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  • Resoconto teleriunione  13 febbraio 2018

La visione della società futura

La teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, è iniziata dal commento dell'articolo "Il lato oscuro dei mercati: cosa può mandare le Borse in tilt", del Sole 24 Ore, in cui si analizzano le cause non direttamente economiche del crollo dei mercati avvenuto nei giorni scorsi, ovvero l'insieme di espedienti automatici, scambi ad alta frequenza e algoritmi che ormai governano il mondo finanziario.

Secondo il giornale di Confindustria, uno dei pericoli più grandi che minacciano le piazze economiche di tutto il mondo è rappresentato dalla finanza automatizzata: "Ormai il 66% degli scambi azionari in Borsa è fatto da algoritmi. Cioè da computer che vendono e comprano azioni in autonomia, seguendo complessi calcoli matematici. Il 'flash-crash' ha però mostrato che anche queste macchine, apparentemente perfette, possono prendere cantonate. E far scattare vendite automatiche molto velocemente."

Se l'intero mercato azionario è controllato per il 66% da programmi che lavorano autonomamente (ma l'automazione non riguarda solo il mondo delle finanza, tutto ormai è in mano agli algoritmi, dall'industria alla complessa gestione di aeroporti e treni, dalla logistica civile e militare alla grande distribuzione organizzata), allora possiamo affermare che non è più l'uomo a subordinare l'economia ma il contrario. Ciò è la dimostrazione pratica dell'incapacità della classe borghese che, sprovvista di una teoria economica, non riesce ad anticipare i processi sociali ma è costretta a subirli. Dacché esiste il capitalismo, non una crisi è stata prevista, mentre le spiegazioni sono sempre arrivate dopo.

L'attuale fibrillazione dei mercati è dovuta al fatto che il Capitale fatica a valorizzarsi nella cosiddetta economia reale e cerca espedienti per passare direttamente da D a D' scavalcando il processo D → M → P → M' → D', (ricordiamo che D e M derivano da P, l'unica sorgente del valore). I piccoli crack che hanno colpito le Borse nei giorni scorsi sono il sintomo di questa difficoltà e annunciano l'approssimarsi di un nuovo grande crollo.

La teleconferenza è proseguita con alcune osservazioni sul percorso politico di Beppe Grillo. Da qualche tempo sembra che il comico genovese si stia smarcando dal M5S, operazione resa evidente dal rinnovo (e pulizia) del blog. Alcuni ipotizzano una spaccatura di carattere politico tra una corrente più "governista", guidata da Di Maio e Casaleggio e disponibile ad appoggiare un governo di larghe intese, ed un'ala più ortodossa, capeggiata da Grillo e contraria all'ipotesi di collaborazione con altre forze politiche. Altri invece sostengono che il guru si sia semplicemente stancato della "politique politicienne" e voglia defilarsi dalla scena per dedicarsi al futuro.

Sul suo sito Grillo ha ripreso a trattare argomenti di frontiera, come faceva all'inizio della sua carriera politica. Pubblica articoli sull'intelligenza collettiva, sull'evoluzione di Internet e sul reddito di cittadinanza, in cui descrive il cambio di paradigma in corso:

"Molti posti di lavoro non hanno più senso di esistere e oggi, invece, si chiede agli Stati di aumentare la produttività, per uscire dalla crisi e diminuire il debito. Ma proprio dove si aumenta la capacità produttiva, si aumenta anche la disoccupazione. Non abbiamo più bisogno di lavorare così tanto. Le ore lavorative dovrebbero diminuire almeno a 5 ore al giorno. Ma in realtà non dovremmo parlare del lavoro. Si tratta di capire che il concetto di lavoro e, più in generale, il concetto sociale di vita, è cambiato. Andiamo verso un'epoca in cui il salariato non avrà più ragion d'essere." ("Reddito di cittadinanza", 10.2.18)

L'articolo citato si chiude con i dati sulla crescita della miseria in Italia (17 milioni di persone sono a rischio di povertà, 8 milioni sono povere, quasi 6 milioni sono in povertà assoluta) e con un docufilm di Daniel Häni e Enno Schmidt sul reddito di base. Da segnalare che la misura di sostegno economico promossa dal M5S, e cioè un reddito di cittadinanza vincolato alla frequentazione di corsi di formazione e al reinserimento nel mondo del lavoro, non ha niente a che vedere con il reddito di base incondizionato caldeggiato, per esempio, dall'associazione BIN-Italia.

Al tempo in cui abbiamo scritto il volantino "Diritto al lavoro" o libertà dal lavoro salariato?, il 1997, gli argomenti che avevamo esposto erano difficilmente digeribili da stomaci non marxisti. Oggi, le pubblicazioni, i saggi e gli articoli che mettono in discussione l'ideologia "lavorista" non si contano più. La digitalizzazione, l'automazione e la retificazione della società sono globalmente diffuse e producono effetti materiali che si riflettono sui cervelli degli uomini.

Il tema del lavoro è all'ordine del giorno anche in Germania, dove recentemente è stato firmato un accordo tra gli industriali e il sindacato dei metalmeccanici che prevede la possibilità (su richiesta del lavoratore) di ridurre a 28 le ore settimanali contrattuali. Un articolo de il manifesto ("Ig Metall festeggia l'accordo 'storico' tutto flessibilità") fa notare che gli imprenditori tedeschi hanno aperto le porte alla riduzione dell'orario chiedendo in cambio una maggiore flessibilità. Quanto successo ci fa pensare, proprio per la natura ultra-corporativa dell'IG Metall, che dietro l'accordo ci fosse una precisa regia politica, e non è un caso che subito dopo l'intesa l'SPD abbia accettato di entrare nel governo di Grosse Koalition. Ma ciò che vogliamo mettere in luce della vicenda è la dinamica che porta sindacati e padroni a fare i conti con la necessaria riduzione dell'orario di lavoro (Punto "c" del Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico, Riunione di Forlì del Partito Comunista Internazionale, 28 dicembre 1952). Ed infatti sul sito della Fiom è apparso un articolo, "Il tempo del lavoro", in cui si afferma che anche l'Italia è pronta per la riduzione dei tempi di lavoro e che il fenomeno è già in corso con il dilagare del part-time, dei lavoretti precari e della disoccupazione, per cui si tratta solo di governarlo.

In questi anni la Germania è riuscita a mantenere alta la percentuale di occupati: su una popolazione di circa 80 milioni di abitanti, i lavoratori attivi sono circa 44. Questa è una controtendenza fondamentale alla legge della caduta del saggio di profitto. In Italia, invece, su 62 milioni di abitanti ne lavorano circa 23. Dice Marx: un paese è tanto più moderno (leggi putrefatto) quanto più libera forza lavoro, non quanto più ne impiega.

L'estrazione di plusvalore relativo fa entrare in contraddizione il Capitale, la cui vocazione sarebbe di spingere la società alla produzione di sempre più plusvalore. Però un sistema altamente automatizzato fa diminuire il valore unitario delle merci a causa delle enormi quantità prodotte (J. Rifkin, La società a costo marginale zero), per cui al Capitale non resta che aumentare ancora di più la massa di plusvalore nel tentativo di rifarsi sulla caduta del saggio di profitto, in modo da assicurarsi la continuità del ciclo produttivo e anche la pace sociale (cioè il mantenimento della sempre crescente parte improduttiva della popolazione). Ma oltre un certo limite tale massa comincia a diminuire perché non si può estrarre da pochi operai tanto plusvalore quanto se ne estrae da molti.

Un'azienda del tutto robotizzata può esistere poiché essa beneficerebbe del plusvalore generato dalle altre. Al contrario non può esistere una società capitalista robotizzata al 100% perché senza operai non c'è plusvalore. Alcuni economisti sostengono che quella attuale è una crisi di sottoconsumo, ma se aumentassero i salari, crescerebbero i consumi, gli investimenti riprenderebbero e salirebbe pure la produttività, generando nuova disoccupazione. E' il circolo vizioso della crisi dei rapporti di valore, da cui si esce solo passando ad un'altra forma sociale.

E cosa succederebbe se gli stati riuscissero a distribuire a tutti un reddito di base? Si allungherebbe di un pò la vita del capitalismo, ma allo stesso tempo l'erogazione di un salario slegato dal lavoro comporterebbe un passo avanti rispetto alla Critica al programma di Gotha di Marx. Spieghiamoci meglio: la distribuzione di un reddito di sopravvivenza senza un corrispettivo in ore di lavoro erogate alla società implica il superamento della "fase inferiore del comunismo", nella quale vi è ancora una relazione tra tempo di lavoro speso e beni ricevuti in cambio. Insomma, per ritardare la sua morte il capitalismo non può far altro che negare sé stesso.

Una schiera sempre più vasta di economisti e sociologi parla di cambio di paradigma, di fine del capitalismo, di post-capitalismo, e questo non può che farci piacere. Ma tra i vari P. Mason, J. Rifkin, M. Ford, A. McAfee, E. Brynjolfsson, F. Pistono, e altri ancora, nessuno arriva ancora a nominare la parola comunismo. Ciò che manca a questi studiosi è la visione della società futura, in cui non esisterà più proprietà privata ma solo proprietà di specie. Questa è la linea di demarcazione che divide noi da loro.

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    Rispetto agli aspetti messi in luce nell'articolo "La sindrome di Yamamoto", notiamo che oggi molti processi sono ormai manifesti. L'Economist, nell'articolo "A new era of high-tech war has begun", osserva, ad esempio, che la carneficina ucraina contiene tre importanti lezioni per il futuro della guerra:

    1) il campo di battaglia sta diventando trasparente e i conflitti futuri dipenderanno dalla capacità di riconoscere il nemico prima che lo faccia quest'ultimo; ciò vuol dire accecare i suoi sensori (siano essi droni o satelliti) e interrompere i canali di invio e ricezione dati, attraverso attacchi informatici, elettronici o di altra natura;
    2) la guerra attuale, nonostante faccia largo uso di tecnologie avanzate, coinvolge ancora un'immensa massa di esseri umani e milioni di macchine e munizioni. La Russia, ad esempio, ha sparato 10 milioni di proiettili in un anno e l'Ucraina ha perso 10.000 droni in un mese;
    3) il confine tra ambito militare e civile è sempre più sfumato. Anche uno smartphone può trasformarsi in un'arma: tramite un'app, infatti, un civile può segnalare la presenza del nemico e così aiutare a guidare il fuoco dell'artiglieria su un obiettivo. A ciò si aggiunge il complesso industriale bellico, composto da aziende private (vedi Starlink di SpaceX), università e laboratori.

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    Abbiamo sempre detto che non ci serve una macchina che sia una copia dell'uomo. Ci servono invece protesi per amplificare le nostre capacità e soprattutto che ci aiutino a conoscere noi stessi. Un algoritmo, procedimento di calcolo nato prima dell'informatica, non è altro che una sequenza definita di istruzioni per arrivare a un risultato: partendo dal suo funzionamento base fondato sul binomio "se, allora", si possono inserire più dati e variabili e renderlo estremamente complesso.

    Gli algoritmi basati sull'IA (bot) svolgono il lavoro che prima svolgevano gli umani e al giorno d'oggi ci sono algoritmi che costruiscono altri algoritmi: bot vengono testati da altri bot precedentemente istruiti dai programmatori. Miliardi di interazioni fanno sì che il sistema migliori strada facendo, imparando dai propri errori, e ciò vale sia per i bot che devono riconoscere immagini o suoni, che per i bot che devono addestrarli e testarli. Il passo successivo sono i bot che costruiscono altri bot. Una macchina che impara ad imparare rientra nella categoria del machine learning. Man mano che questi algoritmi analizzano i dati trovano andamenti e schemi sulla base dei quali fare previsioni.

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Rivista n°53, giugno 2023

copertina n° 53

Editoriale: La guerra rispecchia la società

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Rassegna: Effetto domino - Crollo generale"

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