Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  9 dicembre 2014

Dissoluzioni

"La guerra del petrolio" è stato nuovamente l'argomento principale di cui si è discusso durante la teleconferenza di martedì sera (20 i compagni presenti). Effettivamente il tema resta caldo, e le dinamiche peculiari sottostanti a questa guerra quasi sottaciuta ancora non sono emerse chiaramente.

Nell'accordo sancito all'incontro viennese dell'OPEC giornalisti ed analisti economici ascrivono all'Arabia Saudita un ruolo determinante senza riuscire però a svelarne l'asso nella manica. Nell'immediato mantenere alti i ritmi estrattivi non è certamente vantaggioso per i sauditi, ma per quei paesi dell'OPEC (e non) la cui economia dipende dall'esportazione del petrolio è addirittura dannoso. A dirla tutta a dare il via ad una super produzione di petrolio sono stati per primi gli Stati Uniti, che per far pressione alla Russia hanno finito per intaccare anche gli interessi della concorrenza saudita causando l'abbassamento dei prezzi. Si sono poi aggiunti altri fattori, come il calo della domanda mondiale in seguito alla crisi o l'immissione sul mercato a prezzi ridotti di petrolio pregiato da parte dei clan che si contendono la Libia. Come scrivevamo nel precedente resoconto, l'Arabia Saudita si può permettere una guerra a lungo termine, può attendere cioè che i pozzi americani chiudano e poi far impennare il prezzo del greggio, con una riproposizione dei meccanismi visti durante le crisi energetiche del passato. Ma innescare nel contesto attuale dinamiche di questo tipo avrebbe ben altri effetti rispetto agli anni '80, periodo in cui il capitalismo aveva i numeri per sostenere contraccolpi del genere.

Allora il mondo poteva ancora assorbire palate di petroldollari, mentre oggi il Sistema, con tutte le schifezze finanziarie che girano sui mercati, è già saturo di capitale fittizio alla disperata ricerca di valorizzazione.

Insomma, il quadro che emerge non è lineare. Non è ben chiaro cosa nasconda l'atteggiamento belligerante degli Stati Uniti verso il più grande produttore del mondo di petrolio. Forse l'intenzione di andarsi a riprendere i pozzi dell'Iraq prima che lo facciano i miliziani dell'IS? E se in passato i paesi dell'OPEC hanno sempre avuto una politica concertata per cui le difficoltà erano risolte abbassando la produzione e conservando il petrolio per il futuro, quale carta ha giocato questa volta l'Arabia Saudita sul tavolo viennese per convincere tutti gli altri a seguirla nella super produzione? Lo scenario che si profila è di tipo catastrofico perché in tutta la vicenda il vero dato importante, qualunque strategia tramino gli stati concorrenti, è che non c'è più abbastanza sovrapprofitto da devolvere alla rendita.

A proposito di Medio Oriente, è notizia di questi giorni che anche l'Iran è intervenuto nel ginepraio iracheno bombardando le postazioni delle milizie islamiche. Nonostante le azione congiunte, ufficiali o meno, dei vari paesi nemici, l'avanzata dello Stato Islamico non si ferma; se va avanti così prima o poi dovranno scendere in campo i fantaccini terrestri (gli Usa contano già 3000 militari dislocati sul territorio). Oggi le guerre non riescono più a rivitalizzare l'economia come al tempo di Eisenhower, quando le condizioni erano ottimali; si confermano invece come epifenomeni caratteristici della struttura della società, nel cui profondo è in moto una feroce ripartizione del plusvalore prodotto. Nell'epoca della centralizzazione del Capitale questo avviene a scapito di altri capitali perché non c'è valore disponibile per tutti. Google ad esempio, il monopolio ritenuto pericoloso dagli Stati, è un fenomeno nettamente diverso rispetto alla Krupp o alla Fiat di una volta: quelle erano società di monopoli che si facevano concorrenza, adesso il monopolio uccide spietatamente tutto quello che gli sta intorno. Anche in economia alcuni processi sono irreversibili, una volta che il capitalismo è drogato non guarisce più, indietro non si torna. Nonostante l'aumento storico del pluslavoro e quindi del plusvalore che ogni operaio cede al Capitale, non si può estrarre da pochi operai tanto plusvalore quanto se ne estrae da molti (Marx, Terzo Libro del Capitale, i Redditi e le loro fonti).

Gli stessi scenari di guerra che sono stati sempre "esportati" all'estero, ora gli Stati Uniti li vedono prendere piede al proprio interno. Le manifestazioni iniziate con la sentenza di Ferguson si susseguono e mostrano una popolazione sempre più arrabbiata, e quando uno stato deve ricorrere all'uso della polizia-esercito per contenere il malessere sociale, vuol dire che la situazione rischia di andare del tutto fuori controllo.

A scendere in strada sono le comunità afro e latino-americane, disoccupati, precari, pezzi di sindacato, studenti (#berkeleyprotests). Protestano contro la violenza della polizia ma anche per il salario minimo, perché quelli che vengono sfruttati nei fast food o alla Walmart sono gli stessi che vengono pestati e uccisi dalla polizia. La lotta per il salario minimo (#fightfor15) è ormai molto estesa e, oltre a essersi intrecciata ad altre lotte sincronizzandosi con le proteste contro l'1% (Walmart e Black Lives Matter), ha anche superato i confini nazionali (a Tokyo ci sono state manifestazioni di solidarietà). Il movimento generalizzato che attraversa gli Stati Uniti si organizza a e in rete, e pratica lo sciopero sociale con blocchi alle stazioni della metropolitana, ai negozi, ai ponti (New York) e alle grandi arterie di traffico (Los Angeles). Sì, Occupy Wall Street è forse morto, ma è da quella dissoluzione che ora emerge qualcos'altro: Occupy the World?

In chiusura di teleriunione si è accennato agli ultimi dati del Censis sulla miseria crescente. Secondo il Centro Studi Investimenti Sociali l'Italia "ha fatto della coesione sociale un valore e si è spesso ritenuto indenne dai rischi delle banlieue parigine" ma le criticità di alcune aree urbane "non possono essere ridotte ad una semplice eccezione"; i giovani sarebbero la "fascia sociale" che subisce maggiormente la crisi, costretti a "stringere la cinghia" e a "una dipendenza strutturale dalle famiglie". Belle scoperte!

Banlieue e giovani, vengono in mente le periferie del mondo intero. Per quanto potente, la cappa capitalistica non può nulla di fronte al bisogno di una comunità altra, di fronte all'emergere di nuovi rapporti sociali che non rivendicano nulla e trovano nell'involucro statale un limite da far saltare.

Articoli correlati (da tag)

  • Una società in crisi irreversibile

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la sommossa in corso in Bangladesh.

    Da un paio di settimane in tutto il paese si susseguono importanti manifestazioni. Gli studenti, opponendosi ad una legge che prevede una serie di facilitazioni alle famiglie dei reduci della guerra di liberazione dal Pakistan, si sono scontrati duramente con polizia ed esercito. L'epicentro della rivolta è stata l'Università di Dacca. Al di là della contestata legge, è evidente che anche il Bangladesh affronta gravi problemi di disoccupazione giovanile.

    Ottavo paese più popoloso del pianeta, con 170 milioni di abitanti, il Bangladesh ha un'età media molto bassa e una popolazione concentrata principalmente nell'area urbana di Dacca, che ha una densità abitativa altissima, con 45.000 abitanti per km². Finora si registrano 160 morti, oltre a migliaia di feriti, manifestanti scomparsi, casi confermati di torture, anche ai danni dei giornalisti. Il governo ha chiuso Internet, ma così facendo ha contribuito ad aumentare il caos.

    Oltre alle manifestazioni nella capitale, ci sono stati blocchi delle autostrade e delle ferrovie, attacchi alle stazioni di polizia, tentativi di invasione delle sedi delle TV, e la liberazione di detenuti dal carcere: tutti eventi che danno l'idea di una situazione quasi insurrezionale. Almeno a partire dal 2006, nel paese si è verificata una lunga serie di scioperi nelle fabbriche, in particolare nel settore tessile.

  • La società analizzata con il wargame

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando l'articolo "Wargame. Non solo un gioco" (rivista n. 50), particolarmente utile per comprendere i conflitti bellici e sociali in corso, e per evitare di commettere errori logici nell'analisi.

    In "Wargame" troviamo considerazioni inerenti alla "trasformazione della guerra imperialista in guerra civile", parola d'ordine dell'Internazionale Comunista. Storicamente, la guerra non rappresenta un problema per l'imperialismo ma la soluzione (temporanea) alla sua crisi. Difatti, la nostra corrente afferma che nell'epoca moderna, anche a causa del modo di condurre i conflitti, o passa la guerra o passa la rivoluzione. Oggi le determinazioni di una guerra classica che la farebbero passare da salvezza del modo di produzione capitalistico a elemento della sua distruzione non sono più da considerare ipotesi, dato che la crisi economica è da tempo diventata cronica. L'elettroencefalogramma del capitalismo è piatto.

    Detto questo, finché c'è guerra non c'è disfattismo e quindi non c'è rivoluzione. La rivoluzione, perciò, deve scattare prima che la guerra conquisti la scena mondiale, prima che diventi un fatto totale, tanto più che quella a venire sarà "gestita" da sistemi basati sull'intelligenza artificiale, potenzialmente fuori dal controllo umano. Pensiamo alla fabbrica: il robot, registrando in modo approfondito le competenze dell'operaio, lo va a sostituire.

  • La guerra al tempo dell'IA

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando due articoli pubblicati sull'ultimo numero dell'Economist (22 giugno 2024), dedicato al rapporto tra guerra e intelligenza artificiale.

    Nell'articolo "AI will transform the character of warfare" si dimostra come la guerra condotta da macchine gestite da sistemi di IA potrebbe rivelarsi incontrollabile. C'è un rapporto stretto tra industria militare e civile. I computer, si afferma, sono nati in guerra e dalla guerra. La stessa ARPANET, aggiungiamo noi, che anticipò Internet, venne realizzata a partire dal 1969 dalla DARPA (Defence Advanced Research Projetcs Agency) per collegare centri di calcolo e terminali di università, laboratori di ricerca ed enti militari.

    Oggigiorno esistono sistemi di IA che si occupano del riconoscimento degli oggetti in un dato spazio e che vengono utilizzati per elaborare i dati e le informazioni raccolte dai droni tramite foto e video. L'integrazione di tali sistemi produce un gigantesco automa che relega ai margini l'essere umano: dato che il tempo per individuare e colpire gli obiettivi è compresso in pochi minuti o addirittura in secondi, il soldato può al massimo supervisionare il sistema. Combattimenti più rapidi e meno pause tra uno scontro e l'altro renderanno più difficile negoziare tregue o fermare l'escalation. Dice Marx nei Grundrisse: con lo sviluppo dell'industria l'operaio da agente principale del processo di produzione ne diventa il sorvegliante per essere sostituito anche in questa funzione da un automa generale.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email