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  • Resoconto teleriunione  18 dicembre 2018

Geostoria e Memetica

La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 13 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sul marasma sociale in corso in Europa. Dopo la Francia, ad entrare in subbuglio è ora l'Ungheria dove da giorni si susseguono manifestazioni di piazza. Le proteste sono state la reazione ad una proposta di legge che eleverebbe il limite degli straordinari annui fino a 400 ore. Secondo il governo di Viktor Orban il provvedimento serve a rendere il paese più competitivo; per tutta risposta i sindacati hanno chiesto al capo dello Stato Janos Ader di non siglare la nuova norma e hanno promesso, nel caso in cui la legge entrasse in vigore, di dare battaglia: "Faremo scioperi in tutto il Paese, combinati con blocchi stradali", ha minacciato il presidente della confederazione 'Mszsz' Laszlo Kordas. Quello ungherese non è un caso isolato: dal 2008 ad oggi ci siamo abituati a vedere piazze piene di manifestanti che chiedono il cambiamento.

Come diciamo nell'articolo "Necessarie dissoluzioni" (n+1 n. 36), le grandi "questioni" che rappresentavano degli ostacoli all'avvento della rivoluzione comunista sono state via via risolte dallo stesso capitalismo. Basti pensare al problema nazionale, o a quello coloniale che ha dato filo da torcere a generazioni di militanti; oppure alla doppia rivoluzione in Russia che, portata avanti dai bolscevichi, doveva farsi carico della industrializzazione del paese facendo propri compiti borghesi. Già negli anni '50 del secolo scorso la nostra corrente affermava che non è rimasto più nulla da costruire all'interno del capitalismo, ma solo da distruggere.

Abbiamo poi ripreso i temi trattati nella relazione "Fiorite primavere delle rivoluzioni" (svolta durante l'ultima riunione redazionale), ovvero l'accumulo di tensioni economiche e sociali che hanno il loro sbocco nel cambiamento del modo di produzione.

Quando Marx scrive Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, la Germania era ancora divisa in circa 40 staterelli. Nel 1848 mentre in tutta Europa avvengono moti rivoluzionari borghesi, la Germania non riesce ad esprimere una forza in grado di compiere la sua rivoluzione, "la immaturità dello sviluppo del moderno modo di produzione fece fallire perfino la prima rivoluzione, quella borghese. E ciò malgrado che nei paesi vicini avesse vinto nelle forme sociali e politiche, e da Napoleone in poi le sue bandiere avessero più volte rotta le 'cortina di acqua' del Reno. Lo svolgimento nelle forme del potere fu poi lento, deforme e secondo Marx ed Engels sempre bastardo. Vi giunse ma non vi nacque il gran capitalismo industriale; non scaturì, ma filtrò." ("Fiorite primavere del Capitale")

Nel 1871 con la guerra franco-prussiana avviene l'unificazione compiuta dall'alto. Nell'arco di circa 40 anni (1871-1914) si verifica uno sviluppo capitalistico vorticoso: nel giro di poco tempo Berlino esprime una potente socialdemocrazia che si distingue nel periodo che va dal 1918 al 1923 come principale elemento controrivoluzionario. Il capitalismo tedesco è giovane rispetto a quello inglese che da decenni vive grazie alla finanza internazionale. Difatti la nostra corrente ha posto l'accento sul collasso dei paesi ceppo del capitalismo come una delle condizioni necessarie per l'avanzamento rivoluzionario.

Risulta difficile studiare un fatto storico senza fare riferimento allo spazio in cui si è verificato, senza introdurre il concetto di "geostoria". Dal punto di vista della rivoluzione, l'Ungheria ha una geostoria molto meno importante di quella della Germania che, essendo posizionata nel centro dell'Europa, è come l'ago della bilancia. Essa è una potenza industriale ma è un nano politico e finanziario, soffre di una contraddizione enorme che è quella di trarre beneficio da una situazione arretrata (ricavare plusvalore assoluto invece che relativo occupando gli operai di più e facendoli lavorare più a lungo e più intensamente), non riuscendo inoltre ad assumere una propria fisionomia imperialistica.

L'ultimo numero di Limes ("Non tutte le Cine sono di Xi") è dedicato al mondo cinese e alle sue sfide e priorità geopolitiche. La Cina disegna le sue carte geografiche mettendosi al centro, ma così fanno pure l'Europa e gli Usa, e queste diverse percezioni portano a vedere le linee di traffico e spostamento di merci e capitali in maniera completamente diversa; ma non è descrivibile un mondo dove un paese possa agire in maniera indipendente dagli altri.

I paesi più importanti non possono sfuggire a certe determinazioni: l'aggressività del capitalismo americano non è colonialismo ma lotta per la sopravvivenza e porta gli Usa a percepirsi ancora come la potenza dominante. Al contrario, Pechino si è sempre considerata isolata, e proietta la sua potenza in Africa interponendo le sue linee di comunicazione. Gli Stati Uniti non sembrano in grado di poter governare quello che sta succedendo a livello globale, e un loro parziale isolamento potrebbe essere un disastro per il resto del mondo, che è così concatenato e complesso che piccoli eventi locali possono produrre grandi effetti altrove. Pensiamo al rapporto simbiotico tra Usa e Cina, con la prima che acquista le merci dalla seconda e la seconda che sostiene il debito della prima. Insomma, se affonda il gigante asiatico affonda pure quello americano, e viceversa.

A proposito di complessità, il matematico Steven Strogatz nel saggio Sincronia. I ritmi della natura, i nostri ritmi descrive una natura costellata da fenomeni sincronizzati, per cui ad un certo punto si formano del tutto spontaneamente strutture organizzate. Tutta la vasta saggistica che va dalla memetica, alla fisica della storia fino all'auto-organizzazione, bada più alle strutture che ai singoli elementi che le compongono.

Quando la situazione sociale sarà matura per l'esplosione rivoluzionaria, anche la velocità di diffusione dei "nostri" memi (unità di trasmissione culturale all'interno del cervello sociale della specie) subirà un'accelerazione:

"Proprio come i geni si propagano nel pool genico saltando di corpo in corpo tramite gli spermatozoi o cellule uovo, così i memi si propagano nel pool memico saltando di cervello in cervello tramite un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione. Se uno scienziato sente o legge una buona idea, la passa ai suoi colleghi e studenti e la menziona nei suoi articoli e nelle sue conferenze. Se l'idea fa presa, si può dire che si propaga diffondendosi di cervello in cervello" (Il gene egoista).

Il meme, nozione elaborata dal biologo Richard Dawkins che scelse tale termine per assonanza con "gene", ha bisogno di un veicolo per diffondersi, e questo è il linguaggio, il quale deve avere un concetto da esprimere ed evolve proprio mentre si diffonde, rendendo il meme qualcosa di variabile e difficile da padroneggiare. Difatti il più delle volte i memi si autonomizzano cominciando a vivere di vita propria.

La società del Capitale è al tramonto perché ha dato luogo a ogni sua potenzialità (sistema del credito, capitale azionario, impersonalità del capitale, eliminazione della funzione del capitalista come persona), deve quindi cedere il passo a nuovi rapporti sociali in linea con lo sviluppo delle forze produttive. Jeremy Rifkin usa il termine "eclisse" per descrivere la dinamica in corso oggi, per cui l'attuale modo di produzione viene sempre più spinto ai margini della società dall'ascesa del "commons" collaborativo, e dell'Internet of things che collega tutto e tutti - auto, fabbriche, case, uomini - coadiuvato da miliardi di sensori che producono Big data. Questo collegamento così stretto tra uomini e tra essi e le cose porterà alla negazione del concetto di proprietà privata. Come dice Marx nel Terzo Libro del Capitale (capitolo XXVII), a proposito dello sviluppo del sistema del credito, siamo alla "soppressione del capitale come proprietà privata entro i confini del modo stesso di produzione capitalistico".

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    "Il bilancio di uno Stato moderno rivela l'insostituibile funzione della ripartizione del plusvalore all'interno della società al fine di stabilizzare il 'corso forzoso' dell'agricoltura in questa fase di massimo sviluppo capitalistico. Più il peso specifico dell'agricoltura si fa insignificante nel complesso dell'economia reale, cioè nella produzione di valore, più i sussidi statali a suo sostegno si accrescono. Il tasso di crescita delle sovvenzioni è infatti assai più elevato dell'incremento dello sviluppo agricolo, ma, nonostante ciò, l'agricoltura non potrà mai più essere abbandonata all'investimento del singolo capitale e meno che mai al mercato."

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