Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  11 luglio 2017

Ciò che serve è l'anti-forma

Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 12 compagni, abbiamo affrontato i seguenti temi:
- l'insanabile contraddizione delle mezze classi (e delle non-classi);
- approfondimento sugli Stati Uniti d'America: gli stati federali al collasso;
- notizie da un mondo instabile;
- intelligenza artificiale e autonomizzazione del Capitale;
- lo sciopero ai tempi della "gig economy".

Capita oramai sovente di ascoltare interventi o dichiarazioni, da parte di politici, professori od esperti vari, in cui ci si richiama alla necessità di cambiare lo stato delle cose per fare spazio al futuro e alle opportunità che esso ci offre, poichè questo mondo, così com'è, non funziona più. Non potremmo essere più d'accordo, peccato però che molto spesso queste argomentazioni nascondano l'ennesimo tentativo di salvare proprio ciò che si è rotto: il capitalismo.

"Con l'eliminazione degli orari di chiusura degli esercizi commerciali ad opera di Monti e del Pd si sono messe in competizione piccole botteghe e grandi centri commerciali, ognuno può restare aperto quanto vuole, scatenando una concorrenza al ribasso che ha ottenuto come unico risultato lo sfaldamento del nucleo familiare del negoziante e dei dipendenti, lontani dalla famiglia 7 giorni su 7." Parole del politico di turno, in questo caso esponente di spicco di un partito politico, il M5S, che da una parte sostiene l'inevitabile impiego di computer e robot nella produzione, e dall'altra si dimena per preservare la famiglia e il vecchio ordine sociale. Contraddizioni tipiche di coloro che tentano di tenere insieme le nuove forze produttive e i vecchi rapporti sociali. Come Domenico De Masi, il sociologo che con tanto di numeri alla mano (sul mercato del lavoro, l'automazione, ecc.) finisce per dire che "per battere la disoccupazione, bisogna lavorare gratis". O ancora il Papa, quando tratta della centralità dei bisogni umani (tra cui l'ozio) e poi dell'importanza dell'"economia sociale di mercato", accostando due elementi che insieme non possono stare.

Questi soggetti, seppur costretti a fare i conti con il futuro, magari aggiornando il loro vocabolario e prendendo spunto dalle evidenti novità, non possono però fare a meno, per loro stessa natura, di battersi per la conservazione della forma sociale vigente. E' da due secoli e più che la produzione è socializzata, oggi come non mai. Il problema è l'appropriazione privata e ciò che serve davvero è la rottura rivoluzionaria dell'involucro capitalistico. Ma questo non lo diranno mai.

L'approfondimento sugli Stati Uniti d'America, annunciato nell'ultima teleriunione, ha preso le mosse dalla crisi che attanaglia gli stati federali di quella che, ormai tempo fa, veniva chiamata "la locomotiva dell'economia mondiale".

Nel 2011 avevamo seguito la vicenda dello stato del Wisconsin, quando i gravi problemi di bilancio avevano costretto l'amministrazione a duri tagli nel pubblico impiego scatenando un vero e proprio terremoto sociale (venne allertata la guardia nazionale). Oggi la situazione è decisamente peggiorata, gli stati federali con l'acqua alla gola sono sempre più numerosi. Connecticut, Delaware, Maine, Massachusetts, New Jersey, Oregon, Rhode Island, Wisconsin e Illinois: queste le regioni che denunciano la situazione più grave a causa delle carenze di bilancio. Alle precarie condizioni delle amministrazioni statali si assomma lo stato pietoso in cui versano le varie infrastrutture nel paese, prima fra tutte la metropolitana di New York.

La causa di questa profonda degenerazione degli stati federali americani è un processo di deindustrializzazione che va avanti da anni. Nella Lettera ai compagni n. 21, "La legge del valore e la sua vendetta", si riporta parte del discorso che il presidente della Banca Federale di New York fece ad una assemblea di banchieri e finanzieri a fine anni '80:

"La crescita del debito federale collega alla radice di un altro drammatico sviluppo riguardante gli Stati Uniti e che è, naturalmente, l'improvviso e misurabile cambio di posizione degli Stati Uniti da netto creditore verso il resto del mondo a netto debitore. La causa immediata di questo sviluppo è naturalmente il deficit di parte corrente senza precedenti, ma, come questo auditorio può riconoscere, le cause profonde di questo deficit sono fondamentalmente correlate al deficit di bilancio attraverso il tasso di interesse, connesso a sua volta con il tasso di cambio [...] Il nostro deficit è così vasto in confronto al nostro risparmio interno che siamo mortalmente dipendenti dal flusso di risparmio estero, il quale finanzia tutte le nostre attività interne compreso il deficit di bilancio".

Già allora si potevano intravedere le nefaste conseguenze della tendenza a dipendere dal lavoro - leggi plusvalore - altrui. Dalla metà degli anni Ottanta gli Usa sono diventati debitori netti verso l'estero e attualmente il loro debito pubblico ammonta a 20 mila miliardi di dollari, il più grande al mondo (all'estero è detenuto in buona parte da Giappone e Cina).

Ma non sono solo gli Stati Uniti a barcamenarsi tra una difficoltà e l'altra, il fenomeno è generalizzato al mondo intero. Dalla piccola nazione al grande stato, il quadro generale che emerge, anche solo dalle notizie riportate dalla stampa mainstream, è quello di un pianeta in equilibrio instabile.

In Medioriente, dove le forze della Coalizione internazionale hanno riconquistato Mosul, spaventa l'enorme emergenza umanitaria. In Turchia centinaia di migliaia di persone hanno partecipato alla "marcia della giustizia" per chiedere la fine dello stato d'emergenza, la libertà di stampa, la laicità dello Stato, ecc. Partita a metà giugno da Ankara, la mobilitazione è approdata a Istanbul dopo aver percorso 450 km. In Egitto proseguono le manifestazioni e gli scioperi con episodi di violenta repressione da parte delle forze dell'ordine. In Italia, dopo l'ennesimo crollo, questa volta di una palazzina, il ministro delle Infrastrutture ha dichiarato che nel paese sono uno su sei gli edifici a rischio. Theresa May ha affermato che in Gran Bretagna potrebbero essere 600 i palazzi insicuri perché foderati con gli stessi pannelli (infiammabili) della Grenfell Tower.

Sul fronte dell'autonomizzazione del Capitale si è commentato un articolo sull'intelligenza artificiale, il cloud robotics e il machine learning. Sempre più spesso, anche nel settore finanziario, gli operatori in carne ed ossa lasciano il posto a macchine che cominciano a comunicare tra di loro senza l'ausilio dell'uomo. Il funzionario stipendiato ha da tempo rimpiazzato il capitalista nelle sue funzioni, ora esso stesso tende a scomparire in quanto superfluo al processo di produzione per venir sostituito da un algoritmo.

La teleconferenza si è conclusa con un breve accenno alle lotte nella "gig economy": da qualche mese stiamo assistendo a importanti processi di auto-organizzazione in aziende del settore del food delivery come Deliveroo e Foodora. Nascono piattaforme on line di lavoratori in lotta a Berlino, Barcellona, Madrid, Londra, Torino e Milano, e cominciano a stabilirsi i primi collegamenti internazionali. Si tratta di proletari al punto di svolta, tutti con uno smartphone in tasca, tutti organizzati in rete, senza sindacati corporativi, senza nulla da perdere, nemmeno un posto di lavoro che non c'è più.

Articoli correlati (da tag)

  • Caos deterministico

    La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dalle ultime notizie dal Medioriente.

    In seguito al massiccio attacco sferrato da Israele contro le postazioni di Hezbollah in Libano, durante il quale è stato ucciso Hassan Nasrallah, segretario generale dell'organizzazione, l'Iran ha lanciato circa 200 missili in direzione di Tel Aviv.

    Sono le determinazioni materiali a costringere gli stati a muoversi, e tutti lo fanno all'interno di una complessa rete di condizionamenti. In un'intervista, reperibile su YouTube ("E' ancora possibile evitare la terza guerra mondiale?"), il generale Fabio Mini afferma che la situazione mondiale non è tanto complicata quanto complessa, poichè gli attori in campo sono molti ma comunque tutti ben individuabili. L'annientamento di Hamas e Hezbollah ad opera di Israele non può essere portato a termine e ciò innesca un'escalation bellica. Rispetto al passato, ad azione non corrisponde una reazione proporzionata, bensì una risposta "randomica", caotica e di difficile previsione.

  • Escalation

    La teleriunione di martedì sera è iniziata dall'analisi del recente attacco a Hezbollah in Libano e Siria.

    Lo scorso 17 settembre migliaia di cercapersone, utilizzati da Hezbollah appositamente per evitare l'impiego di dispositivi maggiormente tracciabili (come i telefoni cellulari), sono stati fatti esplodere provocando diversi morti e migliaia di feriti, tra cui l'ambasciatore iraniano in Libano. Oltre Israele, nessun altro attore nell'area dispone di quel tipo di capacità tecnica ed ha interesse a colpire in questo modo il partito-milizia sciita. Le informazioni sull'attacco restano contrastanti: alcune testate giornalistiche sostengono che l'esplosione degli apparecchi elettronici sia stata causata dal surriscaldamento delle batterie tramite un malware, mentre altri analisti ipotizzano la presenza di mini cariche esplosive inserite precedentemente nei dispositivi. L'attacco simultaneo ai cercapersone è stato seguito dall'incursione di caccia israeliani che hanno colpito diverse postazioni di Hezbollah a 100 km dal confine.

  • Marasma sociale, populismo e guerra

    La teleconferenza di martedì 30 luglio è iniziata facendo il punto sulle recenti proteste in Venezuela.

    Le elezioni presidenziali hanno visto la vittoria di Nicolàs Maduro con circa il 51% dei voti, ma le opposizioni hanno denunciato brogli. Migliaia di manifestanti sono scesi in strada scontrandosi con la polizia e i militanti pro-Maduro, e si contano già i primi morti. Anche il Venezuela si aggiunge alla lista dei paesi interessati dal marasma sociale: dal punto di vista politico, la parte borghese che si fa portatrice del progetto bolivariano si scontra con l'opposizione filostatunitense. L'economia venezuelana è basata prevalentemente sull'esportazione di greggio, mentre industria e agricoltura contano poco nella formazione del PIL. Da anni nel paese serpeggia un malessere profondo che coinvolge milioni di senza-riserve, quasi metà della popolazione versa in condizioni di povertà estrema.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email