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  • Resoconto teleriunione  7 gennaio 2014

La singolarità (sociale) è vicina

Le notizie provenienti dal sud-est asiatico hanno aperto la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 18 compagni. Dopo le recenti proteste in Bangladesh, ora è la Cambogia a farsi sentire. I lavoratori dell'industria tessile, il maggior settore produttivo del paese che occupa circa 500.000 operai, hanno richiesto un aumento del salario a 160 dollari rispetto agli attuali 80. A nulla è valsa la proposta del governo di una paga mensile di 100. Le proteste e gli scontri continuano da giorni e sono già quattro i morti tra le fila operaie a seguito delle sparatorie da parte della polizia.

Le lotte in corso in Asia hanno molti punti in comune con quelle che ultimamente si sono sviluppate negli Stati Uniti. Ad esempio con quella dei Fast Food dove, come per i tessili cambogiani, si richiede il raddoppio del salario e il compromesso proposto dalle controparti è stato rifiutato.

Quanto accade in Cambogia non è una specificità del paese, potrebbe anzi avvenire ovunque nel mondo: la risposta repressiva e violenta degli Stati di fronte a rivendicazioni classiste è una realtà con cui anche i lavoratori occidentali dovranno fare i conti.

In Italia continua il movimento dei Forconi, adesso alleggerito dalla componente di estrema destra. I leader del coordinamento nazionale hanno rilanciato una serie di iniziative dando un ultimatum al governo: "Stiamo pensando di occupare i Comuni e di fare dei presidi davanti alle prefetture. I sindaci devono decidere da che parte stare, se fare gli esattori in cui sono stati trasformati dal governo o stare con i cittadini". A Torino prefetto e sindaco si sono incontrati per non farsi trovare impreparati all'iniziativa prevista per il 10 gennaio, ma sembra che la spinta propulsiva del movimento, già affetto da "cretinismo parlamentare" (vedi la proposta di formazione dell'ennesimo partito "popolare"), si stia esaurendo. Rimane comunque l'incitamento a occupare i comuni e a presidiare le prefetture, parole d'ordine che riecheggiano quelle lanciate dalla Sinistra Comunista "italiana" nel 1920, quando invitò gli operai ad uscire dalle fabbriche occupate per prendere le questure. Scenari evocativi inquietanti per la borghesia.

Dalla Turchia giungono notizie di sommovimento sociale, soprattutto in seguito allo scandalo che ha colpito il governo di Erdogan lo scorso 17 dicembre. Mentre il premier turco tuonava contro polizia e magistratura per aver condotto "una sporca operazione" per danneggiare il governo e colpire il suo partito, in un braccio di ferro che da tempo contrappone la componente laica del paese e quella filo-islamica, il 26 dicembre scendevano in piazza ad Ankara ed Istanbul migliaia di persone. La piazza richiedeva le dimissioni di Erdogan, le forze dell'ordine hanno risposto con lacrimogeni e cannoni ad acqua. Il pretesto della corruzione del governo Erdogan sembra dar piuttosto sfogo ad un crescente disagio sociale diffuso. Non solo nella società turca, ma, ad esempio, anche nella solida e ricca Germania.

Nella giornata del 6 gennaio l'hashtag #OccupyHamburg è diventato un trend topic su Twitter. Quanto accadeva in quei giorni nella città tedesca è diventato uno dei temi più seguiti nelle pagine turche del popolare social network.

Il Rote Flora è un centro sociale di Amburgo dove molti degli immigrati extracomunitari che vi trovano rifugio provengono dal più conosciuto Cie italiano, e fa parte del movimento contro la segregazione degli immigrati cresciuto in Germania soprattutto dopo l'ultima strage del mare di Lampedusa. La minaccia di sgombero del centro ha dato il via a manifestazioni con scontri molto duri, motivo per cui le forze dell'ordine hanno disposto il coprifuoco in una delle zone centrali della città, perché identificata di pericolo. La situazione ha probabilmente ricordato ai turchi, e non solo quelli residenti in Turchia, quanto avvenuto ai tempi dello sgombero di Gezi Park.

Il malcontento sociale comincia a farsi sentire anche in Germania, cuore politico-economico dell'Europa: le motivazioni le possiamo trovare nelle condizioni in cui vivono 8 milioni di proletari tedeschi pagati meno di 500 euro al mese e nell'altro 1,5 prossimo alla fame. Interessante sull'argomento l'articolo Germania, raddoppia il numero di chi mangia grazie alle mense per i poveri.

La miseria crescente attanaglia tutto il mondo, anche le grandi città occidentali. Federico Rampini in un recente articolo racconta che all'Inauguration Day del neo-eletto sindaco Bill De Blasio, l'artista afro-americano Harry Belafonte ha paragonato New York ad una "piantagione", dove prosperano piccole minoranze di ultraricchi (1%) accanto a centinaia di migliaia di disperati. E un reportage del New York Times afferma che sono 22.000 i bambini senza tetto nella Grande Mela. Il capitalismo genera una situazione sempre più omogenea a livello mondiale, i quartieri poveri di Istanbul, New York, Phnom Penh e Dacca si somigliano sempre più.

Allo stesso tempo capita che a Londra la Goldman Sachs aumenti del 77% lo stipendio dei manager (Sole24Ore). Passata la sbornia di moralismo post-bolla, si è tornati alla situazione vigente prima del crack del 2008, con stock options, bonus e paghe da capogiro per i funzionari del Capitale. E le borse chiudono il 2013 in positivo, soprattutto Wall Street che con un anno pieno di record, il migliore dal 1997, vede i principali indici attestarsi ancora una volta ai massimi livelli. Da quarant'anni a questa parte il Capitale non riesce a valorizzarsi con i classici canoni (è sempre più difficile il passaggio da D a D' a causa della saturazione di merci e capitali) e sopravvive drogato di espedienti. Economisti, governanti e giornalisti non hanno ancora metabolizzato che c'è stato un immane crack del capitale fittizio e che da sette anni l'economia mondiale è in coma, encefalogramma piatto, per cui il capitale fittizio se ne sta congelato grazie ad altro capitale fittizio creato apposta per tenerlo buono dov'è. E non s'è mai visto nella storia creare tanta moneta senza provocare inflazione.

La teleconferenza è proseguita con alcune considerazioni riguardo le potenzialità produttive per ora tenute incatenate dal Capitale. E' stato segnalato uno studio della società Incapsula, secondo cui il 60% del traffico in Internet è generato da robot. Questo argomento ci ha dato l'occasione per riprendere l'articolo Marcati sintomi di società futura (n+1, n. 34): con lo sviluppo dell'informatica e di Internet molte funzioni una volta svolte da uomini sono state automatizzate e vengono ora svolte da macchine.

Il mondo tecnico-scientifico deve fare i conti con programmi che producono altri programmi, macchine che trasmettono informazione ad altre macchine. D'altro canto sono sempre più evidenti i limiti raggiunti dai microprocessori. Nella durata di un ciclo di clock di un nanosecondo un segnale percorre meno di 30 centimetri a una velocità prossima a quella della luce, per cui le dimensioni dei computer dovrebbero diminuire drasticamente per non perdere i vantaggi della crescente velocità di calcolo. Ma così diventa sempre più difficile dissipare il calore, per cui si è passati alla computazione tramite CPU in parallelo e si spera che gli esperimenti sulla computazione quantistica (sfruttamento delle proprietà legate al cosiddetto entanglement) portino da qualche parte. Sono in fase di avanzata sperimentazione computer quantistici, commercializzati ancor prima che si sappia bene come funzionino.

L'umanità è impegnata in una corsa fra l'accrescimento dell'entropia che essa stessa genera e l'accrescimento dell'informazione che è in grado di aggregare. Il capitalismo procede verso il massimo di entropia, ma nello stesso tempo acquista potenzialità di rovesciamento della prassi mai raggiunte prima. Questi due elementi si scontreranno molto presto. Non a caso sempre più spesso si utilizza il termine sincronia, che si parli di rivolte sociali, eventi naturali, guerre o altro. Nella misura in cui tutto il mondo diventa connesso, e non solo dal punto di vista della Rete, qualcosa effettivamente deve accadere. Il saggio La singolarità è vicina di Raymond Kurzweil affronta con dovizia d'argomenti questo tema. Anche Daniel Hillis sostiene che siamo nel bel mezzo di una transizione di fase:

"Stiamo incominciando a usare calcolatori che sono in grado di generare programmi molto complessi con metodi diversi [rispetto alla programmazione tradizionale]. Poiché non capiamo bene come fanno a girare, possiamo affermare che questo tipo di intelligenza ci sta sopravanzando. Mano a mano che costruiamo computer sempre più veloci, il processo sta diventando auto-catalitico [si organizza da sé]. Ci troviamo nella stessa condizione degli organismi unicellulari quando si stavano convertendo in multicellulari. Proprio così, siamo come amebe che non capiscono in che cosa diavolo si stanno trasformando. In realtà siamo parte di un sistema che ci sta traghettando oltre noi stessi" (in La Terza cultura).

Dal punto di vista dello scontro di classe, la faccenda si fa ancora più interessante perché di fatto c'è una forza di rovesciamento della prassi immensa e per adesso non utilizzata. Negli aspetti sociali qualcosa sta già succedendo, altrimenti non potremmo spiegare la tendenza verso la sincronizzazione di eventi a prima vista diversi tra loro, il fatto che dal 2011 ad oggi non si fermano le rivolte nel mondo. Epifenomeni come la violenza omicida in famiglia e soprattutto la violenza del linguaggio amplificata dai social network sono indici di ulteriore marasma, pulsioni incontrollabili di rifiuto dell'esistente. A tal proposito, abbiamo citato il giornalista-linguista Stefano Bartezzaghi, che ad esempio negli attacchi degli animalisti contro la ragazza malata vede un rifiuto totale e irrazionale della medicina attuale (Quell'onda di odio che viaggia sul web).

Marasma sociale e guerra: i paesi imperialistici più potenti abdicano persino rispetto ai loro compiti, altro che impiantare democrazia! Le due guerre in Iraq hanno consegnato il paese in mano ad al Qaida. Le cartine geografiche parlano chiaro, da Baghdad a Damasco a Beirut, gruppi armati islamici prendono piede riempiendo il vuoto lasciato da altri. È fin troppo evidente che la guerra in corso è una guerra internazionale perché 1) le forze locali e gli Stati belligeranti non possono limitarsi a una semplice proxi-civil-war perché sono coinvolti a livello globale; 2) i combattenti sul campo stanno manovrando e guerreggiando al di là delle frontiere, ad esempio in Libano, nel Sinai, in Iraq; 3) ciò che sta succedendo in Medio Oriente ha legami diretti con l'espansione africana dei jihadisti di varie scuole; 4) la logica elementare che unisce o contrappone amici e nemici (gli amici dei miei nemici sono miei nemici, ecc.) salta quando le concatenazioni di amici e nemici incominciano ad essere espressione di sistemi complessi (la jihadista Arabia Saudita è amica di al Qaida e degli Stati Uniti ma questi sono nemici sia dei jihadisti che del governo laico di Siria - e del fu Iraq, ecc.).

Che cosa vuol dire, nell'accezione odierna, "guerra internazionale"? L'Africa è forse il luogo dove si capisce meglio l'interconnessione dei barili di polvere che stanno per essere cablati con micce accese. Un territorio vasto come 30 volte l'Italia (il Sahel e le sue propaggini) è completamente fuori controllo, dalla Mauritania alla Somalia, e rischia di essere solo l'anticamera di un marasma più generalizzato ancora. Non c'è più Stato, economia, organizzazione, agricoltura, cibo. Non sta meglio la fascia euroasiatica, dove altri milioni di Kmq di territorio, dal Caucaso all'Afghanistan, sono in mano a trafficanti warlord che si prestano come funzionari del Capitale sempre più libero da ogni vincolo. La versione moderna della Via della Seta, la Silk Road, appunto. E tutto questo mentre i grandi agglomerati imperialistici hanno il fiato corto, seguiti a ruota dagli ex emergenti del BRICS, del MINT (questo è nuovo: Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia) e di sigle affini.

C'è una crisi sistemica, si dice. Siamo d'accordo, lo diciamo da decenni. Ma questa parola ha un significato più profondo di quello che si è disposti a concedere. Siccome non sembra che su questo ci sia molto accordo, proviamo ad esprimere un significato con un linguaggio non politichese. Sistema è ogni insieme costituito da sottoinsiemi, tutti in relazione funzionale l'uno con l'altro e ognuno in relazione con il tutto. Aristotelicamente, il tutto è un qualcosa di più della semplice somma delle parti. Ciò che stiamo vivendo è una crisi sistemica nel senso che il tutto incomincia a rappresentare meno della somma delle parti.

In termini fisici stiamo assistendo alla vittoria dell'entropia, cioè della degenerazione dei rapporti sociali che, tramite gli Stati, rappresentavano la capacità umana di rovesciare la prassi, vale a dire, secondo il nostro schema del 1951, a invertire la tendenza al disordine. Non si tratta di disordine nel senso comune (quello a cui si contrappongono le "forze dell'ordine", cioè gli sbirri) ma di una delle due tendenze complementari che esistono in natura. Dalla massa di materia caotica esistente nell'universo è emerso ordine e da questo ordine quello particolare delle biomasse che, statisticamente parlando, si trovano di certo qua e là in varie galassie. Dunque, in una concezione anti-dualistica, ordine e disordine sono dialetticamente due facce della stessa medaglia. Stiamo assistendo, alla scala infima della biosfera del terzo pianetino di un Sole sperduto fra miliardi di miliardi, ad una compenetrazione fra ordine e disordine, come se un ordine emergente gettasse nel disordine quello esistente.

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