Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  6 febbraio 2018

La metropoli è il campo di battaglia del futuro

La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata commentando il report speciale dell'Economist sulla guerra ("The Next War", "Why nuclear stability is under threat"), uscito lo scorso 27 gennaio. Il settimanale inglese analizza l'argomento con ben 10 articoli che spaziano dall'uso dei robot alle nuove tattiche contro-insurrezionali. Quella di domani sarà una guerra che verrà combattuta in ambienti metropolitani e che vedrà i soldati combattere casa per casa.

"Sempre più spesso [i conflitti bellici] saranno combattuti in ambienti urbani, se non altro perché entro il 2040 i due terzi della popolazione mondiale vivranno nelle città. Il numero di megalopoli con una popolazione di oltre 10 milioni è raddoppiato a 29 negli ultimi 20 anni e ogni anno circa 80 milioni di persone si spostano dalle aree rurali a quelle urbane. L'intensa guerra urbana, come dimostrano le recenti battaglie per Aleppo e Mosul, continua a essere dura e indiscriminata e continuerà a presentare problemi difficili per le forze di intervento occidentali. La tecnologia cambierà la guerra nelle città tanto quanto altri tipi di guerra, ma dovrà ancora essere combattuta da vicino, un isolato alla volta".

 

Chongqing, città della Cina centro-meridionale, ha 34 milioni di abitanti, Tokyo ne conta 37, Mumbay 31, Città del Messico 25, San Paolo 20. Queste sono solo alcune delle maggiori megalopoli del pianeta, ma tutte sono vere e proprie bombe ad orologeria pronte ad esplodere.

Nel report dell'Economist si dà anche grande importanza all'utilizzo delle più avanzate tecnologie, quelle che vedono sistemi automatici computerizzati operare quasi alla velocità della luce e rispondere istantaneamente ad eventi come attacchi informatici o missilistici. Gli analisti militari sono attualmente sopraffatti da una grande quantità di dati, provenienti in particolare dai video generati dai droni di sorveglianza e dal monitoraggio dei post sui social media. L'intelligenza artificiale diventerà perciò sempre più importante per l'analisi dei big data.

Sul tema un compagno ha segnalato il sito Modern War Institute, su cui si possono leggere interessanti articoli e studi di analisti militari americani. Nell'articolo "La città è il campo di battaglia del futuro", per esempio, si analizza quanto avvenuto l'anno scorso a Mosul dove poche migliaia di combattenti dell'IS sono riusciti per mesi a tenere in scacco circa 100 mila soldati iracheni sostenuti dagli Usa. Armamenti leggeri, esplosivi, cecchini, droni e social network hanno dato del filo da torcere ad un esercito tradizionale armato di tutto punto. Il Modern War Institute pensa dunque che i futuri conflitti bellici non saranno combattuti tanto nelle caverne o sulle montagne, ma nel cuore delle metropoli, dove agiranno bande e gruppi armati, e dove l'intervento militare dovrà essere coordinato sia con l'utilizzo di tecnologie avanzate che con un dispiegamento di mezzi e uomini estremamente mobile (l'esercito israeliano ha costruito Baladia, una città nel deserto del Negev per addestrare i soldati a tale scenario). Palazzi labirintici, tunnel nascosti, combattenti che spuntano dal nulla, attaccano e poi si disperdono. Il nemico - nelle analisi dell'intelligence statunitense - sarà altamente collegato in rete e integrato nel suo ambiente.

Non ci sorprendono questi studi sulle caratteristiche dei conflitti attuali. Negli articoli "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" e "Dal terrore dell'equilibrio all'equilibrio del terrore", notavamo che i caratteri della guerra moderna "sono anche quelli della conservazione di classe, quindi guerra preventiva indiretta contro il potenziale rivoluzionario del proletariato. Non più trincee, non più eserciti contrapposti, non più masse di uomini che si muovono assieme, non più esenzione dei popoli; al posto dei vecchi criteri, quelli nuovi: coinvolgimento totale di ogni forza sociale, avvento del soldato politico, come aveva anticipato il nazismo con le Waffen SS e come hanno abbondantemente spiegato e messo in pratica i neoconservatori americani, non a caso catapultati al governo del paese cardine dell'imperialismo."

La distinzione tra guerra e pace per identificare geograficamente un conflitto è sempre più sfumata. La guerra civile diffusa è il modo d'essere della società capitalistica, e perciò non "scoppia" ma si aggrava; ed è altamente adattativa: è conservatrice perché tende a difendere l'esistente, ma può anche diventare fattore di squilibrio globale e trasformarsi in rivoluzione.

Detto questo, la difesa è un fenomeno costoso e l'Economist sottolinea la necessità degli stati di dotarsi di sempre nuovi armamenti, più leggeri e tecnologici, più adatti ai nuovi teatri bellici:

"Un singolo velivolo F-35 può costare più di 100 milioni di dollari, un sottomarino d'attacco 2,7 miliardi e una portaerei di classe Ford con tutti i suoi velivoli si avvicina a 20 miliardi di dollari. Di contro, piattaforme distribuite spendibili a basso costo possono essere costruite in grandi numeri e controllate da relativamente pochi umani. Gli sciami [squadriglie di droni che volano sincronicamente] possono rendere la vita molto difficile per gli avversari."

Le guerre in corso rappresentano l'indispensabile laboratorio per quelle di domani. Le città sono divenute allo stesso tempo ingombro e rifugio per i civili, e saranno il nuovo fronte, luoghi in cui scorazzeranno piccoli gruppi coordinati e partigianerie prezzolate in grado di tenere testa alla forza regolare di uno Stato. Milizie equipaggiate con armi leggere, ma coadiuvate da satelliti, droni, e dotate di sensori di ogni genere. Guerra modernissima dunque, basata sull'ampio utilizzo di aggeggi elettronici che costano qualche decine di euro e che possono trasformarsi in temibili ordigni bellici, e combattuta, soprattutto, su Internet, non solo con attacchi informatici, ma anche con campagne ideologiche e propagandistiche volte a confondere il nemico. L'informazione come la dis-informazione sono armi essenziali quanto e più dei cannoni e delle mitragliatrici.

Si è poi passati a parlare del recente crollo delle borse partito dagli Stati Uniti. Secondo alcuni analisti, negli ultimi otto giorni sulle piazze finanziarie globali sono stati bruciati più di 4mila miliardi di dollari. Repubblica scrive che ad innescare la raffica di vendite sui mercati, che hanno macinato record su record negli ultimi mesi, è stato il rialzo dei salari americani che ha suggerito un possibile aumento dell'inflazione, con la conseguenza di una possibile accelerazione della stretta monetaria avviata dalla Fed.

La borghesia proprio non riesce ad avere una visione sistemica e isola i movimenti delle Borse dal resto della società. Ma sono i fondamentali (produzione di valore, vendita di merci, ecc.) il vero problema del capitalismo ("Non è una crisi congiunturale"). Oggi le operazioni in Borsa vengono gestite con computer e programmi molto potenti e l'informazione simultanea che ne deriva produce comportamenti sincronizzati, per cui masse enormi di capitali si muovono tutte in una volta provocando danni.

Martin Ford nel saggio Il futuro senza lavoro. Accelerazione tecnologica e macchine intelligenti. Come prepararsi alla rivoluzione economica in arrivo, tra i vari esempi di sostituzione di forza lavoro umana da parte delle macchine, tratta anche il fenomeno del trading finanziario automatizzato e afferma che oggi quasi il 70% delle transazioni in Borsa è svolto da algoritmi. In un articolo del 2013 pubblicato sulla rivista Nature ("Abrupt rise of new machine ecology beyond human response time"), un gruppo di fisici, impegnato in una ricerca sui mercati finanziari globali, definisce questo sistema come "un'ecologia emergente di macchine tra loro in competizione, caratterizzata da 'folle' di algoritmi predatori", e ipotizza che il trading robotico sia progredito fino a sfuggire al controllo – e persino alla comprensione – di chi l'ha progettato. Si pensi che, nel mondo della finanza algoritmica, l'azione di compra-vendita si svolge a una velocità che è incomprensibile per il più veloce dei trader poiché è misurata in milionesimi o addirittura miliardesimi di secondo.

In chiusura di teleconferenza, si è accennato alla vicenda dei braccialetti cibernetici che Amazon vorrebbe far indossare ai propri dipendenti. Il colosso dell'e-commerce cerca, attraverso questi dispositivi, sia di aumentare la produttività del lavoro sia di addestrare i robot a svolgere lavoro "umano", puntando allo stesso tempo a gestire in maniera sempre più stretta la sua forza lavoro. L'ondata di indignazione dei sinistri ci lascia alquanto perplessi dato che da tempo centinaia e centinaia di aziende utilizzano smartphone, big data e algoritmi per controllare i dipendenti e nessuno ha mai detto niente.

Questi aggeggi tecnologici, in mano alla borghesia, rappresentano un vero e proprio incubo per i salariati mentre, in una società non basata sul profitto, possono rappresentare un sistema di sensori e attuatori (cervello sociale) utile per liberare la specie dalle catene della necessità e permetterle di fare il salto nel regno della libertà.

Articoli correlati (da tag)

  • Un mondo senza lavoro

    La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'intervista di Repubblica (05.09.23) a Daniel Susskind, professore di economia al King's College di Londra e autore di Un mondo senza lavoro, che afferma la necessità di cambiare paradigma dato che si sta stabilendo un nuovo rapporto tra lavoro e senso della vita: "l'idea di intraprendere una carriera, trascorrere diversi decenni a progredire e poi andare in pensione, è piuttosto superata".

    Nell'articolo "Proletari, schiavi, piccolo-borghesi o... mutanti?", pubblicato sulla rivista n. 4 (2001), descrivevamo una serie di trasformazioni che all'epoca si potevano solo intravedere; allora, infatti, non c'erano i rider, non c'erano i clickworkers e di intelligenza artificiale si parlava poco:

    "La struttura mondiale del lavoro sociale, la socializzazione crescente della forza produttiva umana, non possono non avere effetti materiali sulle forme in cui si manifesta lo sfruttamento. Se la miseria e il sottosviluppo odierni sono fenomeni modernissimi dovuti alla distruzione irreversibile dei rapporti antichi, l'estendersi enorme di rapporti di lavoro atipici nelle aree metropolitane non devono essere considerati fenomeni di regresso: saranno anch'essi a tutti gli effetti il risultato di progresso, quindi, per definizione, riflessi del futuro sul presente in via di liquidazione continua."

  • Immobiliare cinese, debito e policrisi

    Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso l'argomento trattato nella scorsa riunione, ovvero l'aggravarsi della situazione economica cinese.

    Il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di dati sulla Cina da cui risulta che le amministrazioni locali delle province del paese hanno accumulato debiti per finanziarie il settore immobiliare e la costruzione di nuove infrastrutture ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino). Se alla cifra raggiunta dall'indebitamento pubblico (che ammonta a circa il 300% del PIL, circa 4700 miliardi di euro), si aggiunge quella relativa al governo delle province, vengono superati gli 8000 miliardi di euro. Ad essere in difficoltà non sono solo le amministrazioni locali e le famiglie, ma anche le banche, dato che sono state proprio queste a finanziarie il boom del mattone. Alcuni esperti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. Sappiamo, invece, che i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro globale. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA; una crisi finanziaria cinese avrebbe ripercussioni sul debito americano e su tutti i suoi rapporti commerciali (ad esempio quelli con la Germania che esporta molto verso il gigante asiatico). Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora sferrando un duro colpo alla Cina.

  • Crepe nell'Impero Celeste

    La teleconferenza di martedì sera, presenti 18 compagni, è iniziata commentando la situazione economico-finanziaria della Cina, a partire dal possibile scoppio della bolla immobiliare.

    Quanto successo nelle ultime settimane, tra cui le difficoltà del colosso Country Garden ma non solo, conferma quanto andiamo sostenendo da anni circa la raggiunta senilità della Cina. Ora se ne accorgono anche i borghesi, in particolar modo l'Economist che nell'edizione del 26 agosto ipotizza una "giapponificazione" (bassa crescita e deflazione) della economia cinese ("China's economy is in desperate need of rescue"). L'immobiliare è diventato un settore strategico, rappresentando il 30% del PIL cinese; l'enorme bolla speculativa è dovuta al fatto che il capitale ha cercato di valorizzarsi nella costruzione ex novo di decine di città, rimaste poi abbandonate. Secondo la banca Morgan Stanley, dal 2010 al 2020 il gigante asiatico ha costruito più di 140 milioni di unità abitative, e in soli tre anni ha prodotto una quantità di cemento che potrebbe trasformare la superficie della Gran Bretagna in un parcheggio; non pago, ha costruito città fantasma anche in Africa.

    Secondo il Wall Street Journal il boom cinese è finito da tempo. La domanda di nuove abitazioni nelle città ha raggiunto il suo picco e i problemi di natura economica si assommano a quelli derivanti dalla disoccupazione giovanile, dall'invecchiamento della popolazione e dal calo degli investimenti esteri. Al pari dei paesi a vecchio capitalismo, la Cina installa robot nelle fabbriche e investe in intelligenza artificiale, e quindi si trova di fronte alla diminuzione relativa della produzione di plusvalore. Il gigante asiatico ha bruciato rapidamente le tappe capitalistiche passando in pochi anni da una crescita impetuosa a un altrettanto veloce declino.

Rivista n°53, giugno 2023

copertina n° 53

Editoriale: La guerra rispecchia la società

Articoli: Sul libero arbitrio

Rassegna: Effetto domino - Crollo generale"

Terra di confine: Magazzini organici - Apprendisti stregoni - La forma ed il contenuto

Recensione: Doom

Doppia direzione: Riscontri d'oltreoceano

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email