismo, quello a stelle e strisce, dopo aver colonizzato il mondo ha colonizzato la propria popolazione, che però ora comincia a percepire lo stato centrale come qualcosa di alieno. La classe media, che era il fiore all'occhiello del capitalismo americano, si sta ristringendo fino a scomparire, mentre la working class non ha più fiducia nel sistema e, schiacciata com'è da debiti e precarietà, sciopera in massa e rifiuta il lavoro (Great Resignation).

Per concludere, l'esito di questa guerra è aperto: tutti sono coinvolti, ma nessuno ha deciso chiaramente cosa fare. Sin dal tempo di Marx sappiamo che la Russia è rivoluzionaria quando si rivolge ad Est, e controrivoluzionaria se punta ad Ovest. Se il contenimento americano dovesse funzionare, la Russia sarebbe costretta a puntare verso l'Asia Centrale e questo sarebbe interessante per le possibili conseguenze, visto che lì si trova il cuore della Terra (Heartland), come diceva Mackinder, uno dei padri della geopolitica.

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