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Le proteste dei cosiddetti forconi, i relativi blocchi della circolazione e le reazioni della "politica", sono stati gli argomenti discussi nella teleconferenza di martedì sera a cui hanno partecipato 13 compagni. Il Coordinamento 9 dicembre, di cui fa parte anche il movimento dei forconi, ha indetto per la giornata in questione una mobilitazione contro la "casta" accusata di ruberie e incapacità amministrativa, e contro questo modello di Europa. Mariano Ferro del Comitato di Coordinamento Nazionale afferma: "Non è colpo di Stato, ma il ripristino della democrazia. Vogliamo le dimissioni di tutte le cariche attuali. Sono loro che ci hanno rovinato, sono loro che devono andarsene". I proclami sono molti, la piccola borghesia sta producendo a ritmo industriale paccottiglia patriottica. Ci interessa poco l'estetica populista, notiamo piuttosto che questi movimenti suscitati dalla crisi del mondo capitalistico stanno assumendo caratteri radicali. Leggiamo Marx:

Venendo alle questioni irrisolte, in particolare alla Palestina, dobbiamo domandarci: nell'attuale fase storica lo Stato-nazione ha ancora prospettive? Di fronte all'internazionalizzazione del capitale (volgarmente chiamata globalizzazione) lo Stato-nazione rappresenta una stridente contraddizione.

Per difendere i loro interessi di classe, i proletari palestinesi rivendicano giustamente gli spazi democratici, che gli consentono di riunirsi, di parlare, di scrivere, ossia le condizioni minime per svolgere attività politica. Su questo terreno, si trovano a dover marciare con i nazionalisti, che però li costringono ad assumere connotazioni sempre più religiose. Questa deriva islamista è stata resa possibile dal momento che i rapporti con il fronte della sinistra ebraica dello Stato d'Israele sono stati assolutamente trascurabili. Viene allora da chiedersi come mai i discendenti della nobile tradizione social-progressista, che fu alla base della nascita dello Stato d'Israele, siano oggi così deboli.

Pubblicato in Doppia direzione

Fino a che data è possibile parlare di lotte di liberazione nazionale con funzione progressiva? Per quale motivo? È rivoluzionaria la formazione dello Stato nazionale, con relativa borghesia e soprattutto proletariato, mentre oggi vi è quasi ovunque lotta fra borghesie già affermate storicamente. Ma può l’elemento economico essere l’unica discriminante per il sostegno delle lotte nazionali da parte dei comunisti? Il proletariato viene comunque coinvolto all’interno della guerra e combatte per degli interessi che crede suoi ma non lo sono: combatte ad esempio in Iraq per la propria borghesia nonostante l’odio che prova per l’invasore americano, motivato da ragioni etiche, di dignità. Nello stesso tempo, però, combatte contro lo Stato imperialista più forte del mondo e qui mi domando se comunque, nonostante appunto combatta all’interno di una nazione già formata per la salvaguardia della stessa, non sia comunque positivo per il semplice fatto che la sconfitta militare degli USA è auspicabile, sempre e comunque, per lo squilibrio che questo causerebbe.

Pubblicato in Doppia direzione

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

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Newsletter 245, 19 gennaio 2022

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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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