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  • Resoconto teleriunione  31 marzo 2020

Uno scontro epocale

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 31 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'acuirsi della crisi economica, a causa della diffusione del virus Covid19, in relazione alla "nostra" dottrina del divenire storico.

Molto prima che iniziasse la pandemia, il capitalismo attraversava una profonda crisi strutturale che, almeno dal 2008, ha messo a dura prova la stessa legge del valore su cui esso si fonda; il virus rappresenta la famosa goccia che fa traboccare il vaso ormai colmo. Per non rimanere schiacciati dall'attualità, dal flusso incessante di articoli, lanci d'agenzia e video che scorre sugli schermi dei nostri computer, è bene ricordare che il marasma sociale in corso è il prodotto dello scontro tra modi di produzione. In Dottrina dei modi di produzione (1958) si afferma:

"Non può accampare pretesa a chiamarsi dialettico e marxista chi non sa leggere, ogni qualvolta si discute del passaggio da precapitalismo a capitalismo, i taglienti enunciati del passaggio da capitalismo a comunismo".

Nell'articolo "La prima grande rivoluzione" (2010), pubblicato sulla rivista n. 27, viene analizzato il passaggio dagli organismi di produzione e distribuzione delle società comunistiche originarie alle prime forme di proto-stato. La prima rivoluzione ha portato alla nascita dello Stato e cioè di un elemento in grado di controllare la società; oggi siamo in presenza di un Capitale autonomizzato che domina sullo Stato ed il processo, per cui la forma sociale vigente si sta disgregando per lasciare il posto ad una di tipo superiore giungendo da n a n+1, si presenta rovesciato perché la transizione è dalle società di classe al comunismo.

Nel corso della sua dominazione la borghesia ha dato vita ad organizzazioni di carattere internazionale che potrebbero rappresentare l'architettura di un sovrastato mondiale, ma per la sua stessa natura, questa classe inconseguente, non riesce ad utilizzarli o, perlomeno, lo fa in modo insignificante. Ne è chiaro esempio l'operato dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, della Banca Mondiale e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. In particolare, quest'ultima non ha poteri esecutivi nei confronti degli stati e non può imporre uno standard coordinato di azione nemmeno nel caso di situazioni potenzialmente catastrofiche, ad esempio di fronte allo scatenarsi di una grave pandemia. Gli "esperti" dicono che in Italia si è raggiunto il picco dei contagi e che entro poche settimane, al massimo qualche mese, si tornerà alla normalità. Si tratta di dichiarazioni mosse dalle pressioni di capitalisti e governanti che vogliono riaprire fabbriche, uffici e attività commerciali, ciò che davvero importa nel capitalismo.

Dal punto di vista dell'accumulo di contraddizioni, si prospetta una situazione inedita: mentre i sinistri lanciano parole d'ordine come "la crisi la paghino i padroni", oppure denunciano l'ennesimo "attacco alle condizioni di vita dei proletari", la borghesia dimostra di non riuscire a governare il suo mondo, e al momento, purtroppo, non esiste un organismo in grado di scalzarla dalla scena storica. Comunque, quando si verifica una polarizzazione sociale e le masse si mettono in moto contro lo stato di cose presente, nessuna forza può fermarle. In Cile milioni di persone scendono in piazza da mesi senza rivendicare nulla, ma semplicemente perché non ce la fanno a vivere in questo sistema. Intanto, in Europa ed America la borghesia rinnega i suoi valori, essendo costretta a mantenere ampi strati di popolazione proletarizzata con misure di sostegno al reddito. In pochissimo tempo è stato digerito che, pur di evitare la catastrofe, è necessario agire sulla "propensione marginale al consumo" dando reddito a chi non ce l'ha. Siamo ad una inversione totale dei paradigmi che descrivono il capitalismo. Le masse che oggi scendono in piazza ricordano quel passo del Manifesto del Partito Comunista in cui si dice che i proletari non hanno nulla da perdere se non le proprie catene. Gli uomini non fanno la rivoluzione per motivazioni ideologiche, ma perché non possono più vivere come prima.

Nel prossimo numero della rivista ci saranno due articoli principali. Il primo è la continuazione dello studio sul fascismo, sulle spinte tecnocratiche tra le due guerre, e sulla struttura dello stato moderno. Il secondo è un'indagine su quanto sta accadendo nel mondo in seguito alla pandemia, soprattutto riguardo le misure inefficaci adottate dagli stati e quindi sulla necessità di una forma sociale completamente diversa.

Durante il mese di marzo sono stati numerosi gli scioperi per la difesa della salute degli operai in Italia, Spagna, Brasile e, ultimamente, Stati Uniti. Sono scioperi per la vita, che non rivendicano qualcosa in particolare: nelle fabbriche e nei magazzini italiani i lavoratori hanno incrociato le braccia lanciando lo slogan "non siamo carne da macello". In un articolo dell'Avvenire intitolato "I militari per strada: il vero rischio è che poi ci restino", per definire i cambiamenti in corso è stato utilizzato il termine "istèresi", che identifica "il fenomeno per cui un corpo, sottoposto a una pressione, mantiene una deformazione anche quando la tensione si allenta o termina". L'erogazione di un reddito di cittadinanza a milioni di persone è già, per certi versi, un elemento di negazione della legge del valore; in seguito alle misure di quarantena e al blocco delle produzioni, la platea dei percettori di misure di sostegno economico non farà che aumentare, dato che la sovrappopolazione non è più oscillante, cioè relativa a periodi di boom economico e crisi, ma assoluta. Non è possibile però che una componente sempre più esigua di lavoratori produttivi mantenga tutta la società. Eppure indietro non si torna.

Il capitalismo si sta autodistruggendo, letteralmente, non riuscendo più a fare la manutenzione alle infrastrutture, dai palazzi ai viadotti, che stanno cadendo in rovina. La causa risiede in un difetto di accumulazione: il sistema risponde ad una crisi di sovrapproduzione aumentando la produzione stessa. Il peggior nemico del Capitale è esso stesso.

In un sistema complesso come quello capitalistico è difficile fare previsioni a breve termine, ma questo non ci impedisce di provarci, basandoci su dati scientifici. Nell'articolo "Un modello dinamico di crisi" (2008) abbiamo affermato, mettendo insieme tutta una serie di proiezioni, che "il sistema collasserà intorno al 2030 o anche prima". L'ondata di rivolte degli ultimi anni, dal Cile all'Iraq, dall'Iran alla Francia, dalla Colombia ad Hong Kong, sembra confermare questo trend.

Di fronte all'antiforma che emerge senza rivendicare nulla, allo Stato non resta altro da fare che imporre il coprifuoco, blindare le metropoli, militarizzare la società. Anche dal punto di vista della guerra sono in corso trasformazioni potenti. Dai soldati nemici che potevano "fraternizzare" dalle trincee durante la Prima guerra mondiale, si è passati alla guerra condotta con le macchine che coinvolge massicciamente le popolazioni, per arrivare al conflitto come proiezione di potenza di fuoco indipendentemente dalla presa immediata del territorio. Ciò porta a cambiare il tipo di armamento e l'uso che se ne fa. La guerra odierna, analizzata dagli esperti di dottrine militari, è condotta in ambienti urbani con milioni di abitanti, è "combattuta a pezzi", come afferma Papa Francesco, e in prospettiva porta ad uno scontro di tutti contro tutti. Non sono possibili schieramenti di tipo classico anche perché non ci sono più due blocchi contrapposti. Dalla teoria americana del nation building (ricostruzione di una nazione), si è arrivati ad uno scenario di guerra endemica, senza interruzione di tempo e di spazio. L'intelligence, da Sun Tsu in poi, ha un'importanza fondamentale, oggi più di prima con l'avvento della cyberwar.

Marx precisa che il rapporto fra borghesia e proletariato è sempre un rapporto di guerra, anche quando lo scontro non è palese, e la nostra corrente ha messo in luce che se avanza la controrivoluzione è proprio perché la rivoluzione è in marcia ("Lezioni delle controrivoluzioni", 1951).

In India, anche in seguito al lockdown (chiusura totale), è iniziato un esodo biblico dalle metropoli verso le campagne. Le città funzionano perché vengono alimentate dall'esterno, attraverso linee logistiche che fanno il giro del mondo; un blocco prolungato del flusso di beni di prima necessità le farebbe collassare. Il timore di restare chiusi in casa senza cibo ha portato in vari paesi all'assalto dei supermercati. La paura di rimanere confinati nelle metropoli ha prodotto fughe di massa verso i piccoli centri urbani. Nel 2005 a New Orleans, in seguito al passaggio dell'uragano Katrina, e soprattutto nel 2012 a New York dopo l'uragano Sandy, sono nate delle comunità di mutuo appoggio. Occupy Sandy era una struttura di mutuo soccorso che non aveva caratteri ideologici ma pratici, dovuti al bisogno di sostenere le comunità colpite e abbandonate dalle istituzioni. Tali strutture potrebbero riformarsi ed evolvere verso qualcosa di superiore per quanto riguarda obiettivi e organizzazione.

Nelle Tesi di Napoli (1965) viene delineato un partito mondiale della rivoluzione, non più in lotta contro altri partiti politici, ma divenuto organismo di specie e impegnato ad occuparsi dei grandi pericoli che questa può incontrare nella società futura. Nelle Tesi di Roma (1922) si parla della natura organica e del processo di sviluppo del partito comunista. Nel 1913, con l'articolo "Un programma: l'ambiente", il partito viene definito quale alternativa reale alla società capitalistica. Arma totale della rivoluzione, il partito è un'anticipazione della società futura, così come scritto in "Origine e funzione della forma partito" (1961). Ogni passaggio rivoluzionario vede la formazione di un'antiforma e quando sulla scena storica si affaccia una forma sociale con un rendimento energetico superiore, questa tende deterministicamente ad affermarsi. Lo scontro, prima che tra partiti, eserciti e uomini, è tra modi di produzione.

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    Nell'articolo "Proletari, schiavi, piccolo-borghesi o... mutanti?", pubblicato sulla rivista n. 4 (2001), descrivevamo una serie di trasformazioni che all'epoca si potevano solo intravedere; allora, infatti, non c'erano i rider, non c'erano i clickworkers e di intelligenza artificiale si parlava poco:

    "La struttura mondiale del lavoro sociale, la socializzazione crescente della forza produttiva umana, non possono non avere effetti materiali sulle forme in cui si manifesta lo sfruttamento. Se la miseria e il sottosviluppo odierni sono fenomeni modernissimi dovuti alla distruzione irreversibile dei rapporti antichi, l'estendersi enorme di rapporti di lavoro atipici nelle aree metropolitane non devono essere considerati fenomeni di regresso: saranno anch'essi a tutti gli effetti il risultato di progresso, quindi, per definizione, riflessi del futuro sul presente in via di liquidazione continua."

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Rivista n°53, giugno 2023

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