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  • Resoconto teleriunione  7 dicembre 2021

Le nuove minacce all'economia mondiale

La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata con la segnalazione di alcuni articoli di giornale in merito alla pagina del social network Reddit "Antiwork: Unemployment for all, not just the rich!" (Antilavoro: disoccupazione per tutti, non solo per i ricchi!).

Qualche settimana fa abbiamo affrontato il tema delle grandi dimissioni negli Stati Uniti e in Europa, un fenomeno acutizzatosi con la pandemia e che riguarda milioni di persone; sui media mainstream si individua la causa di quest'ondata di rifiuto del lavoro nei sussidi o nei redditi di cittadinanza troppo generosi, elargiti dagli stati. Ma quando è la stessa società capitalistica a liberare forza lavoro in modo irreversibile, offrendo lavoretti malpagati e precari, c'è poco da dire: lavorare diventa una dannazione. Il gruppo R/Antiwork è nato nel 2013, contando per alcuni anni su circa 100mila iscritti, ma poi nel settembre-ottobre del 2021, proprio in parallelo alla grande ondata di scioperi negli Usa, il numero dei sostenitori è schizzato in alto, arrivando a 1,3 milioni. La pagina raccoglie storie di disoccupati, di lavoratori provati da turni massacranti, di lavoro precario e di vita senza senso; ma non si tratta solo di uno sfogatoio, è anche un luogo di incontro e di coordinamento (vedi campagna #BlackoutBlackFriday). Fino a pochi anni fa parlare di lotta contro il lavoro era appannaggio di qualche sparuta minoranza di anarchici o marxisti, oggi sta diventando un fenomeno di massa.

Anche in Cina è nato un qualcosa di simile: i "tangping", giovani generazioni di proletari stanchi di farsi sfruttare per quattro soldi che preferiscono lavorare il meno possibile. Da tempo parliamo della necessità di un cambio di paradigma, e questi segnali ci dicono che si sta andando nella direzione giusta. Il paese capitalisticamente più avanzato, gli Usa, non può che produrre antitesi radicali, com'è avvenuto nel 2011 con la nascita di Occupy Wall Street; il "movimento" attuale si intreccia con gli scioperi contro Amazon, con il nuovo protagonismo dei salariati americani, e con la nuova stagione di lotte sindacali (#Striketober).

In Italia, Cgil e Uil hanno proclamato uno sciopero generale per il prossimo 16 dicembre. La manifestazione è stata indetta con l'obiettivo di essere ascoltati dal governo, per ottenere un tavolo delle trattative e discutere di pensioni e fisco. Tuttavia, se le grandi centrali sindacali decidono che è ora di muoversi, è perché cresce il disagio sociale e non si può continuare a rimandare la mobilitazione lasciando le piazze in mano ad altre forze.

L'ultimo numero dell' Economist è intitolato "Le minacce all'economia mondiale", ed è dedicato alla variante Omicron e al suo impatto. L'OMS ha dichiarato che Omicron rappresenta un rischio altissimo dato che ha subito 35 mutazioni proprio sulla proteina Spike, quella su cui si basa l'azione dei vaccini attualmente in circolazione. Il settimanale inglese teme che gli stati siano costretti ad introdurre ulteriori blocchi, chiusure alle frontiere e restrizioni, che metterebbero a repentaglio la cosiddetta ripresa. Compagnie aeree ed alberghiere sono già in forte difficoltà. Sono tre le minacce fondamentali individuate: i limiti alla libera circolazione, dato che molti paesi hanno chiuso i collegamenti aerei con altri e lo hanno fatto in ordine sparso; l'inflazione, che incombe soprattutto sugli Usa, alimentata dall'eccessivo stimolo fiscale e cresciuta a livello globale del 5%; ed infine le politiche anti-covid della Cina. Dall'inizio della pandemia, a differenza dei paesi occidentali che contano migliaia di casi e centinaia di morti ogni giorno, la Cina è intervenuta in maniera drastica: quando vengono scovati anche solo pochi casi, intere metropoli sono poste in isolamento e vengono eseguiti tamponi in massa per separare i contagiati dal resto della popolazione. Secondo l'Economist proprio la variante Omicron, con la sua altissima contagiosità, metterà in seria difficolta la politica "zero-covid" di Pechino. Poiché questo ceppo si propaga più facilmente, la Cina dovrà affrontare ancora più duramente ogni focolaio, danneggiando la crescita e interrompendo le catene di approvvigionamento. Già adesso il costo di spedizione di un container dalle fabbriche dell'Asia ai porti dell'America rimane straordinariamente alto. Il rallentamento della seconda economia mondiale sarebbe un grosso problema per il resto del mondo (quest'anno il Pil cinese non andrà oltre il 5%, il più basso da circa 30 anni).

In Usa, la risposta alla crescita dei contagi è caotica, indebolita da una parte dal conflitto tra repubblicani e democratici sulle politiche da attuare e dall'altra dalle diatribe tra i singoli stati e il governo centrale ("Why America's Omicron response is so weak?"). L'umanità affronta una pandemia affidandosi a politiche locali, in preda a scontri tra opposti schieramenti della borghesia e a piccole beghe tra partiti. Il contrario di quanto servirebbe, ovvero un governo planetario.

In chiusura di teleconferenza si è accennato alla crisi ucraina e alle possibili evoluzioni del conflitto. In seguito allo schieramento di decine di migliaia di soldati russi lungo i confini, gli Stati Uniti minacciano ripercussioni nel caso in cui la Russia intervenga militarmente, ma è difficile pensare allo scoppio di una guerra "classica" che coinvolga i due colossi. Mosca ha la sua area di influenza e cerca di allargarla, anche con minacce di invasione, in modo da portare a casa dei risultati. La zona che va dai paesi baltici all'Ucraina è sempre stata una terra di confine tra due mondi, dove si svolgono guerre per procura e le popolazioni vengono divise e intruppate in micidiali partigianerie. Quanto sta succedendo in Ucraina presenta delle analogie con quanto successo anni fa in Siria e Libia che, sull'onda di sollevamenti di piazza che travolsero delicati equilibri politici, sprofondarono man mano nella guerra civile.

Questo fine settimana si terrà il nostro 84° incontro redazionale. Una relazione, la quarta ed ultima della serie, affronterà il tema del wargame. Riteniamo che sia un lavoro importante, dedotto dalle Tesi sulla tattica (Roma, 1922) e dagli articoli scritti da Amadeo Bordiga tra il 1924 e il 1926. Le Tesi non sono una semplice risposta al Comintern, ma un modo di pensare la rivoluzione in sintonia con il futuro. A quasi cent'anni dalla loro pubblicazione, è possibile dimostrare che esse sono compatibili con un approccio scientifico alla transizione rivoluzionaria, basato sui modelli e sugli schemi della complessità. Per noi le Tesi di Roma sulla tattica sono un sofisticato wargame giocato senza scacchiera o computer. Riprese in vari testi successivi, sono state alla base di tutte le discussioni avvenute negli ultimi 99 anni.

Se oggi guardiamo alla classe proletaria, questa sembra non esistere, sussunta com'è all'interno della società del Capitale, rintronata dal consumismo e soggiogata dalle ideologie della classe dominante. Eppure, essa esiste, è sempre più numerosa, e sarà un elemento fondamentale della prossima rivoluzione. La teoria comunista è venuta dopo che masse di uomini si sono sollevate. Le rivoluzioni sono il frutto di movimenti istintivi a salvaguardia delle condizioni di determinate classi sociali, una forma di egoismo che il biologo Richard Dawkins ha spiegato nel libro Il gene egoista.

La corrente a cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", aveva anticipato l'andamento economico quando parlava di capitalisti senza capitale e capitale senza capitalisti. Da allora il capitalismo si è autonomizzato sempre più, finanziarizzandosi e virtualizzandosi. A Glasgow, in occasione della conferenza sul clima Cop26, fiutando le possibilità di grandi business, alcune decine di partecipanti (finanzieri, banchieri e investitori) si sono messi d'accordo per creare un consorzio (Glasgow Financial Alliance for Net Zero) per la transizione verde, mettendo sul piatto 130mila miliardi di dollari. La cifra è talmente grande che dice poco se non viene confrontata, ad esempio, con il Pil degli Usa che si aggira intorno ai 20mila miliardi di dollari. Ormai, per incidere un minimo sull'economia mondiale, si devono muovere tali masse di denaro.

Nel filo del tempo "Sua maestà l'acciaio" (1950), l'acciaio è considerato "l'indice espressivo del modo di produzione capitalistico, utile al confronto dello sviluppo industriale tra i vari paesi". Gli Usa, che sono stati i massimi produttori della lega ferrosa fino alla Seconda guerra mondiale, adesso ne producono una settantina di milioni di tonnellate l'anno, mentre la Cina arriva quasi ad un miliardo. I rapporti tra i due paesi, con numeri così sbilanciati, fanno pensare che gli Stati Uniti si trovano in una situazione completamente diversa da quella in cui si sono trovati i loro predecessori. La successione nella catena imperialistica mostra di interrompersi ("Accumulazione e serie storica").

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Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
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Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

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