Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  30 settembre 2014

E' la volta di Occupy Hong Kong

Occupy Central Hong KongLa riunione online di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, si è aperta con le notizie provenienti da Hong Kong.

La città, che a seguito della Guerra dell'Oppio divenne nel 1842 colonia inglese per poi passare nel 1997, con uno statuto amministrativo speciale, sotto il governo della Repubblica Popolare Cinese, deve il soprannome di "città verticale" all'elevatissima densità abitativa. La vertigionosa crescita demografica, per cui è passata dai 7500 abitanti del 1842 ai 7.188.000 del 2013, è dovuta ai flussi migratori delle popolazioni cinesi continentali. Con un'economia prevalentemente basata su turismo, commercio e finanza, l'isola è un noto paradiso fiscale, ma anche l'ottava piazza finanziaria del mondo, sede di ben 107 consolati. Secondo l'indice Gini, la regione registra il più alto tasso di diseguaglianza economica dell'area asiatica.

Le notizie della protesta hongkonghese hanno cominciato a rimbalzare su siti e social network e successivamente su alcuni media mainstream domenica 28 settembre, quando le forze di polizia hanno represso le manifestazioni di piazza, ottenendo peraltro di estenderne la portata. Il movimento, partito dagli studenti e poi allargatosi ad altre fasce della popolazione, si batte per ottenere elezioni libere nel 2017, con candidati non imposti da Pechino.

Molti hanno paragonato gli eventi in corso con quelli di piazza Tienanmen, ma, come diceva qualcuno, nel 1989 i cinesi portavano in piazza rivendicazioni "da XVIII secolo". Oggi le centinaia di migliaia di persone che hanno invaso le strade del centro di Hong Kong, seppur motivate da principi democratici e parole d'ordine interclassiste, si sono "automaticamente" sincronizzate con il movimento generale mondiale, adottando linguaggi e modalità tipiche non solo di Occupy Wall Street, ma anche di Occupy Gezi, Occupy Brazil, ecc. I quali, a loro volta, hanno prontamente risposto attivando su Twitter e altri social, attraverso una sorta di mic check online, il solito network globale di solidarietà. Similitudini tra lotte che ritroviamo anche a livello del movimento rivendicativo salariale; ad esempio nelle proteste dei portuali di Hong Kong, che hanno recentemente dato vita a picchetti, blocchi e scioperi a oltranza come quelli nel settore della logistica in Italia.

Insomma, è la volta di Honk Kong (ma non dimentichiamo che la Cina è punteggiata da centinaia di rivolte l'anno), insieme al Messico, dove 57 studenti sono scomparsi dopo le oceaniche manifestazioni contro la riforma dell'istruzione (#TodosSomosPolitecnico, #NormalistasDeAyotzinapa). Il marasma sociale non si ferma, anzi, quando sembra affievolirsi da una parte ricompare impetuoso altrove. E il movimento che ne scaturisce riparte dal livello raggiunto precedentemente e spesso vi aggiunge qualcosa di nuovo.

Durante le proteste di Honk Kong, come in Egitto con la Primavera araba o negli Usa a Zuccotti Park, i manifestanti hanno utilizzato reti Mesh per comunicare. Questa volta però hanno dovuto solo scaricare un'app col telefonino. L'applicazione FireChat permette infatti di attivare una chat pubblica anche in assenza di connessione Internet, sfruttando la prossimità dei dispositivi, implementando cioè una rete a maglie in cui ogni apparecchio funge da nodo per la trasmissione del segnale. Secondo i suoi sviluppatori, nei giorni delle proteste di #OccupyHongKong FireChat ha avuto un picco di richieste con circa 100mila download in sole 24 ore.

Non dobbiamo più stupirci delle "improvvise" ondate di ribellione che coinvolgono prima un paese e poi un altro, esse fanno parte di un unico processo in corso. La nostra specie è giunta ad un livello evolutivo non più compatibile con l'attuale modo di produzione e, come scrive Daniel Hillis, "le società si stanno costituendo in unità più grandi, superando il loro isolamento attraverso connessioni di tipo tecnologico. Ci troviamo nella stessa condizione degli organismi unicellulari quando si stavano convertendo in organismi multicellulari. In realtà noi siamo parte di un processo che ci sta traghettando oltre noi stessi. La cosa può apparire eccitante o deprimente, ma sta di fatto che ci stiamo avvicinando alla singolarità".

L'economia va a rotoli, la crescita ristagna, la miseria cresce, la guerra dilaga, le rivolte si diffondono. Il capitale internazionale impone agli stati manovre economiche "lacrime e sangue" per risanare i bilanci pubblici, suscitando in cambio la ribellione del proletariato e delle mezze classi rovinate. L'Italia, il capitalismo più antico del mondo, è praticamente in vendita. E' successo qualche giorno fa a Milano, dove la J.P. Morgan ha organizzato una specie di fiera a cui hanno partecipato un centinaio di investitori americani e inglesi per stabilire una strategia di intervento nell'economia italiana. Una volta il saccheggio di un paese avveniva in seguito ad una guerra, ora basta un incontro tra amministratori delegati e manager di punta dei grandi hedge fund del pianeta per avere lo stesso risultato.

In Medio Oriente la catena di eventi non si arresta e intreccia tutta una serie di interessi contrastanti. La guerra endemica sembra stia per colpire la Turchia, che preoccupata dalla eventuale creazione di uno stato curdo o dall'avvento, a ridosso del loro territorio, dei miliziani dell'IS, prepara l'intervento dell'esercito. Israele ha preferito muoversi preventivamente e, temendo che la Giordania potesse essere invasa dal Califfato, ha attaccato la striscia di Gaza. Ad oggi l'esercito jihadista controlla 60 città e centinaia di villaggi, mentre Baghdad si fa sempre più vicina. Tra Iraq e Siria si sta configurando un nuovo stato modernissimo che sta scombussolando i delicati equilibri imperialistici nell'area.

Articoli correlati (da tag)

  • Immobiliare cinese, debito e policrisi

    Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso l'argomento trattato nella scorsa riunione, ovvero l'aggravarsi della situazione economica cinese.

    Il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di dati sulla Cina da cui risulta che le amministrazioni locali delle province del paese hanno accumulato debiti per finanziarie il settore immobiliare e la costruzione di nuove infrastrutture ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino). Se alla cifra raggiunta dall'indebitamento pubblico (che ammonta a circa il 300% del PIL, circa 4700 miliardi di euro), si aggiunge quella relativa al governo delle province, vengono superati gli 8000 miliardi di euro. Ad essere in difficoltà non sono solo le amministrazioni locali e le famiglie, ma anche le banche, dato che sono state proprio queste a finanziarie il boom del mattone. Alcuni esperti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. Sappiamo, invece, che i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro globale. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA; una crisi finanziaria cinese avrebbe ripercussioni sul debito americano e su tutti i suoi rapporti commerciali (ad esempio quelli con la Germania che esporta molto verso il gigante asiatico). Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora sferrando un duro colpo alla Cina.

  • Crepe nell'Impero Celeste

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata commentando la situazione economico-finanziaria della Cina, a partire dal possibile scoppio della bolla immobiliare.

    Quanto successo nelle ultime settimane, tra cui le difficoltà del colosso Country Garden ma non solo, conferma quanto andiamo sostenendo da anni circa la raggiunta senilità della Cina. Ora se ne accorgono anche i borghesi, in particolar modo l'Economist che nell'edizione del 26 agosto ipotizza una "giapponificazione" (bassa crescita e deflazione) della economia cinese ("China's economy is in desperate need of rescue"). L'immobiliare è diventato un settore strategico, rappresentando il 30% del PIL cinese; l'enorme bolla speculativa è dovuta al fatto che il capitale ha cercato di valorizzarsi nella costruzione ex novo di decine di città, rimaste poi abbandonate. Secondo la banca Morgan Stanley, dal 2010 al 2020 il gigante asiatico ha costruito più di 140 milioni di unità abitative, e in soli tre anni ha prodotto una quantità di cemento che potrebbe trasformare la superficie della Gran Bretagna in un parcheggio; non pago, ha costruito città fantasma anche in Africa.

    Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il suo picco e i problemi di natura economica si assommano a quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri. Al pari dei paesi a vecchio capitalismo, la Cina installa robot nelle fabbriche e investe in intelligenza artificiale, e quindi si trova di fronte alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche passando in pochi anni da una crescita impetuosa a un altrettanto veloce declino.

  • Il problema dell'ingovernabilità

    La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, è cominciata dall'analisi di quanto sta succedendo in Israele, dove è stata approvata la prima parte della riforma giudiziaria con l'abrogazione della "clausula di ragionevolezza".

    Lo Stato d'Israele non ha una costituzione ma solo leggi fondamentali, e la Corte Suprema svolge un ruolo di preservazione della "democrazia". Questo organo si fa sentire quando vengono promulgate leggi considerate non idonee o quando vengono eletti politici indecorosi, appellandosi, appunto, alla "ragione". La modifica favorisce il primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha dei guai con la giustizia, e il suo governo, che comprende partiti di estrema destra e fondamentalisti.

    Con l'avvicinarsi dell'approvazione della riforma le mobilitazioni hanno ripreso vigore e si sono radicalizzate, soprattutto a Tel Aviv, Haifa e a Beer Sheva. Lo scontro non si manifesta solo in piazza, con arresti e feriti, ma anche all'interno degli apparati statali. Riservisti, militari in servizio e anche forze di polizia sono scesi in piazza. Il capo del Mossad ha espresso viva preoccupazione per la crisi istituzionale, il Capo di stato maggiore dell'esercito non è stato ricevuto da Netanyahu. In Israele è in corso una forte polarizzazione politica in cui entrambi gli schieramenti si dichiarano difensori della democrazia, ed è proprio questo a preoccupare di più: è il sistema nel suo complesso ad essere andato in cortocircuito. Il leader dell'opposizione, Yair Lapid, ha dichiarato: "Vogliono fare a pezzi lo Stato, la democrazia, la sicurezza, l'unità del popolo di Israele e le nostre relazioni internazionali". Alle critiche di Lapid ha risposto Netanhyau: "La norma approvata oggi non è affatto la fine della democrazia, bensì la realizzazione del volere dell'elettorato e dunque l'essenza stessa della democrazia". Si prospetta anche la possibilità di uno sciopero generale. Il presidente americano Biden aveva consigliato al Primo Ministro di non avere fretta nell'approvare la proposta di legge per evitare di acuire la tensione, ma all'interno del governo israeliano ci sono forze ed equilibri che non permettono di rallentare la marcia. Israele è un avamposto degli USA: se dovesse collassare, tutto il Medioriente (e non solo) ne risulterebbe sconvolto. La banca Morgan Stanley e l'agenzia di rating Moody's hanno formulato un giudizio negativo sull'evoluzione economica del paese, e lo shekel sta perdendo valore sui mercati internazionali.

Rivista n°53, giugno 2023

copertina n° 53

Editoriale: La guerra rispecchia la società

Articoli: Sul libero arbitrio

Rassegna: Effetto domino - Crollo generale"

Terra di confine: Magazzini organici - Apprendisti stregoni - La forma ed il contenuto

Recensione: Doom

Doppia direzione: Riscontri d'oltreoceano

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email