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  • Resoconto teleriunione  25 agosto 2015

#BlackMonday

La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 16 compagni, è iniziata commentando le news sul "Black Monday" cinese e mondiale.

Possiamo pensare alla Borsa valori come ad un termometro che rileva in superficie quanto avviene nel profondo dell'economia, nella produzione di valore. Le motivazioni del crollo di Shanghai, subito riverberatosi nelle maggiori piazze finanziarie del mondo, vanno ricercate nell'incapacità della Cina di mantenere determinati livelli di esportazione delle merci. Indicativa la concatenazione degli eventi: prima le tre svalutazioni competitive, poi il crollo in borsa; il panico nei mercati spinge Pechino ad intervenire per tamponare la situazione: il governo cinese autorizza i fondi pensione ad investire fino al 30% del loro capitale, abbassa i tassi di interesse e opera una sorta di "quantitative easing". Circa 60 milioni di cinesi hanno investito in paccottiglia finanziaria: pochi rispetto alla popolazione totale (1,3 miliardi), ma tanti per un paese che non conosce da molto l'azionariato popolare.

Nei mercati internazionali circola capitale fittizio che non può dare guadagni a tutti; allo stesso tempo gli Stati adoperano le immense quantità di denaro per finanziare debiti che non possono crescere all'infinito. In sostanza, il capitalismo non reagisce più alle sue crisi: troppa immissione di moneta causa assuefazione, l'organismo smette di sentire gli effetti della droga, e va in overdose.

Se c'erano dubbi sull'estrema modernità della Cina, questi sono stati spazzati via per sempre: è il Capitale che domina sullo stato cinese, non viceversa. Se fosse ancora un capitalismo rampante, riuscirebbe a esercitare una qualche forma di controllo sui fatti economici, invece quanto successo nelle ultime settimane dimostra che è il sistema finanziario autonomo a far ballare gli uomini al suo ritmo. E' sbagliato pensare che il capitalismo di stato sia il dominio dello Stato sul Capitale, non è più così dalle Repubbliche Marinare. La Cina, tra gli ultimi arrivati sullo scacchiere dei paesi sviluppati, è già in decadenza nonostante sia la fabbrica del mondo e produca una quantità di merci tale da poter coprire il fabbisogno mondiale.

I borghesi hanno a che fare con un'economia che non ha punti di riferimento. Il keynesismo è una teoria dinamica che attinge da Marx e utilizza l'approccio che Leontief aveva definito input-output. L'opera di Keynes è stata importante per la salvaguardia del capitalismo ma ha fatto il suo tempo. Oggi va di moda l'approccio analitico fatto di teorie dell'equilibrio, ovvero poca teoria e molta formalizzazione matematica. Il nuovo guru dell'economia sembra essere Thomas Piketty, che nel libro Il capitale nel XXI secolo propone ai governanti di intervenire sull'economia adottando un meccanismo redistributivo, proprio dopo che tutti i modelli di distribuzione realizzati dagli stessi borghesi dimostrano che ci sono curve di crescita-decrescita inesorabili.

Comunque, la vera bomba a orologeria è rappresentata dal debito mondiale. In una situazione a dir poco delicata, la Cina finanzia il debito pubblico e privato americano. Nella società globalizzata dove tutto è collegato, se l'economia cinese è in difficoltà ne risente il mondo intero.

Alle profonde problematiche economiche si aggiungono inoltre quelle legate all'ecologia: il 13 agosto è scattato l'Earth Overshoot Day, l'umanità ha cioè esaurito il suo "budget" ecologico per l'anno. Nel 2000 cadeva ai primi di ottobre, mentre bisogna tornare agli anni Sessanta per trovare in pareggio il bilancio tra consumo e risorse rinnovabili. Il pianeta s'impoverisce senza rigenerarsi. Eppure in molti, soprattutto a sinistra, immaginano un capitalismo eterno fatto di crisi che si susseguono e riequilibrano il sistema. Tutte le proiezioni indicano invece una catastrofe incombente. Facile a immaginarsi per esempio di fronte agli esodi biblici in corso dal Nordafrica e dal Medio Oriente, dove migliaia di persone fuggono da guerra e fame. Collasso economico, guerre endemiche, migrazioni di massa, crisi ecologica, tutti elementi in relazione tra loro che dimostrano che il capitalismo non è più in grado di controllare sé stesso.

In chiusura di teleconferenza abbiamo ribadito la necessità di un ambiente di lavoro ferocemente anti-capitalistico, come quello a cui avevano dato vita i giovani compagni della Sinistra nel 1913 (Un programma: l'ambiente). Evidentemente la formazione di tale ambiente non è una questione di volontà, ma chi arriva a concepire che ciò è necessario lo deve almeno inserire nel proprio programma.

I primi cristiani, quando divennero consapevoli del proprio ruolo nella società, si dotarono di luoghi fisici da dedicare alle loro attività. Il movimento Occupy Wall Street ha utilizzato una struttura di lavoro altra rispetto a quella dei partiti tradizionali e si è posto, occupando Zuccotti Park e costruendo la mensa, lo spazio per le assemblee, il media center, ecc., come negazione pratica della società capitalista. E non è casuale la violenza con cui la borghesia ha posto fine a queste esperienze (vedi sgombero di Zuccotti Park, Gezi Park, ecc.): la classe al potere ha una paura viscerale di quello che potrebbe accadere se prendesse piede un programma politico realmente anti-capitalista. Ogni Stato ha potuto "riconoscere" anche la forza sociale più irriducibile, ad esempio muovendole guerra per obbligarla al compromesso. Ma non ha mai potuto riconoscere l'anti-forma che emerge distruttiva e nulla rivendica all'interno della società esistente.

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Rivista n°52, dicembre 2022

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Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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