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Genesi e sviluppo della politica borghese (parte seconda)

La relazione, divisa in due parti, ha trattato nella prima la genesi e la formazione della politica partendo dalle forme embrionali dello stato comunale fino alla costituzione dello stato nazionale, attraverso il passaggio della rivoluzione borghese e lo sviluppo del modo di produzione capitalista. La seconda si è incentrata sull'uso di questa categoria nella storia del movimento operaio e delle sue correnti.

Siamo partiti dalla socialdemocrazia tedesca, analizzando alcuni tra i più rappresentativi scritti di Bernstein e di Kautsky per evidenziare:

  1. la crescente autonomia dei fattori ideologici (etici, morali, politici) rispetto alla struttura economica;

  2. assenza del determinismo storico;

  3. peso crescente dell'azione elettorale come strumento per la conquista del potere politico;

  4. conquista del potere politico e non distruzione dello stato borghese;

  5. la democrazia intesa, al contempo, come mezzo e scopo.

A quest'insieme di "precetti", Kautsky aggiunge la necessità di conquistare la maggioranza della nazione in cui si opera ed introduce prepotentemente l'elemento volontà inteso come il motore della lotta di classe (la volontà dei capitalisti e dei proletari di vivere meglio).

Sebbene si proponga di contrastare la deriva opportunista della socialdemocrazia, anche la sinistra europea (ad eccezione della Sinistra Comunista "italiana" a cui sarà dedicata la III parte della relazione) non è indenne da simili concezioni soggettiviste, sostenendo che l'educazione del proletariato è condizione essenziale per la vittoria.

In Gramsci il carattere idealista di queste concezioni trova il suo apice, attraverso i concetti di: "blocco sociale", "produzione ideologica del proletariato", "egemonia".

L'utilizzo di queste categorie attraverso cui il nascente movimento operaio vuole affermare la "sua politica" porta inevitabilmente a uno snaturamento; anziché affermare la natura irriducibilmente avversa del proletariato rispetto alle altre classi sociali della storia, mette in atto una politica di compromissione vieppiù crescente; le alleanze, la tattica affrontata come la risposta quotidiana e duttile, l'uso del parlamento, portano a una perdita d'identità irreversibile. Più che di degenerazione, però, si deve parlare di un cammino storicamente tracciato, viste le premesse.

Quanto è successo negli ultimi decenni distrugge definitivamente la politica intesa come rappresentazione di interessi di gruppi sociali o classi, essendo in gioco la sopravvivenza del modo di produzione capitalistico e ogni tentativo di scimmiottamento di questa categoria, anche e soprattutto se usata da chi dovrebbe essere irrimediabilmente antagonista a tutti i rapporti sociali di questo modo di produzione, diventa una riaffermazione, prima tragica, poi farsesca, dello stato di cose presenti. Ma soprattutto l'elemento più importante è la constatazione teorica ed empirica che lo schema utilizzato fino ad oggi, pur nelle varianti della cosiddetta "politica rivoluzionaria" non funziona, non produce risultati positivi ma il loro contrario e non può essere applicato da coloro che tentano di mettersi in armonia con il movimento reale.

 

(Traccia svolta durante il 61° incontro redazionale)

 

- Leggi la prima parte nel resoconto del 60° incontro redazionale

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