Stampa questa pagina
  • Venerdì, 21 Aprile 2017

Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  18 aprile 2017

Il ballo del mattone

I temi affrontati durante la teleriunione di martedì, a cui hanno partecipato 14 compagni, sono stati i seguenti: le città fantasma cinesi e la "legge della bicicletta"; debito globale: la Cina nel mirino; Bretton Woods: note sul numero 41 della rivista.

Ne avevamo parlato qualche anno fa in una newsletter in cui raccontavamo di Ordos, una città nel nord della Cina costruita dal nulla nel deserto mongolo per un milione di persone ma con appena 28.000 residenti. Oggi il fenomeno delle città fantasma cinesi ha raggiunto cifre impressionanti: sono 50 milioni le unità abitative non occupate e 6 miliardi i metri quadrati lasciati vuoti, a cui nel futuro si aggiungeranno quelli previsti dalle decine di piani di sviluppo edilizio locali per la costruzione di 3500 nuovi complessi abitativi per una capienza totale di 3,4 miliardi di persone, la metà della popolazione mondiale.

La spiegazione di tale irragionevolezza è presto data: gli investimenti nel settore non possono fermarsi perché, come scrive l'autore dell' articolo da cui abbiamo preso i dati, vale la cosiddetta legge della bicicletta: "se la macchina produttiva smette di pedalare cade e l'industria immobiliare, che coinvolge acciaio, cemento, vetro e carbone rappresenta con l'indotto almeno il 15% del Prodotto interno lordo". Ma, aggiungiamo noi, prima o poi a fermarsi sarà il sistema stesso, come si è visto negli Stati Uniti con la crisi dei mutui subprime.

La casa riassume in sé due stadi del capitale: è una merce che richiede altre merci per la sua produzione e perciò fa da stimolo all'economia (tra il 2011 e il 2013 la Cina ha consumato una quantità di cemento pari a quella utilizzata dagli Stati Uniti nel XX sec.), e successivamente, quando il costruttore e il proprietario hanno già intascato il suo valore lungo il periodo necessario a ricostituire il capitale anticipato più il profitto, diventa rendita, continuando nel tempo a portare denaro (sovraprofitto) nelle tasche di chi l'affitta. L'investimento nel mattone è stato fonte di sicurezza per il Capitale, ma un tale meccanismo a lungo andare può diventare pericoloso. La progettazione di centri abitati intorno a poli di sviluppo è tipica del capitalismo cinese; ma se l'urbanizzazione non avviene e le abitazioni rimangono vuote, allora sono problemi. Se la bolla immobiliare cinese scoppiasse, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Non solo perché si brucerebbero in un sol colpo tutti i capitali che si sono riversati in questi anni nel settore, ma soprattutto perché la Cina è il maggior possessore del debito americano: la crisi diverrebbe immediatamente mondiale.

La situazione degli investimenti nel mattone in Cina, con la costruzione di grandi aeree urbane destinate a rimanere vuote, è indice del generale peggioramento dell'economia nell'area, ma non solo. Alcune voci d'allarme si sono già levate: il debito cinese sta crescendo repentinamente tracciando una curva già vista in paesi come Giappone, Thailandia, Spagna, prima della crisi. Il Sole 24 Ore avverte: "la rapida crescita dell'indebitamento e le dimensioni del settore finanziario del Paese asiatico rappresentano una minaccia per la stabilità mondiale". Dallo scoppio della crisi dei mutui subprime, il debito pubblico globale è stato spinto ai massimi livelli, crescendo di circa 70 mila miliardi negli ultimi 10 anni (a fronte di un Pil di 77) e raggiungendo la cifra totale di 215 mila miliardi (il 325% del Pil globale).

Il fenomeno delle città fantasma, il cui meccanismo sottostante, abbiamo visto, è in realtà generalizzabile a tutto il capitalismo, porta a galla la mancanza di capacità di controllo sul fatto economico. In un articolo pubblicato sul numero 36 della rivista, Metropolis, una corrispondenza con un lettore sullo sviluppo delle megalopoli nel capitalismo, si osservava la stessa impossibilità di gestione, a livello potenziale, del fatto militare-politico, soprattutto se pensiamo ai grandi assembramenti urbani dove ormai da tempo si assiste ad interventi di polizia simili ad azioni di guerra. In Cina sono 102 le città che hanno raggiunto o superato il milione di abitanti; qui, come nelle altre grandi metropoli del mondo, il controllo esiste fino a quando non succede qualcosa: "Controllare Megalopoli è come controllare Internet: facilissimo, finché non succede niente, finché c'è tutto il tempo per separare 'il segnale dal rumore', cioè l'informazione che serve da quella inutile o dalla controinformazione". Significativo a tal proposito quanto successo tre anni fa in Brasile prima dei mondiali di calcio, o a febbraio scorso quando nello stato di Espirito Santo è scoppiato il caos a seguito dello sciopero della polizia: oltre 100 morti in 6 giorni.

Il capitalismo mostra i sintomi sempre più forti di un sistema out of control: le condizioni di vita sul pianeta continuano a peggiorare; ad esempio in America uno studio ha rilevato che la fascia di popolazione tra i 45 e i 54 anni sta morendo più velocemente - di droga, armi, suicidi, depressione, ecc. - rispetto agli altri paesi a causa del precipizio verso il basso della classe media.

La teleconferenza si è conclusa con un commento sui fatti di Fossano (sempre più frequentemente crollano ponti e viadotti) e con alcune osservazioni sul numero 41 della rivista, in uscita a maggio. Si è ricordato il motivo che spinse gli Stati Uniti a rompere gli accordi di Bretton Woods nel 1971, sospendendo la convertibilità dei dollari in oro.

Al tempo, dato che ai russi era stata imposta l'inconvertibilità del rublo, per le transazioni internazionali Mosca doveva procurarsi moneta americana soprattutto tramite materie prime. Nel trafficare con dollari al di fuori del mercato valutario controllato, succedeva che due transazioni ravvicinate e avvenute in due paesi diversi con scritture contabili moltiplicavano i dollari e, alla fine dell'anno, risultavano più bigliettoni verdi di quanti ne fossero usciti dal territorio americano. Il doppio conteggio "creava" i cosiddetti eurodollari e ad un certo punto la cifra era così alta che Washington non poteva far altro che bloccare il meccanismo, tanto più che il giochetto stava assumendo dimensioni gigantesche con l'intervento di un altro attore sulla scena, ben più potente, almeno dal punto di vista finanziario: l'Opec e i suoi petrodollari. Perciò, fra il 1970 e il 1971, il dollaro era diventato di fatto inconvertibile, anche perché non c'era oro abbastanza a Fort Knox. Fu quindi riformato il FMI (Triffin) e il dollaro non fu troppo penalizzato grazie alla fiducia sulla parola... e sulle portaerei.

Articoli correlati (da tag)

  • Capitale destinato ad essere cancellato

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.

    Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.

    Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.

  • Immobiliare cinese, debito e policrisi

    Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso l'argomento trattato nella scorsa riunione, ovvero l'aggravarsi della situazione economica cinese.

    Il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di dati sulla Cina da cui risulta che le amministrazioni locali delle province del paese hanno accumulato debiti per finanziarie il settore immobiliare e la costruzione di nuove infrastrutture ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino). Se alla cifra raggiunta dall'indebitamento pubblico (che ammonta a circa il 300% del PIL, circa 4700 miliardi di euro), si aggiunge quella relativa al governo delle province, vengono superati gli 8000 miliardi di euro. Ad essere in difficoltà non sono solo le amministrazioni locali e le famiglie, ma anche le banche, dato che sono state proprio queste a finanziarie il boom del mattone. Alcuni esperti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. Sappiamo, invece, che i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro globale. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA; una crisi finanziaria cinese avrebbe ripercussioni sul debito americano e su tutti i suoi rapporti commerciali (ad esempio quelli con la Germania che esporta molto verso il gigante asiatico). Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora sferrando un duro colpo alla Cina.

  • Rendita e proprietà

    Durante la teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, abbiamo ripreso gli argomenti trattati durante lo scorso incontro, ovvero la situazione climatica, il riscaldamento globale e il ruolo dell'attività umana (capitalistica).

    E' stato segnalato l'articolo "La soluzione capitalista per 'salvare' il pianeta: trasformalo in una classe di asset e vendilo", una lunga intervista a John Bellamy Foster, professore di sociologia ed editore della rivista online Monthly Review. Secondo lo studioso, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021, conosciuta anche come COP26, si sarebbe paventato un progetto per la finanziarizzazione dei processi naturali:

    "[…] il capitale è alla ricerca di nuovi flussi di entrate. E dopo la crisi finanziaria del 2007-2010, hanno iniziato a guardare sempre più ai servizi ecosistemici (quelli che potremmo chiamare natura e servizi della natura) come base, come base materiale per la finanziarizzazione. Quindi c’è questa finanziarizzazione della natura in corso molto rapida che sta avvenendo. Dove i servizi naturali, i servizi ecosistemici, si stanno trasformando in forme di valore di scambio che possono essere alla base della finanziarizzazione".