Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  3 settembre 2013

Il futuro prossimo del capitalismo

La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 10 compagni, è iniziata dall'analisi del movimento Occupy in relazione ad esperimenti analoghi che stanno prendendo piede sul territorio americano. Se il movimento non riesce a criticare se stesso per andare oltre, è destinato a spegnersi. L'incapacità di formare un partito in sintonia con il futuro è una tragedia sia per gli anticapitalisti americani che per quelli degli altri paesi. Allo stesso tempo però, da altri luoghi della società arrivano segnali degni d'interesse. I sostenitori del Venus Project hanno aggiornato il loro sito, conservando la stessa documentazione e cominciando un dialogo con OWS. Questi esploratori nel domani vanno avanti per la loro strada, credono che un altro mondo sia possibile e hanno messo in piedi due società parallele, una no profit per la diffusione del progetto e una profit dalla quale ricavano dei salari di sussistenza per poter vivere e finanziare la propaganda.

Si è poi passati a parlare della scottante questione siriana e delle manovre politico-militari americane. Il fronte di guerra siriano si sta allargando e l'estensione del conflitto non riguarda solo il Libano e gli altri paesi confinanti, la posta in gioco è il dilagare della guerra su scala globale. Il Vaticano sta muovendo la propria diplomazia e si è detto contrario ad un intervento militare: "Rischio guerra mondiale, nessuno uscirebbe indenne da un conflitto". Il presidente francese Hollande, l'unico alleato occidentale rimasto disponibile ad un intervento armato, dispone di una potenza militare inadeguata rispetto allo scenario che si sta profilando all'orizzonte. Gli Usa hanno aggiunto una portaerei a quelle già presenti nel Mediterraneo ed anche gli israeliani hanno fatto prove tecniche di guerra. Per quanto riguarda la Siria, gioca un ruolo importante l'intreccio di alleanze presenti sul territorio: la rete di interessi è più intricata di quella che c'è in Iraq. Gli americani non possono muoversi con leggerezza come hanno fatto finora, di qui la cautela di Obama e la necessità di fare lobby al Congresso. L'America ha il fiato corto e compattare il fronte interno è sempre più difficile. Il senatore repubblicano Rand Paul ha messo in guardia Obama dallo sferrare un attacco alla Siria: "Stiamo scivolando in una guerra più grande con la Russia... questo non è un gioco e non si può pensare di dire hey, premiamo questo pulsante ed uccidiamo un pò di gente e diciamo loro che non devono usare le armi chimiche." In effetti nell'area la sovrapposizione di alleanze politiche e religiose è potenzialmente esplosiva: l'Egitto è l'unico paese ad avere relazioni stabili con Israele, il quale è nemico di tutti e potrebbe essere il primo a rimetterci dallo scoppio della guerra, schiacciato com'è tra masse di milioni di mussulmani. L'Arabia Saudita spinge per attaccare la Siria, mentre Iran, Russia e Cina minacciano tutti perché non hanno nessun interesse che Assad cada. Gli Stati Uniti non hanno intenzione di rovesciare il regime alawita ma nemmeno di adottare una soft strategy. Storicamente gli americani attaccano e vogliono la resa incondizionata del nemico, difficilmente scendono a patti.

Secondo Fabio Mini, fino alla seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano una politica di ricostruzione dei paesi conquistati, il Nation-Building, meglio conosciuto in Europa come Piano Marshall. C'era un progetto di intervento per coinvolgere la società civile e in questo modo difendere e tutelare i propri interessi. Dall'Iraq in poi gli americani non hanno una progettualità e una politica all'altezza delle sfide che il mondo globalizzato pone. L'azione economica e politica esercitata dal paese dominante sul mercato mondiale suscita immancabilmente reazioni da parte degli altri paesi che ne subiscono l'iniziativa. La concorrenza tra capitalisti si manifesta fra gli Stati in altre forme e sfocia spesso in conflitto armato.

Il concetto di serie storica dell'imperialismo si basa su una freccia del tempo, sul maturare di processi dinamici che hanno uno sbocco necessario, dipendente cioè dalle determinazioni precedenti. E le determinazioni pongono gli Stati Uniti in una situazione completamente diversa da quella in cui si sono trovati i loro predecessori. La successione mostra di interrompersi. Per capire se è vero e non prendere delle cantonate, non c'è altro modo che lavorare come al solito su invarianti e trasformazioni. C'è un dato a conferma che il ciclo storico dell'imperialismo si sta chiudendo: secondo Joseph Stiglitz per la guerra in Iraq gli Usa hanno speso 3000 miliardi di dollari. Una volta le guerre servivano a rivitalizzare l'economia, mettevano in moto cicli di accumulazione, adesso sono una spesa sempre più difficile da sostenere per Stati sempre più indebitati.

Sembra difficile pensare ad un intervento militare via terra in Siria, risulta più probabile un'operazione dimostrativa con bombardamento mirato su alcuni punti strategici. Al contrario dell'Iraq, desertico e piatto e con obiettivi facili da colpire, in Siria ci sono zone montane ed è difficile da invadere con la fanteria. Qualora partisse l'intervento militare questo sarà coordinato dalle portaerei presenti nel Mediterraneo e questo sarà il vero teatro di guerra. L'Italia, con una sessantina di installazioni americane sparse sul territorio nazionale, è coinvolta per forza di cose nello scenario bellico. L'esercito italiano è presente in Libano con le forze d'interposizione dell'Unifil che dovrebbero fungere da cuscinetto tra Israele e Hezbollah, il quale da un pò di tempo combatte a fianco di Assad contro i ribelli siriani.

Gli Usa sono l'unico paese al mondo in grado di fare il poliziotto globale, non possono però intervenire in più punti contemporaneamente. Basti pensare alla situazione del Mali dove i francesi hanno tirato un calcio nel vespaio fondamentalista e gruppi di jihadisti si sono sparsi in Nordafrica e oltre. Gli Stati Uniti sono quindi in una situazione estremamente contraddittoria: da una parte devono mettere ordine nel mondo, dall'altra qualsiasi cosa facciano producono sempre più disordine. E così la guerra che dovrebbe avere un inizio e una fine è diventata cronica trasformandosi in politiguerra.

Il tutto avviene in una situazione economica disastrosa, soprattutto in Italia dove si assiste ad un calo delle vendite di automobili del 6,5% e la disoccupazione cresce senza sosta. A livello politico poi, l'impasse è totale: si cancella l'Imu per aumentare altre tasse, riducendo i fondi per la sanità e per la manutenzione delle ferrovie. Nel quadro generale colpisce la mancanza di strategia da parte degli attori politici in gioco: dai sindacati al governo, dagli industriali ai partiti, si ragiona giorno per giorno nella totale incapacità di progettare il futuro. La prospettiva che si delinea non esclude la possibilità della comune rovina delle classi in lotta. Ipotesi già presente nel Manifesto del 1848: "Liberi e schiavi, patrizi o plebei, baroni e servi, capi di maestranze e garzoni, in una parola oppressori od oppressi, furono sempre in contrasto, e continuarono, in modo nascosto o palese, una lotta che finì sempre con la trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta."

Insomma, se tarda a prodursi la rottura rivoluzionaria sono da mettere in conto scenari globali di tipo catastrofico: degenerazione permanente della biosfera e collasso dell'ecosistema fino all'impossibilità, per lo stesso genere umano, di esistere. Nei giorni scorsi il pianeta Terra ha raggiunto l'Earth overshoot day e, secondo il Global footprint network, il 20 agosto l'umanità ha esaurito le risorse naturali rinnovabili che aveva a disposizione per l'intero 2013. Questo significa che in appena otto mesi sono state consumate le riserve di cibo (vegetale e animale), acqua e materie prime che sarebbero dovute bastare fino a fine dicembre, immettendo nell'ambiente (suolo, fiumi, mari, atmosfera) una quantità di rifiuti e inquinanti superiore alla capacità di smaltimento del pianeta. L'impronta ecologica offre la misura di quanto s'è allargato il divario fra l'equilibrio termodinamico e la dissipazione di energia, cioè di risorse che, se il sistema capitalistico non verrà eliminato, andranno irreversibilmente perdute, come la foresta primaria o l'acqua di molti fiumi a causa del prelievo per l'agricoltura e per le metropoli.

Articoli correlati (da tag)

  • I civili obiettivo principale della guerra moderna

    Durante la teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra israelo-palestinese e, più generale, sui problemi che attanagliano il presente modo di produzione.

    Il 1° dicembre scorso sono ricominciate le azioni militari dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Dopo il cessate il fuoco, che ha reso possibile lo scambio di prigionieri, il conflitto è ripreso: se nella prima fase l'offensiva di terra si era concentrata sulla parte nord della Striscia, adesso le operazioni si stanno spostando verso sud, anticipate da intensi bombardamenti. Centinaia di migliaia di civili palestinesi, sfollati dal nord, sono in trappola: non possono tornare nelle loro case e i valichi verso Egitto e Israele sono chiusi. Ed ora i raid dell'aviazione israeliana sono diretti proprio nelle zone precedentemente indicate come sicure.

    Un carro armato Merkava pesa all'incirca 60 tonnellate e fatica a muoversi in un contesto urbano; per questo motivo, le IDF hanno raso al suolo interi quartieri e praticato lo sgombero forzato di parte della popolazione della Striscia. Le truppe israeliane entrano in un territorio senza civili, vuoto, perlustrando isolato per isolato, zona per zona, per stanare i "terroristi".

    Fabio Mini, generale in pensione, in un'intervista su YouTube sostiene che nella Striscia di Gaza Israele sta applicando la "dottrina Dahiya", sperimentata per la prima volta nella guerra del Libano del 2006 durante il conflitto con Hezbollah. Tale dottrina prevede l'impiego di una forza sproporzionata rispetto all'attacco subito, in modo da ristabilire la deterrenza. Attualmente la situazione è ibrida perché il non-stato Hamas attacca lo stato Israele e viceversa. Lo stesso avvenne in Libano, quando l'esercito israeliano si scontrò con il non-stato Hezbollah, che non è solo un movimento islamico e una forza politico-militare, ma anche una rete di welfare per la popolazione, che di conseguenza diventò obiettivo del conflitto perché considerata "radicalizzata".

  • Un sistema che non conosce sé stesso

    La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 17 compagni, è iniziata con il commento delle notizie riguardanti OpenAI, uno dei più avanzati laboratori di ricerca nel campo dell'Intelligenza Artificiale (IA).

    La startup che ha elaborato ChatGPT ("Chat Generative Pre-trained Transformer"), un sistema linguistico LLM ("Large Language Model") basato sull'apprendimento automatico profondo, recentemente è salita all'onore delle cronache per il licenziamento di uno dei suoi fondatori e CEO, Sam Altman. Da quanto si può leggere sui giornali, sembra che l'allontanamento di Altman ad opera del consiglio di amministrazione rientri nello scontro in atto tra i sostenitori di due diversi approcci nello sviluppo dell'intelligenza artificiale, ed in particolare riguardo allo sviluppo di un nuovo progetto denominato Q*. ChatGPT produce risultati in base ad un calcolo probabilistico, legato alla statistica del linguaggio; Q*, invece, sarebbe un sistema autonomo in grado di "superare gli esseri umani nei compiti con il maggiore impatto a livello economico" (Wired).

    Secondo la Reuters, lo scontro verterebbe sulle precauzioni da adottare verso lo sviluppo del progetto: mentre la maggioranza del consiglio di amministrazione richiedeva una maggiore cautela, sembra che Altman spingesse per la sua commercializzazione. Nei giorni successivi al licenziamento, Microsoft, il maggior finanziatore della società, si è fatta avanti per assumere Altman, e più di 700 dipendenti hanno minacciato di andarsene per seguire il loro ex-capo. OpenAI nasce nel 2015 come organizzazione di ricerca senza scopo di lucro; qualche anno più tardi, nel 2019, viene affiancata da un braccio commerciale che si occupa di attrarre gli investimenti e gestire i profitti. All'interno della startup è presente la corrente dell'altruismo efficace, un movimento filosofico che si propone di applicare la ricerca scientifica e la tecnologia per migliorare il mondo, e di mettere in pratica la massimizzazione dei profitti per incentivare le donazioni economiche a favore dei problemi sociali.

  • Il problema del fronte interno

    Durante la teleriunione di martedì sera, connessi 21 compagni, abbiamo fatto il punto sulla guerra in Ucraina e in Medioriente.

    L'Occidente è in grande difficoltà: non può sostenere a lungo gli Ucraini e deve fare i conti con la polveriera mediorientale. I giornalisti faticano ad ammettere che la Russia ha vinto la guerra e che l'Ucraina rischia il collasso. La blitzkrieg di Mosca (febbraio 2022) non era diretta alla conquista di Kiev ma era volta all'occupazione di una fascia di territori che gli Ucraini effettivamente ormai hanno perso. La controffensiva ucraina di primavera è andata male ed ora il governo Zelensky non sa più che fare, trovandosi alle prese con un'economia sorretta dagli aiuti occidentali, con una carenza di soldati e munizioni, e con uno scontro interno tra politici e militari. Nel frattempo le forze russe continuano a bombardare porti, infrastrutture, basi e centrali elettriche nemiche, e già si vocifera di trattative per cedere un 1/5 dell'Ucraina alla Russia, e accettare lo stato di neutralità del paese.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email