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  • Resoconto teleriunione  8 aprile 2025

Capitale fittizio e contraddizioni globali

La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni riguardo le conseguenze economiche dell'introduzione di dazi da parte dell'amministrazione Trump.

La Borsa di New York ha bruciato oltre 5.000 miliardi di dollari in appena due giorni e anche tutte le principali piazze finanziarie mondiali hanno registrato importanti perdite (venerdì 4 aprile è stato per gli indici borsistici il giorno peggiore dal tempo della pandemia da Covid-19). Per ora tali oscillazioni non hanno avuto ripercussioni sulla società, come inflazione, fallimenti o licenziamenti. In proporzione, la quantità di capitale finanziario andata distrutta è di molto inferiore rispetto a quella in circolazione.

Tra gli analisti economici cresce la preoccupazione per le conseguenze negative di una creazione di denaro dal denaro (D-D'), senza passare per la produzione (P). C'è la necessità di continuare un ciclo fittizio di valorizzazione, che ormai nessuno più controlla; durante la crisi dei mutui subprime del 2008 venne alla luce un immenso "schema Ponzi". Quando lo Stato moderno permette alle banche di emettere prestiti superiori alla consistenza dei loro depositi, vuol dire che si sta creando capitale fittizio: il prestito è difatti possibile grazie alla garanzia delle banche centrali.

Il capitale fittizio è la massa monetaria derivata, cioè quella che si forma esclusivamente nella circolazione. Una cambiale, ad esempio, viene utilizzata per una transazione materiale (denaro contro merci o servizi), e successivamente viene scontata in una banca, che a sua volta la adopera come mezzo di pagamento, cioè come denaro. L'America d'oggi è la rappresentazione del capitale fittizio: il dollaro funziona come valuta di riferimento del sistema internazionale dei pagamenti finché mantiene la fiducia nei suoi confronti.

Gli Stati Uniti, pur avendo un PIL elevato (oltre 27.000 miliardi di dollari), hanno un debito pubblico di oltre 33.000 miliardi di dollari. Nonostante il rapporto debito/PIL sia relativamente basso (circa 122%), la cifra assoluta di debito è una delle più alte al mondo.

Il debito funziona finché c'è circolazione di merci. Fu inventato dai mesopotamici per rispondere alle esigenze del lavoro della società e del commercio di materie prime come argento o legno. I babilonesi scambiavano i prodotti stipulando promesse di pagamento, delle proto-cambiali che fungevano da sostituto del denaro che veniva accettato nella misura in cui qualcuno lo garantiva ("Dimenticare Babilonia"). Oggi tutti i paesi sono indebitati e ogni paese cerca di correggere questo processo scaricando sugli altri contraddizioni che così diventano mondiali ("L'autonomizzarsi del Capitale e le sue conseguenze pratiche"). L'economia globale si basa su un debito che non è ripagabile, sul fatto che gli USA, come tutti gli altri paesi, possono contrarre nuovo debito solo se qualcuno gli fa credito. Il rapporto debito globale/PIL ha raggiunto il tetto storico del 320%.

Il sistema traballa, il dollaro è quasi fallito e non si vede all'orizzonte un nuovo ordine mondiale. Lo sostiene Limes, che da tempo ribadisce che con la fine del dominio degli USA ci sarà il caos, perché nessun nuovo attore statale potrà rimpiazzarli. E suggerisce alla borghesia nostrana di darsi da fare per trovare soluzioni praticabili.

Nell'articolo "Commercio britannico", pubblicato sul New York Daily Tribune il 3 febbraio 1858, Marx previde che il maggior paese imperialistico della sua epoca, l'Inghilterra, sarebbe stato costretto, a causa dell'esportazione di merci e capitali cui doveva corrispondere un aumento delle importazioni, a finanziare i suoi concorrenti, cioè l'America, e così a scavarsi la fossa. Oggi gli USA non finanziano la potenza che prenderà il loro posto, bensì vengono finanziati dal resto del mondo e, comprendendo che tale processo non potrà durare ancora a lungo, cercano di far andare all'indietro la ruota della storia reindustrializzando il paese. Tentando di fare ritornare grande l'America (MAGA), provocano uno scombussolamento interno e a livello globale. In "Struttura frattale delle rivoluzioni" abbiamo scritto:

"La politica coloniale senza colonie, tipica della nuova potenza in grado di influenzare con 'proiezione lontana' i propri interessi, ha provocato effetti interni amplificati rispetto a quanto poteva osservare Lenin al suo tempo. La popolazione americana è stata coinvolta e corrotta dalle proverbiali briciole che cadono dalla tavola imbandita molto più di quella corrispondente inglese."

Larry Flink, ceo di BlackRock, uno dei fondi d'investimento più potenti al mondo, ha scritto agli investitori sostenendo che il dollaro potrebbe non essere più la moneta di riserva mondiale, e che a sostituirlo potrebbe essere il Bitcoin, il quale è garantito da sé stesso (blockchain). Il denaro riproduce le contraddizioni del sistema che rispecchia: l'autonomizzazione della forma fenomenica del valore riflette l'autonomizzazione del capitale dalla borghesia. Nel libro L'arco dell'impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, scritto da due generali cinesi e curato dal generale Fabio Mini, si sostiene che Internet ha reso possibile il denaro elettronico, eliminando via via quello fisico attraverso le transazioni a distanza. I due generali affermano che la Cina mira alla costruzione di un sistema multipolare basato proprio su una moneta peer-to-peer accettata da tutti. Non c'è da stupirsi se degli ufficiali di alto grado esprimono giudizi positivi sul proprio paese e guardano al mondo partendo da una visuale nazionale. Ciò che è interessante è la parte del libro dedicata al ruolo svolto da Internet, il cui avvento "ha reso il denaro molto elettronico (lo sta 'demonetizzando') e sta eliminando il denaro fisico attraverso il consumo online e le transazioni a distanza. Forse in un futuro non troppo lontano avremo un mondo senza soldi, e allora 'se la pelle non esiste, a cosa sono attaccati i capelli?'".

Giunto allo stadio senile, il declino del capitalismo risulta più rapido della crescita: lo sviluppo mondiale del lavoro associato (Internet è una manifestazione di questo cervello sociale) e l'appropriazione privata dei prodotti del lavoro sono inconciliabili e portano inesorabilmente il sistema verso il collasso.

Come abbiamo scritto nell'articolo "Estinzione del Welfare State", "per comprendere il passaggio alla società futura non c'è niente di meglio che comprendere ciò che già sta realizzando questa società, così com'è, con il suo controllo autoritario dei flussi di valore." Tutti gli stati hanno una particolare politica di controllo dei flussi valore, cercano di attuare progetti "razionali" che sono però una goccia nel mare rispetto a quel che costa l'ammortizzazione sociale, la corruzione di classe, il foraggiamento della palude sociale borghese. Il mantenimento di un sistema come quello attuale richiede una dissipazione enorme di energia sociale ("Capitale e teoria dello sciupio"); se ne rendono contro pure gli economisti, che scrivono saggi come Entropia. Una nuova concezione del mondo (Jeremy Rifkin).

Gli Stati hanno sempre meno la capacità di rovesciare la prassi, di fare progetti e metterli in atto, poichè perdono energia. La guerra in corso è cibernetica, è la guerra dei segnali, dell'informazione, è altamente tecnologica, ma non è in grado di rappresentare un vero volano per l'economia. Si sta preparando una crisi enorme, quella che Nouriel Roubini ha definito la madre di tutte le crisi (La grande catastrofe). L'argomento genera interesse: Saito Kohei, autore del saggio Il capitale nell'Antropocene, ha venduto 500mila copie solo in Giappone. Pur trattandosi della solita minestra riformista, è interessante il fatto che nel testo si dimostra come il capitalismo sia un pericolo non solo per la specie umana ma per tutta la biosfera. Le regole del gioco non si possono cambiare giocando, si cambiano quando si impone un altro gioco. Pensiamo a chi scende in piazza contro la guerra, contro l'"imperialismo a stelle e strisce", e si fa partigiano della Russia o della Cina "socialista" o della disunita Unione europea.

L'antiforma è il rifiuto totale di quanto offre il sistema. Come scritto in "Tracciato d'impostazione" (1946):

"Rivoluzionari (e adotteremo il termine provvisorio di antiformisti) sono i movimenti che proclamano ed attuano l'assalto alle vecchie forme, ed anche prima di saper teorizzare i caratteri del nuovo ordine, tendono a spezzare l'antico, provocando il nascere irresistibile di forme nuove."

Negli anni passati, negli Stati Uniti, abbiamo assistito a importanti saggi di organizzazione futura, dagli scioperi dei precari dell'UPS fino all'avvento di Occupy Wall Street. Qualsiasi movimento antiformista che emerga dalla società non può che partire dagli sviluppi già raggiunti, soprattutto per quanto riguarda la formazione di un ambiente radicalmente anticapitalista.

La blindatura degli stati, i decreti sicurezza, la militarizzazione della società non sono segni di forza della classe dominante ma di debolezza, e sono dovuti alla perdita di controllo. Il fascismo ha perso militarmente la guerra ma ha vinto politicamente ed economicamente ("La socializzazione fascista ed il comunismo"), e lo ha fatto inglobando le associazioni dei lavoratori nella macchina burocratica. Tutte le politiche statali, dal fascismo in poi, sono nettamente antiproletarie, nel senso che lo Stato mira a legare a sé il proletariato annullandone l'autonomia. Il patto corporativo oggi è in profonda crisi: guai a quella società, dice Marx, che invece di sfruttare i propri schiavi sarà costretta a mantenerli.

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Rivista n°56, dicembre 2024

copertina n° 56

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