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  • Resoconto teleriunione  13 marzo 2018

La dis-organizzazione mondiale del commercio

La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, si è aperta con alcuni commenti riguardo l'imposizione, da parte del governo degli Stati Uniti, di nuovi dazi sull'importazione di acciaio e alluminio.

Nell'edizione dello scorso 10 marzo, l'Economist riportava in copertina una caricatura del volto di Donald Trump a forma di bomba a mano. L'intento era quello di evidenziare la pericolosità della politica intrapresa dal Presidente, ritenuta una "minaccia al commercio mondiale" poiché potrebbe portare allo sgretolamento di quel sistema di accordi tra paesi che ha sorretto il mondo capitalistico a partire dal secondo dopoguerra:

"Quali che siano i problemi dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, sarebbe una tragedia minarla. Se l'America persegue una politica commerciale mercantilista sfidando il sistema commerciale globale, altri paesi sono tenuti a seguirla. Ciò potrebbe non portare a un immediato collasso dell'OMC, ma gradualmente eroderebbe uno dei fondamenti dell'economia globalizzata."

Gli Stati Uniti rappresentano il 22-23% dell'economia mondiale (8% esportazioni e 14% importazioni) e sono il paese-guida del capitalismo, da quando hanno sostituito l'Inghilterra sul gradino più alto del podio imperialista. Ma da anni vivono al di sopra delle loro possibilità, registrando una crescita annua del Pil di quasi il 4%, un deficit commerciale irrecuperabile e un debito pubblico stratosferico. Sono le cifre di un capitalismo, non solo americano bensì mondiale, in grave difficoltà. Il resto del mondo è costretto a mantenere il colosso a stelle e strisce, che si trova in una condizione particolare di rendita: se volete il capitalismo - dice - dovete alimentare il suo motore primo, che si trova a Washington. Agli altri paesi non rimane null'altro da fare che tenerlo a galla, accettando tutti i problemi e le contraddizioni che ciò comporta.

Tale situazione ha radici ben lontane: la bilancia commerciale americana è stata in deficit dal 1990 al 2016. Contrariamente a quanto vuol far intendere l'Economist, questo contesto non è imputabile unicamente a Trump e la rinegoziazione del trattato commerciale North American Free Trade Agreement con Messico e Canada (NAFTA), o del Trans-Pacific Partnership (TPP), o del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) con l'Europa, non potrà di certo far tornare indietro la ruota della storia e ridare vitalità a un sistema moribondo.

Nella sequenza storica degli imperialismi che hanno esercitato il predominio economico, politico e militare sul mercato mondiale (Venezia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti d'America), la potenza "uscente" presenta marcati caratteri di decadenza e subisce la sconfitta da parte di un imperialismo più dinamico e prestante che essa stessa contribuisce a sostenere. Oggi la serie si è interrotta perché non esiste alcun paese con queste caratteristiche. La Cina, verso cui qualcuno potrebbe puntare il dito, non ha né la potenza finanziaria né l'influenza monetaria necessarie, e soprattutto, invece di essere foraggiata dal vecchio imperialismo, lo alimenta detenendone grandi fette del debito sovrano. Proprio in questi giorni l'assemblea popolare cinese ha votato all'unanimità la riforma della Costituzione per eliminare il limite dei due mandati presidenziali, consentendo all'attuale presidente Xi Jinping di restare al potere oltre il 2023 e potenzialmente anche a vita. L'accentramento dei poteri, insieme allo snellimento delle decisioni esecutive e della Banca nazionale, è dovuto all'esigenza di rispondere in maniera decisa e centralizzata alle sfide future che pone il Capitale.

Ritornando in Usa, notiamo che le anomalie dell'amministrazione in carica non riguardano solo la politica commerciale, ma anche quella interna al governo stesso. Dall'inizio del mandato di Trump, sono numerosi i consiglieri e i collaboratori "licenziati", da ultimo il segretario di stato Rex Tillerson che è stato rimpiazzato dal "falco" Mike Pompeo, proveniente dagli ambienti del Tea Party, importante componente della destra radicale americana. Molto probabilmente è in corso, all'interno dell'esecutivo americano, un processo di "normalizzazione" e, sotto impulso dell'esercito, sono state neutralizzate tutte una serie di figure scomode, specie quelle che gestivano la politica estera in maniera troppo morbida.

Guardando alla situazione politica italiana, si è fatto un breve accenno agli effetti dei risultati elettorali, e cioè l'impossibilità di formare una maggioranza in grado di governare il paese. Tecnicamente il presidente della Repubblica dovrebbe dare l'incarico esplorativo ad un rappresentante del centro destra, la coalizione che ha preso più voti; il candidato favorito sarebbe quindi Matteo Salvini. Resta valida la carta di un governo tecnico, ma sembra che la figura di Draghi - su cui molto si era discusso - non sia quella spendibile per tale operazione.

La teleconferenza è proseguita con alcune considerazioni sullo stato delle lotte immediate a livello internazionale, prendendo come spunto alcuni scioperi significativi.

Negli Usa, in West Virginia, gli insegnanti hanno scioperato, senza alcun preavviso, per 9 giorni consecutivi, infischiandosene della legge locale che dichiara illegale l'astensione dal lavoro dei funzionari pubblici. La mobilitazione ha visto scendere in strada circa 13 mila maestri, sostenuti da gruppi di solidali, dagli studenti e dalle loro famiglie. Sembra che la scintilla che ha provocato lo scoppio della protesta sia stato il mancato rimborso delle spese sanitarie.

Il West Virgina, con una popolazione formata per la maggior parte da bianchi, è uno degli stati più poveri degli Stati Uniti e nelle ultime elezioni presidenziali ha rappresentato un bacino di voti molto importante per Trump. Ma questo aspetto non è sinonimo di una pacificazione dal punto di vista sociale, tutt'altro. I sindacati sono rimasti spiazzati dallo sciopero che è sfuggito al loro controllo, anche perché l'organizzazione si è sviluppata attraverso Facebook su cui sono stati coordinati flash-mob e sit-in. Dopo 9 giorni di blocco delle scuole e dei presìdi itineranti, il governatore dello Stato ha approvato un aumento del 5% dei salari ed ha aperto i negoziati per quel che riguarda il sistema sanitario e i rimborsi medici. L'eco della mobilitazione è arrivato in Arizona e Oklahoma, dove uno sciopero degli insegnanti è previsto per il prossimo 1° aprile.

In Spagna è stato proclamato uno sciopero nel magazzino Amazon di San Fernando de Henares, vicino a Madrid. La mobilitazione (#HuelgaAmazon), indetta dal sindacato Comisiones Obreras insieme ad altre sigle, interessa 1.100 lavoratori che incroceranno le braccia per 48 ore il 21 e 22 marzo. Altri scioperi negli hub di Amazon sono stati organizzati recentemente anche in Polonia, Germania e in Italia. Il colosso dell'e-commerce si sta allargando, inglobando più attività: da azienda di commercio al dettaglio sta tentando di mettere i tentacoli in ogni settore che gravita intorno al suo business, dal finanziamento di start-up ai servizi cloud fino all'apertura di conti correnti per i propri clienti. Essendo un'azienda presente in più paesi, le mobilitazioni dei suoi dipendenti non possono che essere internazionali, come quelle dei lavoratori di McDonald's che si sono spinti sino ad organizzare delle giornate globali di lotta (#FastFoodGlobal) contro il sistema schiavistico del gigante del panino.

Per quanto riguarda l'Italia, un compagno ha segnalato il documento "Il nostro modo di intendere l'opposizione sindacale", firmato "Lavoratori, delegati, membri direttivo Fiom della Piaggio e Continental". Nel testo vengono criticati il verticismo e la gerarchia presenti nella opposizione interna alla Cgil, che a questo punto non sarebbe "un'altra cosa" rispetto alla maggioranza, ma esattamente "la stessa cosa". Sembra quindi di capire che esiste un'opposizione all'interno della stessa area di opposizione.

Rispetto al passato, nell'era di Internet è molto più facile costituire un coordinamento di lotta e stabilire collegamenti tra lavoratori bypassando le vecchie strutture sindacali, le quali, se non vogliono estinguersi, dovranno accodarsi alle nuove realtà organizzate. In queste analisi non bisogna dimenticare quello che lo studio realizzato da Censis e Confcooperative, "Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?", definisce una vera e propria "bomba sociale": i tre milioni di Neet italiani (giovani tra i 18 e i 35 anni che non studiano e non lavorano) a cui si aggiungono altri 3 milioni di working poor impegnati in "lavori gabbia" (coloro che, nel gergo statistico, sono confinati in attività non qualificate che obbligano a una bassa intensità lavorativa). È sicuro che superata una certa soglia di sopportazione, questa massa di senza riserve sarà spinta a bruciare le tappe e a darsi una forma organizzativa immediata di livello superiore: la "politica" del futuro, di cui abbiamo avuto qualche saggio significativo con Occupy Wall Street, non metterà più al centro la "rivendicazione", qualunque essa sia.

In chiusura di teleconferenza si è accennato a quanto accade in Medioriente: gli scontri in Iran non sono mai cessati da quando è partita la rivolta del 28 dicembre a Mashhad, e sui social circolano dei video che testimoniano il persistere di una conflittualità diffusa nel paese. Per quanto riguarda il fronte curdo-siriano, i turchi hanno quasi completamente circondato la cittadina di Afrin, da cui scappano migliaia di civili. In Europa sono state indette manifestazioni a sostegno della resistenza curda, a sostegno di una borghesia contro un'altra. Sull'altare di un ipotetico stato democratico confederale curdo si sacrificano le vite di migliaia di esseri umani, massacrati per interessi capitalistici contrapposti.

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Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

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