Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  16 ottobre 2018

Una crisi ai limiti del modo di produzione capitalistico

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 14 compagni, è iniziata dal libro Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro, di Nick Srnicek e Alex Williams (autori nel 2013 del Manifesto per una politica accelerazionista), di cui un compagno ha presentato una sintesi.

Innanzitutto notiamo che ormai i testi sul reddito di base, l'automazione e la "fine del lavoro" sono disponibili in bella vista nelle maggiori librerie: temi che qualche anno fa erano lontani dal mainstream, oggi fanno vendere decine di migliaia di copie. In Inventare il futuro gli argomenti trattati sono gli stessi che troviamo in libri come Postcapitalismo di Paul Mason, Il futuro senza lavoro. Accelerazione tecnologica e macchine intelligenti di Martin Ford, e La nuova rivoluzione delle macchine di Andrew McAfee ed Erik Brynjolfsson. Ma nessuno di questi autori, pur raccogliendo una marea di dati che dimostra la fine dell'attuale modo di produzione, riesce a scorgere un futuro oltre il capitalismo; tutti immaginano invece un capitalismo riformato.

Nella parte iniziale del saggio, Srnicek e Williams affermano che i partiti sono diventati simili a imprese e i politici ridotti al ruolo di commercianti, venditori di una merce tra le altre. Vengono poi messi sotto accusa i miti del nostro tempo quali la democrazia diretta, la piccola produzione e l'autogestione delle aziende (come in Argentina). La stessa critica viene rivolta alla finanza etica, alle piccole banche e a certa sinistra, che rimane agganciata al passato e assume atteggiamenti primitivisti, rifiutando la tecnologia o dando vita, ad esempio negli Stati Uniti, a movimenti survivalisti. Gli autori invitano perciò a guardare al futuro invece che al passato a partire dalla libertà: se il capitalismo ha messo al centro quella del singolo nei confronti dello Stato (pensiero liberale), al contrario ora c'è bisogno di una libertà "sintetica" da contrapporre alla necessità. Il tempo libero dei disoccupati, notano, non è veramente tale ma schiacciato dalla necessità; si dovrebbe invece avere la possibilità di sviluppare realmente le potenzialità umane. Come? Con un reddito di base per tutti, senza l'obbligo di prestazioni lavorative in cambio. Il processo di automazione e di liberazione dal lavoro andrebbe quindi accelerato attraverso le lotte per alzare i salari a livello globale.

Srnicek e Williams auspicano il superamento del lavoro salariato, oramai reso obsoleto dalla capacità di calcolo dei computer che ha raggiunto ben altri livelli rispetto al tempo dei cibernetici cileni e sovietici degli anni '50 e '60. Ma il percorso tracciato per arrivare a questa liberazione dal lavoro è di tipo idealista, gradualista e riformista. Il capitalismo viene confuso con il neoliberismo, e ciò porta al rimpianto per le politiche keynesiane degli anni '70. Da allora, secondo i due autori, si sarebbe fatta strada una sorte di internazionale liberista di cui avrebbero fatto parte i Chicago Boys ed altri economisti che, controllando i mezzi di comunicazione, sarebbero riusciti ad imporre una certa visione. Insomma, non è il mondo che fa cambiare le idee, ma queste che gradualmente lo cambiano. Con tali presupposti non si può che finire ad auspicare la "costruzione di una forza populista ed egemonica": un movimento politico interclassista che unisca salariati e piccolo borghesi e che sostituisca alla lotta di classe la lotta di popolo.

I due accelerazionisti criticano infine Occupy Wall Street, definito movimento localistico che non ha saputo avanzare rivendicazioni esplicite né darsi un'organizzazione gerarchica.

Insomma, Inventare il futuro non riesce proprio a staccarsi dal paradigma dominante né a descrivere i lineamenti di una società diversa da quella capitalistica. Individua i temi centrali della nostra epoca, quali la liberazione dal lavoro salariato, la necessità di un salario universale di sopravvivenza, ecc., ma lo fa con gli occhi rivolti al passato. Fortunatamente le macchine sono il risultato materiale di una rivoluzione e non di un'ideologia: libereranno lavoro e aboliranno la legge del valore.

Beppe Grillo in un articolo pubblicato sul suo blog ("Reddito di cittadinanza", 10.2.18) sostiene che "non dovremmo parlare del lavoro. Si tratta di capire che il concetto di lavoro e, più in generale, il concetto sociale di vita, è cambiato. Andiamo verso un'epoca in cui il salariato non avrà più ragion d'essere". E in un altro articolo, intitolato "Società senza lavoro" (14.3.18), afferma che ogni cittadino deve avere un reddito "per diritto di nascita" e che dalla società fondata sul lavoro bisogna passare ad una fondata su altri presupposti.

Tanti bei proclami, ma alla prova dei fatti il Movimento 5 Stelle si sta dimostrando uguale a tutti gli altri partiti: ogni giorno che passa il reddito di cittadinanza diventa sempre più esclusivo e selettivo, sempre più condizionato all'obbligo al lavoro. Il M5S è stato disintegrato appena entrato in contatto con il mondo parlamentare, bruciato dall'incalzare dei fatti materiali che corrono molto più veloci dei politici. Non è un caso che Grillo si sia defilato e abbia lasciato la patata bollente in mano a una squadra di giovani inesperti e senza teoria, in balia delle situazioni.

Senza una rottura totale con la società presente e con le sue categorie non si fa altro che rafforzare il capitalismo. Occupy Wall Street ha rappresentato un passo avanti rispetto a tutti i movimenti nati negli ultimi anni, rifiutando la logica rivendicativa e ponendosi come un movimento altro rispetto alla politica tradizionale e ai suoi riti. Nell'articolo "Un programma: l'ambiente" (1913), la nostra corrente mette in chiaro l'importanza di un ambiente radicalmente anticapitalista, la formazione in questa società di "oasi rivoluzionarie destinate un giorno ad invaderla tutta". Se è vero che non si possono costruire volontaristicamente isole di comunismo, è altresì vero che una community come quella di Occupy ha realizzato in embrione una contro-società: un mediacenter, una biblioteca, una piazza dedicata alla distribuzione di cibo, con i pasti preparati grazie alla sottoscrizione dei simpatizzanti. Dopo il passaggio dell'uragano Sandy si è messo in moto un organismo di mutuo soccorso, Occupy Sandy, che ha contribuito praticamente agli aiuti surclassando l'intervento dello Stato.

Sulle macerie del capitalismo nasceranno comunità di questo tipo, molto più estese e ramificate.

A proposito di fine del capitalismo e di catastrofe, da segnalare l'ultimo numero di The Economist dedicato alla recessione prossima ventura: a dieci anni dalla crisi del 2008, scrive il settimanale inglese, il mondo si sta avvicinando a un nuovo crack e presto dovrà fronteggiare una nuova recessione globale, in cui le banche centrali, visto che il quantitative easing (l'acquisto dei titoli di stato) non ha avuto il successo sperato, dovrebbero cominciare a depositare denaro direttamente nei conti correnti dei cittadini. Il concetto è quello lanciato anni fa da Milton Friedman e viene chiamato "helicopter money". Gli studi borghesi sulla crisi arrivano alla conclusione che l'ossessione per l'austerità in una situazione di tassi negativi è una follia e che, dato la scarsità della domanda, bisogna rilanciare i consumi con un "people QE" (quantitative easing della gente).

Noi facciamo la differenza tra il calcolo ragionieristico basato sui prezzi (PIL) e il reale andamento della produzione industriale. Ora, posto a 100 il livello raggiunto nel 2008, l'unico paese europeo che ha aumentato la produzione industriale negli ultimi 10 anni è la Germania (+1%), mentre Italia, Spagna e Francia si aggirano sui 75-80. Tutti indici di un capitalismo potenzialmente già morto. Ecco spiegato il bisogno di distribuire i soldi alla gente con gli elicotteri. Se l'ultima crisi è stata superata con l'iniezione di liquidità alle banche, adesso gli economisti si trovano spiazzati, senza ulteriori munizioni da poter sparare. Ucciso il mostro di primo livello, il sistema se ne trova davanti uno più grande. Il capitalismo riesce a risolvere le proprie crisi solo spostandole nel futuro: pur di salvare sé stesso è costretto a negarsi sempre più, ma ad un certo punto il gioco non è più possibile e allora si apre un'epoca di rivoluzione.

Articoli correlati (da tag)

  • Un mondo inospitale

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, è iniziata con il commento di alcune note di un compagno sul libro di Nouriel Roubini La grande catastrofe: dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere.

    Il libro è forse il primo in cui nella parte conclusiva non si fa cenno a miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante. Infatti, l'autore propone solo due scenari a cui deterministicamente faremo fronte: uno "distopico" e uno "utopico". Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere un salto, a noi già noto, "dall'utopia alla scienza". Se non si riconosce il comunismo come " movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare distopie e utopie rinascimentali (altro spartiacque storico). I due termini sono raffrontati senza far riferimento a un qualsiasi parametro di specie: Utopia rispetto a cosa? Distopia dovuta a? Roubini ci spiega solo che siamo in una tempesta "perfetta", perché le megaminacce ormai incombenti sono date come "strutturali"; diremo noi, connaturate all'attuale modo di produzione. Sono strutturali ma non si dà una spiegazione di questo aggettivo. Si dice, correttamente, che la complessità delle megaminacce sta nella loro sincronia e nell'interagire tra loro, difficilmente prevedibile e computabile. L'ideologia dominante comincia a proporre la sua visione cieca: è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

    Per l'economista statunitense è sicuro che una bolla finanziaria scoppierà, l'incognita riguardo solo il quando e quanto in termini di danni provocati. Dice inoltre che bisogna tenere d'occhio l'eurozona e i suoi anelli più deboli, come Italia e Grecia, i primi che a causa di una crisi del debito potrebbero saltare, provocando un effetto domino.

  • Cicli che si chiudono

    Alla teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di robot e automazione partendo da un articolo dell'Economist intitolato "Don't fear an AI-induced jobs apocalypse just yet".

    Lo scorso primo marzo, all'Investor Day 2023 di Tesla, Elon Musk ha presentato Optimus, un robot umanoide da utilizzare a casa e in fabbrica del costo previsto di 20.000 dollari. Durante il meeting è stato proiettato il video di un automa intento a costruirne un altro simile: a breve, ha dichiarato l'imprenditore sudafricano, il rapporto 1:1 tra robot e umani potrebbe essere superato.

    Se effettivamente si arrivasse a produrre un esercito di otto miliardi di robot, i problemi derivanti da tassi di disoccupazione elevatissimi non potrebbero essere tollerati dall'attuale modo di produzione, basato sul sistema del lavoro salariato. Osserva infatti Musk: "Non è nemmeno chiaro cosa sia un'economia a quel punto".

    Già oggi vi sono produzioni altamente automatizzate: lo scorso dicembre ABB, multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese, ha aperto una mega-fabbrica di 67.000 metri quadrati a Shanghai, dove i robot producono altri robot. Ocado, il più grande rivenditore di generi alimentari online al mondo, si affida agli automi per consegnare cibo fresco a migliaia di persone nel Regno Unito; i suoi magazzini sono progettati come organismi viventi, dotati di un sistema nervoso centrale (software), un sistema cardiovascolare (nastri trasportatori) e di globuli rossi (casse). Il confine tra il mondo del nato e quello del prodotto è sempre più incerto.

  • L'unica soluzione

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 15 compagni, ha avuto come tema principale la guerra in Ucraina scoppiata circa un anno fa.

    Abbiamo iniziato la discussione analizzando le prese di posizione di alcuni militari italiani, (Leonardo Tricarico e Marco Bertolini) contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania. Si è quindi passati a commentare quanto scrive il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro L'Europa in guerra (ed. PaperFIRST, 2023). Una prima considerazione da fare, leggendo i capitoli iniziali del testo, riguarda il fatto che le campagne di denuncia di leniniana memoria sono ormai sostenute dagli stessi generali dell'esercito, motivo per cui i comunisti non si possono fermare a tale livello e devono per forza andare oltre.

    In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.

    Per il generale, l'Ucraina sta combattendo contro l'Europa per e con gli Stati Uniti. E l'obiettivo di quest'ultimi è mantenere l'egemonia sull'Europa e interrompere qualsiasi legame politico ed economico tra Berlino e Mosca, costringendo gli alleati a importare da loro risorse energetiche a costi più alti. In ballo c'è il controllo di un mondo che non accetta più supinamente il dominio del dollaro. Come nota l'Economist ("What Ukraine means for the world"), solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno condannato la Russia per l'invasione dell'Ucraina e le hanno imposto sanzioni.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email