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  • Resoconto teleriunione  14 giugno 2016

Una situazione assai critica

La teleconferenza di martedì, presenti 16 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo la manifestazione del 14 giugno contro la Loi Travail.

Secondo gli organizzatori, a Parigi sono scesi in strada circa 1 milione di persone; nettamente inferiori i numeri diffusi dalle forze dell'ordine che hanno contato tra i 75.000 e gli 80.000 partecipanti. Violenti scontri si sono verificati fin dall'inizio, con la polizia che a più riprese ha cercato di dividere il lungo corteo. Decine i feriti, anche tra le fila dei tutori dell'ordine.

I sindacati francesi stanno cavalcando il malcontento dei lavoratori ma hanno tutto l'interesse a spegnere la lotta e perciò spingono in tale direzione. Potrebbe darsi che l'uccisione dei due poliziotti, a cui si aggiungono gli scontri con gli hooligans arrivati in occasione degli Europei di calcio, favorisca il tentativo di riportare il tutto sul piano della responsabilità nazionale.

In solidarietà con lo sciopero francese, in Germania è stata occupata una sede dell'Spd e in Spagna sono stati organizzati sit-in davanti all'ambasciata di Francia. In Italia, i facchini dell'interporto di Bologna hanno bloccato l'importante centro logistico, mentre a Milano una ventina di militanti dei sindacati di base hanno interrotto la circolazione del Tgv diretto a Parigi. Sempre nel capoluogo lombardo, da segnalare la lotta di un gruppo di operai della Marcegaglia che da mesi si batte contro il trasferimento coatto e ha dato vita, il 14 giugno scorso, ad un presidio davanti alla prefettura; l'iniziativa è stata sostenuta da Nuit Debout Milano che ha invitato simpatizzanti e sindacati a partecipare.

La corrente a cui facciamo riferimento, la Sinistra Comunista "italiana", ci ha lasciato in eredità formidabili strumenti teorici per inquadrare quello che succede intorno a noi. In Partito rivoluzionario e azione economica viene specificato che "ogni movimento economico e sociale conduce a un movimento politico e ha importanza grandissima in quanto estende l'associazione e la coalizione proletaria, mentre le sue conquiste puramente economiche sono precarie e non intaccano lo sfruttamento di classe".

Perché una situazione sia a tutti gli effetti rivoluzionaria devono essere presenti tre fondamentali fattori: "1) un ampio e numeroso proletariato di puri salariati; 2) un grande movimento di associazioni a contenuto economico che comprenda una imponente parte del proletariato; 3) un forte partito di classe, rivoluzionario, nel quale militi una minoranza dei lavoratori, ma al quale lo svolgimento della lotta abbia consentito di contrapporre validamente ed estesamente la propria influenza nel movimento sindacale a quella della classe e del potere borghese."

Se manca anche uno solo degli elementi elencati la situazione sociale è controrivoluzionaria.

In Francia si è determinato un movimento esteso a tutto il paese che ha lanciato uno sciopero politico con rivendicazioni economiche. La Loi Travail è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso: la ribellione è causata dal costante peggioramento delle condizioni di vita. E quello che il parlamento francese si appresta a fare, è trasformare il paese in un Cile modello Pinochet con l'introduzione di elementi inerenti al capitalismo liberista dei Chicago boys. Questo processo è stato descritto con dovizia di particolari da Naomi Klein nel libro Shock economy.

Negli Stati Uniti la situazione è forse peggiore di quella francese: siamo alla guerra civile endemica. Donald Trump non ha esitato a sfruttare la strage di Orlando a fini elettorali attizzando l'odio verso immigrati e islamici. Nel Paese il fenomeno degli scontri a fuoco rischia di andare fuori controllo: secondo alcuni studi riportati da Il Sole 24 Ore, "tra il 2004 e il 2013 (ultimo anno disponibile) sono morte, colpite da armi da fuoco, 316.545 persone. Secondo il dipartimento di Stato, i cittadini statunitensi uccisi all'estero in attacchi terroristici sono stati, negli stessi anni, 277."

La vittoria elettorale di Trump si inserirebbe in un contesto di per sé catastrofico e potrebbe far precipitare la situazione. L'attivismo statunitense, con lo schieramento di portaerei ai quattro angoli del globo, è sintomo di debolezza: in declino, la potenza a stelle e strisce non ha più la forza di far da traino al resto del mondo, ma allo stesso tempo ha ancora potere di ricatto perché il mondo capitalistico non ha la vitalità sufficiente per generare un erede.

Gli Stati Uniti sono debitori della Cina, ma l'hanno obbligata ad accumulare credito in dollari, e a commerciare sull'intero pianeta usando dollari dato che lo Yuan non è convertibile (lo è solo in casi particolari, con accordi limitati fra paesi). Chi deve avere paura di chi? Gli Usa sono clienti che comprano tanto e si indebitano tanto, la Cina è un fornitore che impresta denaro al suo cliente migliore. Secondo la norma è quest'ultima a doversi preoccupare: 1) che il cliente si dilegui; 2) che diventi insolvente; 3) che da un bilancio in surplus passi essa stessa ad un bilancio "deficit spending" come nei maggiori paesi capitalistici.

La domanda che ci siamo posti è: può il pianeta sopportare una struttura del debito come quella attuale protratta per altri decenni?

Parte del marasma sociale da noi analizzato ha radici nel debito, o meglio: nella situazione che rende obbligatorio il debito. Ed è una situazione assai critica, perché di fronte a un mercato ormai globale si riproducono a scala altrettanto globale tutte le contraddizioni classiche del modo di produzione capitalistico.

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  • Un anno di guerra in Europa

    La teleriunione di martedì 28 sera, presenti 18 compagni, è iniziata riprendendo il tema della guerra in corso in Europa, fatto che per gli attori statali coinvolti e le forze in campo presenti non si verificava dalla Seconda Guerra Mondiale.

    Gli analisti militari non sanno bene come inquadrare ciò che sta accadendo in Ucraina e quanto possa durare il conflitto. L'obiettivo della "operazione militare speciale", come l'ha definita Putin, era la sostituzione del governo di Kiev per mezzo di un colpo di mano dell'esercito ucraino con l'annessione definitiva da parte della Federazione Russa delle regioni dell'est del paese e della Crimea.

    Ad un anno dall'inizio della guerra, le maggiori potenze hanno svuotato gli arsenali (NATO e Russia denunciano la carenza di scorte di armi e munizioni) e si trovano a doverne fabbricare di diversa qualità, visto che nel frattempo si sta verificando un cambiamento dei mezzi e dei fini della guerra. Uno dei problemi maggiori di questo conflitto riguarda i costi: un drone Bayraktar Tb2 turco costa da uno a 5 milioni di dollari, e un carro armato moderno come il Leopard 2 costa tra i 4 e i 6 milioni di euro. La produzione di Leopard e il trasferimento dei modelli più vecchi che giacevano nei magazzini rappresentano una scommessa soprattutto per la NATO, che deve decidere se in futuro avrà ancora senso continuare a produrne. Il drone, nato per recepire informazioni dal campo tramite filmati e foto dall'alto, si è trasformato in un vero e proprio aereo da guerra. La Russia ha ordinato alle proprie industrie la produzione di migliaia di missili ipersonici Zircon, ma resta da capire come saranno utilizzati dato che viaggiano a circa 10mila km l'ora e possono colpire un bersaglio a una distanza di mille chilometri.

  • L'unica soluzione

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 15 compagni, ha avuto come tema principale la guerra in Ucraina scoppiata circa un anno fa.

    Abbiamo iniziato la discussione analizzando le prese di posizione di alcuni militari italiani, (Leonardo Tricarico e Marco Bertolini) contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania. Si è quindi passati a commentare quanto scrive il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro L'Europa in guerra (ed. PaperFIRST, 2023). Una prima considerazione da fare, leggendo i capitoli iniziali del testo, riguarda il fatto che le campagne di denuncia di leniniana memoria sono ormai sostenute dagli stessi generali dell'esercito, motivo per cui i comunisti non si possono fermare a tale livello e devono per forza andare oltre.

    In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.

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  • Aveva ragione Marx?

    La teleriunione di martedì sera, presenti 19 compagni, è iniziata commentando il numero 11/2022 di Limes, interamente dedicato alla situazione negli Stati Uniti d'America.

    La tesi principale sostenuta dalla rivista di geopolitica è che gli USA sono un paese pericolosamente disunito, specialmente senza un nemico esterno riconoscibile che faccia da collante sociale. La guerra civile del 1861-1865 ha sì sancito l'unione degli stati federali, ma la nazione è rimasta fortemente divisa e perciò adesso rischia di spaccarsi. Questa divisione interna agisce profondamente e può essere riscontrata persino nei contrasti tra i vari servizi di sicurezza (FBI, CIA, ecc.). Milioni di americani vedono Washington come lontana sede della burocrazia, lo stato federale è percepito come un alieno e, secondo alcune frange della destra alternativa (ma non solo), come un nemico da combattere.

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Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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