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  • Resoconto teleriunione  18 febbraio 2020

Virali sono anche le crisi e le rivolte

La teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, ha preso le mosse da alcune notizie riguardanti la diffusione del Coronavirus.

Gli ultimi dati parlano di circa 1800 morti e decine di migliaia di infettati, ma anche di migliaia di malati guariti. Qualcuno fa notare che in Cina ogni anno muoiono 2,4 milioni di persone a causa dell'inquinamento, 600 mila per lo "stress da lavoro", e 300 mila in seguito ad incidenti stradali, senza che alcuno vi presti la dovuta attenzione. Ma mentre il virus si autopropaga, gli incidenti o i morti sul lavoro, seppur tantissimi, rimangono statisticamente stabili; nel caso di epidemie, superata una certa soglia la situazione potrebbe andare fuori controllo. A tal proposito, la società di ricerca aziendale globale Dun & Bradstreet ha lanciato preoccupati allarmi sull'infezione da Covid-19: se continuerà a diffondersi a questo ritmo, nel giro di 3 mesi il business di cinque milioni di aziende nel mondo potrebbe risentirne, con conseguenze nefaste per l'intero sistema capitalistico. Anche se si trattasse di un'esagerazione, di fatto nel mondo globalizzato tutto è interconnesso.

Il Coronavirus finora ha registrato una bassa mortalità (tra il 2 e il 3%), al contrario della Sars, che si è estinta in un tempo relativamente breve. Gli scienziati delle reti, ad esempio Mark Buchanan, trattano i fenomeni sociali al pari di quelli fisici: la diffusione di un virus, come quella di un "meme", risponde a leggi di potenza. Se il numero di infezioni secondarie è maggiore di uno, il numero di persone contagiate aumenta e scoppia l'epidemia; se è inferiore a uno, il contagio rimane circoscritto e il virus scompare. I grafici pubblicati dall'OMS sono ad andamento esponenziale: vuol dire che la trasmissione del Coronavirus è più di 1:1, vuol dire che si sarebbero dovute prendere misure che non sono state prese.

La Cina ha messo in quarantena oltre 60 milioni di abitanti, "sequestrati" nelle proprie abitazioni. La misura si ripercuote su commercio, produzione, e trasporto di uomini e cose, complice anche il panico che si sta diffondendo a livello planetario. Una malattia infettiva di questo tipo ha effetti anche psicologici, specie in un capitalismo fatto di metropoli gigantesche in cui vive la maggior parte della popolazione umana. Nei giorni scorsi è giunta la temuta notizia del primo contagio in Africa (Egitto), dove la maggior parte dei paesi non ha strutture sanitarie adeguate a contenere una potenziale epidemia. Per far fronte a questa situazione, è stata costituita una task force continentale coordinata dai cinque paesi maggiormente preparati dell'area (Senegal, Kenya, Marocco, Nigeria e Sudafrica).

Da quando è scoppiata l'epidemia le scuole cinesi sono rimaste chiuse. Da lunedì 17 febbraio, 180 milioni di studenti sono tornati in aula, anche se non fisicamente: grazie ad una piattaforma in cloud in grado di far accedere simultaneamente 50 milioni di account, gli allievi delle scuole superiori e delle università studiano da casa. Una specie di grande MOOC (Massive Open Online Courses) esteso a tutto il paese. Come ha notato il giornalista Riccardo Luna dalle pagine di Repubblica ("In Cina 180 milioni di studenti sono tornati a scuola. Online"):

"Questa storia del Coronavirus, anche quando sarà finita, ci avrà cambiato per sempre. La quarantena di un paese immenso, le navi da crociera bloccate, i voli chiusi, sono immagini che neanche il vaccino riuscirà a farci dimenticare. E' come se il mondo intero fosse entrato in una modalità di gioco diversa, in cui le regole di prima non valgono più."

Alcuni economisti mettono in guardia dalla possibilità che si inneschino feedback incrociati tali da provocare una crisi mondiale. La Germania, ad esempio, già nel 2019 aveva subito un forte calo nel mercato delle automobili e nella produzione industriale; ora, a causa del Coronavirus, la fiducia degli investitori è andata a picco. La banca d'affari giapponese Nomura prevede che l'Italia scivolerà in recessione nel 2020 per il mancato scambio commerciale con Pechino e per il forte calo del turismo. Inoltre, se a rallentare fosse l'economia cinese, le ripercussioni sarebbero globali.

Al tempo della diffusione della Sars, nel 2003, la Cina rappresentava il 4% del PIL globale; attualmente è arrivata al 16% ed è il secondo importatore per importanza al mondo. Ogni sua debolezza, per quanto temporanea, è avvertita da tutti. Wuhan è un'area fortemente industrializzata e le sue fabbriche riforniscono di semilavorati altre fabbriche in Cina, le quali a loro volta spediscono i loro prodotti in altri stabilimenti sparsi in tutto il mondo. Aziende come Fiat, Suzuki, Volkswagen, Audi hanno problemi di approvvigionamento. La Foxcoon ha annunciato di voler spostare la produzione in India, mentre gli impianti presenti in Cina stanno fabbricando maschere e abbigliamento medico. Mc'Donalds, Ikea, Starbucks hanno chiuso centinaia di punti vendita nel paese. Le attività si sono fermate in una dozzina di province, alcune delle quali molto importanti per la produzione industriale (Hebei, Yunnan, Shandong). Secondo Bloomberg, nelle aree colpite da restrizioni sono concentrate il 90% delle fonderie di rame, il 60% delle acciaierie e il 65% delle raffinerie di petrolio. La domanda di petrolio, nichel, acciaio sta registrando pesanti rallentamenti.

Quando si verificano grandi calamità "naturali", prende il sopravvento il modello militare. La mistificazione democratica cade e la società viene trattata come se fosse una fabbrica, con un piano di produzione e un organismo centralizzato che interviene con misure apposite. Nell'ultimo numero della rivista (articolo "Che fine ha fatto il futuro?") abbiamo ribadito come già Marx nei Manoscritti del 1844 affermasse che l'industria è la vera antropologia dell'uomo. Il problema non è il piano di produzione, il problema è l'azienda o, per citare un filo del tempo del 1952, il "vortice della mercantile anarchia". L'esercito è l'unica struttura che ha la capacità di gestire situazioni critiche di vasta portata. Gli eserciti sono però strutture nazionali, rispondono ad un centro direzionale limitato territorialmente. L'Organizzazione mondiale della sanità, agenzia speciale dell'ONU per la salute, non ha i poteri esecutivi necessari per agire globalmente, è come un'arma spuntata. Solo un governo mondiale non-capitalistico potrebbe trasformarla in un ministero della sanità di specie con ampi poteri d'intervento.

Così come si evolvono e si espandono i virus, al pari accade per le crisi e le rivolte. Recentemente il quotidiano La Stampa ha pubblicato la mappa della diffusione delle proteste nel mondo ("Proteste e rivolte: il mondo assomiglia a una polveriera"). Se il 2019 è stato l'anno di Hong Kong, della Francia, del Libano e del Sudamerica, "negli ultimi cinque anni si sono registrate 173.573 proteste e rivolte. Nella maggior parte dei casi tutto si è svolto senza feriti, ma in oltre 34mila episodi le manifestazioni si sono trasformate in rivolte violente."

Dal marasma sociale in corso non si può tornare indietro. Cresce il fenomeno dell'assalto ai supermercati e dell'accaparramento dei beni di prima necessità (Hong Kong), prima che metropoli con milioni di abitanti collassino per una pandemia o in generale per le difficoltà di funzionamento del capitalismo. Qualora nei grandi agglomerati urbani si verificassero blocchi prolungati della catena logistica, assisteremo ad una situazione out of control, tipo quelle viste a New Orleans dopo il passaggio dell'uragano Katrina. E allora, del tutto deterministicamente, dovranno formarsi comunità di mutuo soccorso, come successo con Occupy Sandy nel nord-est degli Stati Uniti.

Il futuro non vedrà certo la ripetizione dei vecchi modelli organizzativi, nemmeno di quelli che un tempo erano considerati rivoluzionari. Si profila una situazione inedita dal punto di vista storico: la chiusura del ciclo delle società di classe, un passaggio di natura epocale.

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Rivista n°52, dicembre 2022

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Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

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