Il mercato non è più il Dio dei capitalisti

Nel modello di economia di mercato i fabbricanti non hanno nessun genere di informazione circa i bisogni della società, dunque a priori non possono avere nessuna idea di come organizzare la produzione, cioè di cosa e quanto produrre; possono però contare su un tipo estremamente grezzo di informazione indiretta, niente altro che una specie di stimolo, il valore delle merci. La "legge del valore", questa forza di cui parliamo e che per Adam Smith è la famosa mano invisibile, è stata esaurientemente spiegata da Karl Marx ne "Il Capitale", e a mio parere è probabilmente la teoria scientifica più travisata della storia, nonché la più sottovalutata. In questa sede non cercherò di spiegarla, mi limito solo a citarla per ciò che concerne la sua funzione di meccanismo regolatore di una società di atomi formalmente indipendenti nell'organizzazione della attività economica. Il mercante in generale e il capitalista in particolare dirige la sua produzione laddove il suo impiego è più valutato, tramutandosi in maggiori guadagni. Non ha altre informazioni sui bisogni sociali, il profitto è il suo unico Dio. Però oggi questo Dio gli sta stretto e anche se deve andare a messa ogni domenica, è costretto a rinnegarlo e a intraprendere strade opposte, creando le condizioni per la disfatta di tutta la sua chiesa.

Nell'evoluzione del capitalismo i capitali si sono sempre più concentrati e pochissime organizzazioni economiche o finanziarie arrivano a controllare centinaia o migliaia di piccole o medie aziende, le quali sono state degradate a niente più che semplici "reparti" della fabbrica globaleche le controlla. La logistica ha raggiunto dimensioni mai viste e una funzione più che mai strutturale, con movimenti continui di merci per miliardi di dollari.

Ma la vera rivoluzione, l'embrione del futuro, forse più che da ogni altra cosa, viene dallo sviluppo e dalla sempre crescente composizione organica del capitale, con la conseguente caduta del saggio del profitto generale del sistema. Questo stato di cose, riconosciuto persino dagli economisti più conservatori, comunemente chiamato con termini come "stagnazione" o "fase stazionaria" (ma non è con il cambiare i termini che si cambiano i fatti), rende sempre più difficile fare affari. In fasi di capitalismo crescente, bastava aprire un'attività con quel minimo di accortezza e i soldi entravano. Oggi, ad eccezione di quelle corporation che fanno profitti in settori particolari (es. l'industria militare), per sopravvivere bisogna sempre più sfruttare ogni occasione, anche la più piccola. Tutto ciò richiede un sistema di informazione a disposizione delle aziende come mai prima d'ora si poteva immaginare. Prima era il mercato a dirti cosa dovevi fare, era ed è la sua funzione; oggi devi essere tu a sapere in anticipo quello che il mercato poi "ti dirà", perché in gioco ci sono investimenti ingenti in una economia asfittica, il minimo errore può costare la bancarotta di una lunga catena di investitori.

La funzione del mercato è dunque ormai non solo superflua, ma rappresenta la più grande ostacolo alla produzione. E per di più – e questa è la cosa più ricca di conseguenze – tutta questa opera di demolizione dello status quo mercantile non è data dal solito tal gruppetto di anarco-insurrezionalisti o dal leggendario partitone comunista che unisce miliardi di operai a lottare per l'umana redenzione, ma dalle imprese stesse, dal capitalismo stesso, alle prese con la sua sopravvivenza. Più si agita e più sprofonda nelle sabbie mobili. Come impresa o gruppo industriale io sono obbligato sempre più a svolgere studi tecnici e scientifici su tutto ciò che riguarda la mia attività: studiare la zona e gli abitanti, fare piani di marketing, elaborare e realizzare reti di distributori e fornitori e più in generale la supply chain, ecc. Il mercato e il profitto non è più la mia guida, ma soltanto la "prova del 9" che le mie scelte di manager erano le migliori per raggranellare quanto più denaro possibile. Non è niente più che un esame per uno studente: un ostacolo che si frappone tra lui e il diploma o la laurea, ma che di certo non aggiunge un acca a quello che già sa o sa fare.

È evidente che il futuro non potrà che essere organizzato secondo questi principii e questa struttura. Le future fabbriche non produrranno sulla base di stimoli ciechi come il denaro e il profitto, in un lavoroindirettamente sociale, ma ci si organizzerà in un lavoro direttamentesociale sulla base di informazioni operative dirette. Un sistema organico, cibernetico. Ci sarà un gran flusso di informazioni da ogni dove che consentirà a tutti i nodi del sistema di elaborare queste informazioni e trasformarle in ordini operativi. Lo studio della logistica permetterà di dislocare in modo razionale (cioè nel modo meno dissipativo possibile di tutte le risorse del pianeta, compreso il lavoro umano) nello spazio persone, infrastrutture e distretti industriali (fintanto che l'umanità non troverà modi più efficienti di procurarsi ciò di cui abbisogna). Gli amministratori delle fabbriche riceveranno informazioni dirette dal sistema su ciò che c'è da fare, mentre gli amministratori dei livelli economici più generali avranno informazioni sullo stato globale delle cose, che gli consentirà di intervenire in modo tempestivo e mirato per redistribuire e modificare la forza produttiva della società. Tolto dai piedi il mercato e sviluppatasi sempre più la tecnica e la cibernetica (dunque la scienza e l'intelligenza dell'amministrazione) saranno sempre più ridotti i costi di transizione, e la sempre più ampia conoscenza delle leggi del sistema permetterà di rendere automatici (al limite del meccanico nei casi più semplici) tutte quelle operazioni che oggi richiedono ancora elaborazione "intelligente"; per esempio, tutte le informazioni relative alle interdipendenze dei prodotti passeranno dal mercato alla cibernetica, e tutte quelle più semplici e regolari all'automatica. Attraverso elaborazioni e perfezionamenti di algoritmi come quello input-output o anche diversi, si potrà ottenere le funzioni di produzione generali dei prodotti ed evitare al sistema di dover elaborare ogni volta una gran mole di informazione che può essere immediatamente ottenuta formulando una volta per tutte mediante la scienza. Anche il più semplice dei prodotti può avere effetti vastissimi sul sistema, con un overhead di informazione ed elaborazione non necessaria e evitabile calcolando all'inizio con i sistemi suddetti la sua funzione di produzione; al variare della quantità da produrre, automaticamente verranno generate le informazioni di produzione relative a ogni singolo prodotto coinvolto nella catena, spedite poi immediatamente ai destinatari e a qualsiasi altro nodo della rete globale che ne abbia interesse.

Non si tratta dunque di sognare una società impossibile o di "proporre" un modello alternativo all'attuale, magari anche "ragionevole" e possibile. Non è che "un altro mondo è possibile". Il punto è che un altro mondo sta arrivando, il suo treno è già arrivato in stazione e aspetta solo che il semaforo diventi verde.

Fonte: http://nix11.blogspot.it/2014/08/il-mercato-non-e-il-piu-il-dio-dei.html

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