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  • Resoconto teleriunione  5 settembre 2023

Immobiliare cinese, debito e policrisi

Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso l'argomento trattato nella scorsa riunione, ovvero l'aggravarsi della situazione economica cinese.

Il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di dati sulla Cina da cui risulta che le amministrazioni locali delle province del paese hanno accumulato debiti per finanziarie il settore immobiliare e la costruzione di nuove infrastrutture ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino). Se alla cifra raggiunta dall'indebitamento pubblico (che ammonta a circa il 300% del PIL, circa 4700 miliardi di euro), si aggiunge quella relativa al governo delle province, vengono superati gli 8000 miliardi di euro. Ad essere in difficoltà non sono solo le amministrazioni locali e le famiglie, ma anche le banche, dato che sono state proprio queste a finanziarie il boom del mattone. Alcuni esperti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. Sappiamo, invece, che i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro globale. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA; una crisi finanziaria cinese avrebbe ripercussioni sul debito americano e su tutti i suoi rapporti commerciali (ad esempio quelli con la Germania che esporta molto verso il gigante asiatico). Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora sferrando un duro colpo alla Cina.

Ormai si parla apertamente di "zombificazione" del settore immobiliare cinese, poiché sono tanti i progetti e le costruzioni interrotti. Per noi il vero zombie è il capitalismo intero, un cadavere che ancora cammina, così come lo ha definito la nostra corrente.

Il governo cinese, durante l'ultimo congresso del Partito, ha rilanciato la parola d'ordine della "prosperità condivisa" puntando sul ripresa dei consumi interni per favorire la crescita economica, così come suggerito dagli americani. Pechino e Washington sono legate a doppio filo, entrambe le economie sono fondamentali per il capitalismo. Probabilmente la Cina sarà costretta a fare un downgrade, come quello compiuto anni fa dalla Germania e che abbiamo analizzato nell'articolo "Controtendenza alla caduta del saggio di profitto in Germania".

Nouriel Roubini, in La grande catastrofe. Dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere, prevede una grande stagflazione per il 2023. Il mondo capitalistico ha una freccia del tempo e oggi si ritrova con un debito alle stelle. Secondo l'economista, un'inflazione alta e una crescita bassa rappresentano un mix molto pericoloso per il sistema che potrebbe condurre al collasso; le banche centrali si trovano nella trappola del debito e non possono continuare ad aumentare i tassi di interesse per tamponare la situazione. Le criticità elencate nel libro di Roubini sono reali, dalla disoccupazione all'intelligenza artificiale, dalla bassa crescita alla crisi dei sistemi pensionistici, dai problemi climatici alle sfide competitive tra paesi come Cina e USA; solo che, in fondo, il famoso economista crede ancora possibile una riforma del sistema, "dimenticando" che i processi in corso sono catastrofici e procedono verso una soluzione discontinua.

Il problema della valorizzazione del capitale è legato alla produzione di plusvalore, da cui dipendono, ad esempio, la sostenibilità del debito e dei sistemi pensionistici dei vari paesi, ma anche la stabilità politica e sociale. Come tutti gli organismi viventi, il capitalismo ha una prima fase di crescita a cui seguono il raggiungimento di un punto di stabilità e infine l'approdo a tassi di crescita bassi o addirittura vicini allo zero. La Cina ha seguito lo stesso percorso: un formidabile iniziale periodo di crescita a due cifre del PIL ha lasciato spazio ad una situazione di equilibrio, e ora comincia a scontrarsi con gli stessi problemi dei paesi a vecchio capitalismo. Il modo di produzione capitalistico si sta sincronizzando a livello mondiale, e ciò significa crisi storica del capitalismo senile. L'esuberanza di capitali ha spinto la Cina a costruire città fantasma persino in Africa e a conformarsi agli altri, per restare sul mercato, investendo in mezzi di produzione (robot e computer), che eliminano lavoro umano. Ma non si può ricavare da pochi operai sfruttati al massimo la stessa quantità di plusvalore che si ottiene da tanti lavoratori sfruttati meno, e la crisi di realizzazione del capitale, rimandata per anni, alla fine presenta il conto. Si pensi che il debito globale totale, nel primo trimestre del 2023, ammonta a quasi 305 trilioni di dollari (Fonte: Sole24Ore).

La frenata dell'economia cinese avrà effetti anche sulla situazione interna del paese. Esiste un patto non scritto tra partito-stato e popolazione: in cambio di una crescita economica che ha reso possibile la modernizzazione del paese e migliorato le condizioni di vita di alcune fasce della popolazione, si è accettato un aumento dello sfruttamento ed un controllo sociale asfissiante. Adesso milioni di giovani universitari devono fare i conti con la mancanza di lavoro, una condizione che i loro omologhi occidentali conoscono da anni, e cominciano a manifestare una certa insofferenza verso il regime. Nel mondo dei precari cinesi si fanno strada fenomeni come TangPing (che in cinese significa "stare disteso"), simili all'americano AntiWork. In India, qualche anno fa, oltre 200 milioni di lavoratori e contadini hanno incrociato le braccia durante lo sciopero più grande della storia. In futuro milioni di proletari e senza riserve saranno costretti a ribellarsi contro lo stato di cose presente, non per ideologia ma per difendere le proprie condizioni di vita.

Giovani generazioni di senza riserve hanno sempre meno da perdere in questa società e quindi saranno costrette a rompere con il capitalismo. La cosiddetta globalizzazione è il frutto dell'interconnessione dei mercati e della massima socializzazione del lavoro, reti di ogni tipo fanno il giro del mondo e collegano tutto e tutti. Una massa enorme di salariati nel mondo (tra i 2 e i 2,5 miliardi), grazie alla diffusione di Internet, potrebbe coordinarsi internazionalmente. Joël de Rosnay ha scritto un libro, La révolte du pronétariat. Des mass média aux média des masses, dedicato al nuovo proletariato organizzato in rete. Con Occupy Wall Street, ma prima ancora con la Primavere araba, abbiamo visto ciò che potrebbe succedere con gli strumenti oggi a disposizione una volta superata una determinata soglia di sopportazione.

Recentemente è stato inventato il termine policrisi (crisi che coinvolge più aspetti e questioni), che ben si presta a descrivere il tempo che viviamo: eventi atmosferici disastrosi, guerre generalizzate, incendi fuori controllo, virus micidiali, ecc. Il mondo capitalistico sta diventando sempre più inospitale per la specie umana. La rivoluzione è da intendere, quindi, come un rovesciamento della prassi, e il comunismo come un piano di vita per la specie. Il pianeta ha dei limiti fisici e non può sopportare una dinamica predatoria come quella in corso (vedi "impronta ecologica"). Alle crisi ambientali si assommano quelle legate alla "vita senza senso", dalle pastiglie contro il male di vivere all'abuso di droga e alcolici, soprattutto da parte dei giovani. Negli USA il problema della tossicodipendenza è diventato un'emergenza nazionale.

E l'America è anche il paese dove un ex presidente viene arrestato per aver pagato una pornostar utilizzando soldi della campagna elettorale, ma soprattutto per avere organizzato un assalto alla sede del governo, teso a stravolgere i risultati elettorali. Donald Trump ha tredici capi d'accusa e rischia decine di anni di carcere; probabilmente sarà anche il prossimo sfidante di Biden alle presidenziali del 2024, che si preannunciano molto calde. Ha destato curiosità la propagazione virale su YouTube e Spotify di una canzone, Rich Men North of Richmond scritta e cantata da un ex operaio, che si scaglia contro il sistema dell'1%, i bassi salari e le tasse troppo alte, il tutto condito da un po' di complottismo. La difesa della working class bianca, precarizzata ed immiserita, è uno dei temi cari alla destra, sia conservatrice che alternativa, a dimostrazione che gli schemi politici europei non sono applicabili agli States. Lì, dove cresce la polarizzazione sociale, potrebbero nascere movimenti populisti "antisistema" con caratteristiche del tutto nuove. Al pari di quanto potrebbe accadere in Cina.

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