Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  25 febbraio 2020

Al virus non serve il passaporto

La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 15 compagni, è iniziata commentando le ultime notizie in merito alla diffusione del coronavirus.

In Italia il primo caso di infezione da Covid-19 è stato annunciato lo scorso 21 febbraio. Nel giro di pochi giorni sono risultate infette decine di persone tra Lombardia e Veneto, e ad oggi le cifre ufficiali contano 325 contagiati e 11 decessi. Durante la scorsa teleconferenza avevamo notato che la paura legata al virus è dovuta non tanto alla mortalità (stimata tra il 2 e il 3%) quanto al potenziale di persone contagiate da un soggetto infetto che, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, (OMS) si aggira tra l'1,4 e il 3,8. Se chi è infetto non contagia altri, la diffusione si arresta da sola; al contrario, se il rapporto di trasmissione è maggiore di 1, siamo in presenza di un principio di epidemia. Di fronte a questa situazione le opinioni si sovrappongono ai fatti o addirittura li sostituiscono. Ad esempio sta diventando virale (in sintonia con l'oggetto in discussione) la convinzione che le misure di contenimento adottate dal governo italiano siano esagerate, perché, tutto sommato, quella prodotta dal coronavirus non è che un'influenza e, paragonando le cifre, produce meno morti di un morbo stagionale. L'assunto dell'esagerazione è semplicemente un falso: il coronavirus ha causato finora meno decessi delle influenze stagionali solo perché il suo contenimento, bene o male, è stato attuato, mettendo in pratica i protocolli definiti dall'OMS.

Di solito, quando le pandemie colpiscono gli allevamenti, si procede alla soppressione degli animali presenti, alla rimozione delle carcasse e alla disinfezione dell'area interessata. Ma mentre i conigli o i maiali si possono sopprimere, gli abitanti di una città-focolaio non possono essere eliminati. Esistono tre tipi di propagazione delle epidemie che fanno riferimento alla teoria delle reti: la prima, a riccio, vede un centro (hub) che diffonde la malattia; la seconda, a grappolo, somiglia ad una specie di fuoco d'artificio con diversi hub e collegamenti; la terza, a rete, è la più pericolosa perché non ci sono risorse sufficienti per l'emergenza dovuta alla proliferazione di hub.

In un mondo integrato come quello d'oggi, dove merci e uomini si spostano velocemente e con frequenza, le misure dei singoli paesi lasciano il tempo che trovano. I virologi affermano che questo virus è altamente infettivo anche se poco mortale: ogni 100 contagiati, 80 lo sono in forma lieve, e dei restanti 20, bisognosi del ricovero in ospedale, circa 2 sono a rischio di vita. Qualora il numero degli infettati crescesse, un 20% richiedente la degenza ospedaliera non è una questione da poco, dato che si renderebbe necessario fornire assistenza medica, cure intensive, macchine per la respirazione assistita a tutti i ricoverati. Ciò rischia di diventare un problema non solo sanitario, ma anche sociale.

L'efficacia del contenimento dell'epidemia di coronavirus sarebbe stata maggiore se la risposta offerta dai singoli paesi fosse stata coordinata e non in ordine sparso: gli interventi sono stati effettuati con criterio amministrativo, per nazione, per regione, addirittura per città. Ma le vie della diffusione virale non sono quelle indicate dai cartelli stradali, un virus non ha il passaporto e non conosce confini nazionali né tantomeno regionali o cittadini. Di fronte alla diffusione dell'infezione la borghesia italiana si presenta particolarmente frammentata, con il governatore di una delle sue regioni più importanti (Lombardia) lanciato all'attacco del capo di governo e viceversa. Da una parte vediamo scontri istituzionali interni alla classe dominante nazionale, e dall'altra l'esigenza di un coordinamento centralizzato, rappresentato a livello mondiale dall'OMS, la quale, pur essendo una struttura che ragiona in termini internazionali, non ha i poteri esecutivi necessari e non può decidere quello che deve fare un dato paese.

Il mondo "semplicemente non è pronto" per fronteggiare la propagazione dell'epidemia di coronavirus: è l'avvertimento del capo missione dell'OMS in Cina, Bruce Aylward. C'è da credergli: basta osservare le reazioni politiche scomposte di questi giorni in Italia, gli scontri tra autorità centrale e autorità periferiche. Senza contare la situazione sanitaria in cui versa il continente africano, di cui nessuno parla. Questo mondo non è pronto ad affrontare la diffusione di una crisi sistemica su vasta scala, non è pronto a neutralizzare la diffusione delle guerre civili e delle rivolte. Nell'articolo "Nel vortice della mercantile anarchia" (1952), è ben spiegata la schizofrenia capitalistica dovuta alla necessità di piano in un sistema economico anarchico:

"La divisione aziendale del lavoro, dopo aver dato i suoi risultati, deve cadere, e con essa in largo senso la stessa divisione professionale e sociale, appunto nella misura in cui sarà unica e centrale la direzione scientifica di ogni funzione nei settori di lavoro produttivo. Ogni sistema, infatti, mercantile ed aziendale non può separarsi, e dal dispotismo della divisione delle funzioni dell'azienda, e dall'anarchico disordine della produzione nella società. Tale anarchia conduce allo scompenso e alla crisi economica, e quindi al crollo del sistema mercantile. Ma altra è la pianificazione di classe che il capitalismo moderno attua per allontanare le conseguenze di tale congenita anarchia, e che è pianificazione di repressione degli antagonismi, e calcolo generale ai fini dei massimi di rendimento aziendale mercantilmente valutato, altro la nostra pianificazione del lavoro e del consumo generale, calcolo di valori d'uso in unità fisiche, e non di valori mercantili."

Il caos politico e sociale che sta dilagando a livello mondiale è il riflesso del disordine della produzione capitalistica, della sua anarchia. Si ammassano milioni di uomini nelle metropoli, si concentrano masse di animali in allevamenti intensivi, si inquina l'ambiente, e dopo si lanciano inutili allarmi quando si diffondono le malattie.

Richard Dawkins definisce "meme" un'unità d'informazione che si propaga espressamente per via imitativa attraverso il linguaggio e attraverso qualsiasi media. Il coronavirus ha generato il suo "meme", un'unità di informazione che sarà pure immateriale, ma che ha prodotto effetti materiali, colpendo anche le aree non interessate dall'infezione con, ad esempio, l'assalto ai supermercati. Un fenomeno, quello della corsa agli scaffali per fare le scorte, che è stato alimentato dal tam tam sui social network e che ha determinato processi spontanei di autorganizzazione. Un piccolo saggio di futuro, che ci dà l'idea di cosa potrebbe succedere se si interrompessero veramente le catene logistiche che alimentano di merci le metropoli. A Codogno alcuni abitanti alla ricerca di beni di prima necessità hanno aggirato i controlli della polizia passando per strade secondarie; le forze dell'ordine hanno quindi aumentato i posti di blocco e ora migliaia di persone sono isolate. Se ci vogliono una trentina di check point per controllare una piccola area come quella del paese lombardo, proviamo a immaginare il numero di poliziotti e militari necessari per l'isolamento di città come Milano o Torino.

L'Italia, un paese con 60 milioni di abitanti, si è assestata al terzo posto per numero di infettati, superando il Giappone che di abitanti ne ha il doppio. In Cina 60 milioni di persone sono state messe in quarantena, interi distretti industriali chiusi, aerei e navi fermate, ma il contagio ha varcato lo stesso i confini nazionali.

La borghesia ci pensa due volte prima di bloccare tutto e questo provoca il diffondersi delle epidemie. Ad un certo punto però gli stop sono necessari, anche se parziali e limitati nel tempo. I delegati sindacali della Electrolux di Susegana in un comunicato del 24 febbraio scorso chiedono come mai strutture come scuole, cinema e musei siano chiusi per giorni, mentre gli stabilimenti dove migliaia di operai lavorano fianco a fianco sono rimasti in funzione. Il capitalismo non può evitare di produrre merci, un blocco generalizzato della produzione significherebbe la catastrofe economica. Questi eventi trovano quindi una borghesia incapace di affrontare razionalmente la situazione, preoccupata com'è di salvare il business, divisa a livello planetario e disgregata persino nelle sue componenti nazionali.

I modelli matematici ci dicono che i sistemi complessi o trovano un loro equilibrio interno, oppure tendono a perdere energia e a collassare (Il medioevo prossimo venturo, Roberto Vacca). Qualche anno fa discutevamo delle periferie partendo dal libro Il pianeta degli slum di Mike Davis che, analizzando la crescita caotica dell'urbanizzazione planetaria, descriveva una dinamica di tipo catastrofico. Poi sono arrivate le sollevazioni delle banlieue francesi, le Primavere arabe, Occupy Wall Street e le recenti rivolte in Europa (gilet gialli), Sud America, Nord Africa e Medio Oriente. Eventi di questo tipo avvengono con sempre maggiore frequenza e intensità. C'è una progressione, una "freccia del tempo" orientata, che porta verso situazioni out of control. La borghesia cerca di minimizzare per non creare il panico. Tuttavia, quando la società si avvicina ai margini del caos, certe azioni provocano il contrario di quanto desiderato da chi le compie.

Le circostanze trasformano gli uomini ponendoli di fronte a nuovi problemi. Le concatenazioni di fatti producono effetti che nel breve-medio periodo sono imprevedibili: siamo alla classica farfalla che batte le ali, come nel celebre aforisma, generando un piccolo vortice il quale, rafforzato da altre determinanti, si trasforma in un uragano a mille chilometri di distanza. Un'influenza che è nata in Cina, dopo un paio di mesi ha messo a tappeto l'economia italiana, la quale a sua volta ha amplificato il contagio economico. La Borsa di Milano nella giornata di lunedì 24 ha bruciato 30 miliardi di euro perdendo oltre il 5%, e quelle mondiali, a partire dalle piazze finanziarie europee subito seguite da Wall Street, hanno perso mille miliardi di dollari.

Articoli correlati (da tag)

  • Un mondo senza lavoro

    La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'intervista di Repubblica (05.09.23) a Daniel Susskind, professore di economia al King's College di Londra e autore di Un mondo senza lavoro, che afferma la necessità di cambiare paradigma dato che si sta stabilendo un nuovo rapporto tra lavoro e senso della vita: "l'idea di intraprendere una carriera, trascorrere diversi decenni a progredire e poi andare in pensione, è piuttosto superata".

    Nell'articolo "Proletari, schiavi, piccolo-borghesi o... mutanti?", pubblicato sulla rivista n. 4 (2001), descrivevamo una serie di trasformazioni che all'epoca si potevano solo intravedere; allora, infatti, non c'erano i rider, non c'erano i clickworkers e di intelligenza artificiale si parlava poco:

    "La struttura mondiale del lavoro sociale, la socializzazione crescente della forza produttiva umana, non possono non avere effetti materiali sulle forme in cui si manifesta lo sfruttamento. Se la miseria e il sottosviluppo odierni sono fenomeni modernissimi dovuti alla distruzione irreversibile dei rapporti antichi, l'estendersi enorme di rapporti di lavoro atipici nelle aree metropolitane non devono essere considerati fenomeni di regresso: saranno anch'essi a tutti gli effetti il risultato di progresso, quindi, per definizione, riflessi del futuro sul presente in via di liquidazione continua."

  • Crepe nell'Impero Celeste

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata commentando la situazione economico-finanziaria della Cina, a partire dal possibile scoppio della bolla immobiliare.

    Quanto successo nelle ultime settimane, tra cui le difficoltà del colosso Country Garden ma non solo, conferma quanto andiamo sostenendo da anni circa la raggiunta senilità della Cina. Ora se ne accorgono anche i borghesi, in particolar modo l'Economist che nell'edizione del 26 agosto ipotizza una "giapponificazione" (bassa crescita e deflazione) della economia cinese ("China's economy is in desperate need of rescue"). L'immobiliare è diventato un settore strategico, rappresentando il 30% del PIL cinese; l'enorme bolla speculativa è dovuta al fatto che il capitale ha cercato di valorizzarsi nella costruzione ex novo di decine di città, rimaste poi abbandonate. Secondo la banca Morgan Stanley, dal 2010 al 2020 il gigante asiatico ha costruito più di 140 milioni di unità abitative, e in soli tre anni ha prodotto una quantità di cemento che potrebbe trasformare la superficie della Gran Bretagna in un parcheggio; non pago, ha costruito città fantasma anche in Africa.

    Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il suo picco e i problemi di natura economica si assommano a quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri. Al pari dei paesi a vecchio capitalismo, la Cina installa robot nelle fabbriche e investe in intelligenza artificiale, e quindi si trova di fronte alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche passando in pochi anni da una crescita impetuosa a un altrettanto veloce declino.

  • Autonomizzazione degli eserciti e dei conflitti

    La teleconferenza di martedì, presenti 20 compagni, è iniziata commentando la situazione internazionale alla luce del recente golpe in Niger e del conflitto in Ucraina.

    Il Niger è il più esteso e il più povero paese dell'Africa Occidentale (circa 1,3 milioni di kmq e 25 milioni di abitanti); tuttavia, è fondamentale per la sua posizione geografica essendo collocato tra il Maghreb a nord (Tunisia, Algeria, Libia) e i paesi del golfo di Guinea a sud (Nigeria, Camerun, Costa d'Avorio). E' difatti un importante crocevia per commerci di ogni tipo, anche di esseri umani. Nel suo sottosuolo giacciono uranio, petrolio, gas naturale, oro, diamanti e terre rare, che hanno sempre attirato interessi stranieri.

    Lo scorso 26 luglio la guardia presidenziale ha prima circondato il palazzo presidenziale e poi messo agli arresti il presidente Mohamed Bazoum, il primo democraticamente eletto nel paese africano dal 1960. Questo golpe si aggiunge alla sequenza di colpi di stato militari consumati recentemente fra Mali (2020, 2021), Guinea (2021) e Burkina Faso (2022), facendo scivolare ancora di più nel caos l'intera area. Il Niger è stato uno dei pochi paesi ex coloniali ad aver mantenuto uno stretto e continuativo rapporto negli anni con la Francia ed è destinatario di investimenti in sicurezza degli Stati Uniti, che hanno impiantato una base militare (Air Base 201) a 500 miglia a nord ovest della capitale. Considerato un avamposto occidentale nel Sahel, ora il governo golpista guidato dal generale Abdourahaman Tchiani ha intimato la Francia a non intervenire nelle questioni interne del paese.

Rivista n°53, giugno 2023

copertina n° 53

Editoriale: La guerra rispecchia la società

Articoli: Sul libero arbitrio

Rassegna: Effetto domino - Crollo generale"

Terra di confine: Magazzini organici - Apprendisti stregoni - La forma ed il contenuto

Recensione: Doom

Doppia direzione: Riscontri d'oltreoceano

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email