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  • Resoconto teleriunione  15 ottobre 2019

Un fenomeno globale

La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le ultime notizie in arrivo dalla Spagna.

Nei giorni scorsi la Corte suprema spagnola si è pronunciata sul referendum promosso dagli indipendentisti catalani nell'ottobre del 2017, ed ha accusato nove leader del movimento di attentato all'unità dello stato distribuendo un centinaio di anni di carcere. Immediatamente migliaia di manifestanti hanno invaso le strade di Barcellona, per poi dirigersi verso l'aeroporto El Prat causando la cancellazione di decine di voli e il blocco dell'autostrada all'altezza di Girona. La polizia si è fatta trovare in assetto antisommossa e ne sono nati violenti scontri. Indetto per la giornata di venerdì lo sciopero generale.

Ci sembra di poter dire che a Barcellona stanno passando in secondo piano la questione nazionale, l'irredentismo o la volontà di autonomia, mentre incidono con sempre maggior forza la miseria crescente e il disagio sociale che da essa deriva. La carica di violenza sprigionata dagli apparati repressivi, in Spagna, così come in Francia o ad Haiti, è sempre più pesante. Evidentemente è in corso un'escalation: il pacifismo sta scomparendo dalle piazze, anche perché di fronte a forze di polizia armate e coordinate, i manifestanti non possono che muoversi di conseguenza.

Se vedessimo dall'alto, come degli alieni che arrivano da un altro pianeta, questi focolai di protesta e rivolta metropolitana, sicuramente penseremmo che si tratta di un fenomeno globale mosso da un'unica legge. Il marasma sociale si manifesta sotto forma di caos e situazioni spurie, da cui nascono movimenti "popolari" che si scontrano direttamente con lo Stato e i suoi apparati. Dal crack economico del 2008, il Pil dei maggiori paesi occidentali non ha subito che piccole oscillazioni, ma il trend è, per tutti, verso lo zero. Lo stesso FMI avverte che la crescita mondiale non è stata mai così bassa come negli ultimi dieci anni.

Le manifestazioni tendono a sincronizzarsi e, difatti, dopo l'occupazione dell'aeroporto di Hong Kong è arrivato il turno di quello di Barcellona. Da sottolineare il fatto che per un motivo o per l'altro le piazze diventano attrattori per movimenti disparati, alcuni con aspetti marcatamente di classe come in Ecuador e in Iraq, altri con caratteristiche più sfumate come ad Hong Kong, in Francia e in Spagna. Ma non si tratta di trovare una giusta etichetta per movimenti che di primo acchito sono interclassisti e comunque spuri, ma di superare il bisogno di questa etichetta.

Marx afferma che la rivoluzione è tale se critica continuamente sé stessa, se va oltre i livelli raggiunti. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 scrive che inizialmente gli operai si incontrano per risolvere problemi immediati, ma quello che era il mezzo, la comunità, diventa lo scopo.

Seppur a differenti livelli di intensità, la guerra civile è diffusa e permanente. La disgregazione degli stati, come quello spagnolo, produce ulteriore caos, mentre prendono piede movimenti che raggruppano segmenti di classi differenti: studenti, disoccupati, piccoli commercianti rovinati. Da questo brodo primordiale nasceranno nuovi organismi politici e quelli darwinianamente non al passo coi tempi verranno spazzati via. Lo scontro è tra passato e futuro, tra il comunismo inteso come un fatto di volontà, di attivismo e di coscienza, e il comunismo inteso come movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.

I luogocomunisti, intrappolati nelle varie "questioni" (sindacale, nazionale, ecc.), hanno bisogno di prendere posizione e parteggiare per questo o quel fronte borghese, dando eccessiva importanza alla sovrastruttura politica ed alle sue manifestazioni, e ignorando quanto avviene alla struttura materiale, che poi è quella che conta. Nell'articolo "Necessarie dissoluzioni" abbiamo ricordato che Marx, sia nei Grundrisse che nel Capitale, ha spesso utilizzato il termine "dissolvere". In particolare, nei Grundrisse il succedersi dei modi di produzione è fatto dipendere dai vari livelli di dissoluzione: a causa dello sviluppo della forza produttiva un vecchio modo di produzione muore e ne emerge un altro. Nel filo del tempo "Avanti, barbari!" Bordiga scrive che l'invasione barbarica "che calò per le Alpi e rinnovò l'Europa... non distrusse ma esaltò il portato dei secoli di sapienza e di arte, custodito nel seno del formidabile impero."

Anche la prossima ondata rivoluzionaria saprà distinguere tra le cose da buttare via e quelle che invece sarà utile conservare.

Lo sviluppo delle forze produttive trova negli attuali rapporti sociali delle catene da spezzare. Analizzando l'attuale struttura economica, si evidenzia il giganteggiare della massa del capitale fittizio che non può trovare utilizzi capitalistici. Solo i derivati ammontano a circa 2,2 milioni di miliardi di dollari, ma in tutto il mondo sono numerosi i sistemi di tesaurizzazione: dall'oro ai diamanti, dai futures alle materie prime, fino agli investimenti in aziende che vengono utilizzate come fonte di speculazione (Facebook, Apple, ecc.). Tali cifre non sono neppure confrontabili con il Pil mondiale che ammonta ad 80 mila miliardi di dollari. Il capitalismo nega sé stesso attraverso la vanificazione della legge del valore. L'oro è il materiale che per eccellenza serve alla tesaurizzazione, e c'è chi pensa che in caso di collasso globale le riserve auree potrebbero rappresentare l'unica base per far ripartire l'economia. Sono migliaia le tonnellate di oro nei forzieri degli stati e altre migliaia vagano in giro per il mondo sotto forma di gioielli. L'Italia è il terzo paese al mondo per riserve in oro dopo Stati Uniti e Germania.

La borghesia italiana è quella più vecchia al mondo, ed è anche quella che prima di tutte ha sperimentato il trasformismo. Il M5S è nato sul presupposto di scoperchiare il Parlamento come una scatoletta di tonno e poi è finito a governare sia con la destra che con la sinistra. Il retroterra storico italiano è però anche quello della Sinistra Comunista, che ha sviluppato potenti anticorpi contro le varie manifestazioni di opportunismo. Se ad avanzare, in termini di abbattimento di barriere, non è la rivoluzione, allora è la controrivoluzione che deve comunque portare avanti alcuni dei compiti della rivoluzione (Lezioni delle controrivoluzioni, 1951). Il tema del reddito di cittadinanza è stato il motivo del successo elettorale del M5S e, nonostante sia stato un pasticcio, si tratta comunque di una misura di carattere generale che ricorda vagamente il salario ai disoccupati. Come abbiamo scritto nella newsletter numero 233, lo stato italiano ha dato cittadinanza al reddito.

La crisi economica è dovuta alla produzione di una pletora di capitali e di merci, due rapporti che rendono reciproci gli estremi del processo. Quando i tassi sui c/c diventano negativi, in pratica significa che mettendo il denaro a reddito non si prende un interesse ma lo si paga. Se abbiamo un'inversione di soggetto e predicato e il capitale invece di fruttare va pagato, è come se nel confronto tra lavoro e capitale, l'operaio dovesse pagare il padrone per poter andare a lavorare. Un non senso dal punto di vista capitalistico. Con il reddito di cittadinanza lo stato paga gli operai perché non producano plusvalore e perché non scendano in piazza a protestare. Quando si parla di distribuzione di reddito senza equivalente in lavoro, vuol dire che i rapporti capitalistici sono pesantemente intaccati. Guai a quella società, dice Marx, che invece di sfruttare i propri schiavi è costretta a mantenerli.

Siamo alla disgregazione dei rapporti economici e sociali capitalistici all'interno dello stesso capitalismo. Una visione lucida della realtà, che vada oltre la percezione, è possibile solo ponendosi in n+1, astraendosi da n, e avendo ben chiara la dinamica che porta l'attuale modo di produzione oltre sé stesso. Un paese capitalisticamente maturo come l'Italia, con una reazione sociale tutto sommato bassa, vede da qualche anno a questa parte i principali indicatori economici (produzione industriale, debito pubblico, tasso di disoccupazione, ecc.) toccare livelli da allarme rosso (vedi articolo "Il disastro italiano in 20 grafici"). E' inevitabile che da tale situazione emergano movimenti sociali di ampia portata.

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    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 18 compagni, è iniziata con il commento di alcune note di un compagno sul libro di Nouriel Roubini La grande catastrofe: dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere.

    Il libro è forse il primo in cui nella parte conclusiva non si fa cenno a miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante. Infatti, l'autore propone solo due scenari a cui deterministicamente faremo fronte: uno "distopico" e uno "utopico". Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere un salto, a noi già noto, "dall'utopia alla scienza". Se non si riconosce il comunismo come " movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare distopie e utopie rinascimentali (altro spartiacque storico). I due termini sono raffrontati senza far riferimento a un qualsiasi parametro di specie: Utopia rispetto a cosa? Distopia dovuta a? Roubini ci spiega solo che siamo in una tempesta "perfetta", perché le megaminacce ormai incombenti sono date come "strutturali"; diremo noi, connaturate all'attuale modo di produzione. Sono strutturali ma non si dà una spiegazione di questo aggettivo. Si dice, correttamente, che la complessità delle megaminacce sta nella loro sincronia e nell'interagire tra loro, difficilmente prevedibile e computabile. L'ideologia dominante comincia a proporre la sua visione cieca: è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo.

    Per l'economista statunitense è sicuro che una bolla finanziaria scoppierà, l'incognita riguardo solo il quando e quanto in termini di danni provocati. Dice inoltre che bisogna tenere d'occhio l'eurozona e i suoi anelli più deboli, come Italia e Grecia, i primi che a causa di una crisi del debito potrebbero saltare, provocando un effetto domino.

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    Alla teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 20 compagni, abbiamo parlato di robot e automazione partendo da un articolo dell'Economist intitolato "Don't fear an AI-induced jobs apocalypse just yet".

    Lo scorso primo marzo, all'Investor Day 2023 di Tesla, Elon Musk ha presentato Optimus, un robot umanoide da utilizzare a casa e in fabbrica del costo previsto di 20.000 dollari. Durante il meeting è stato proiettato il video di un automa intento a costruirne un altro simile: a breve, ha dichiarato l'imprenditore sudafricano, il rapporto 1:1 tra robot e umani potrebbe essere superato.

    Se effettivamente si arrivasse a produrre un esercito di otto miliardi di robot, i problemi derivanti da tassi di disoccupazione elevatissimi non potrebbero essere tollerati dall'attuale modo di produzione, basato sul sistema del lavoro salariato. Osserva infatti Musk: "Non è nemmeno chiaro cosa sia un'economia a quel punto".

    Già oggi vi sono produzioni altamente automatizzate: lo scorso dicembre ABB, multinazionale elettrotecnica svizzero-svedese, ha aperto una mega-fabbrica di 67.000 metri quadrati a Shanghai, dove i robot producono altri robot. Ocado, il più grande rivenditore di generi alimentari online al mondo, si affida agli automi per consegnare cibo fresco a migliaia di persone nel Regno Unito; i suoi magazzini sono progettati come organismi viventi, dotati di un sistema nervoso centrale (software), un sistema cardiovascolare (nastri trasportatori) e di globuli rossi (casse). Il confine tra il mondo del nato e quello del prodotto è sempre più incerto.

  • L'unica soluzione

    La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 15 compagni, ha avuto come tema principale la guerra in Ucraina scoppiata circa un anno fa.

    Abbiamo iniziato la discussione analizzando le prese di posizione di alcuni militari italiani, (Leonardo Tricarico e Marco Bertolini) contrari all'invio dei carri armati prodotti in Germania. Si è quindi passati a commentare quanto scrive il generale Fabio Mini nel suo ultimo libro L'Europa in guerra (ed. PaperFIRST, 2023). Una prima considerazione da fare, leggendo i capitoli iniziali del testo, riguarda il fatto che le campagne di denuncia di leniniana memoria sono ormai sostenute dagli stessi generali dell'esercito, motivo per cui i comunisti non si possono fermare a tale livello e devono per forza andare oltre.

    In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.

    Per il generale, l'Ucraina sta combattendo contro l'Europa per e con gli Stati Uniti. E l'obiettivo di quest'ultimi è mantenere l'egemonia sull'Europa e interrompere qualsiasi legame politico ed economico tra Berlino e Mosca, costringendo gli alleati a importare da loro risorse energetiche a costi più alti. In ballo c'è il controllo di un mondo che non accetta più supinamente il dominio del dollaro. Come nota l'Economist ("What Ukraine means for the world"), solo un terzo della popolazione mondiale vive in paesi che hanno condannato la Russia per l'invasione dell'Ucraina e le hanno imposto sanzioni.

Rivista n°52, dicembre 2022

copertina n°52

Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

Articoli: La malattia non esiste, parte prima - Un sistema che ingegnerizza sé stesso? - La riduzione dell'orario di lavoro non è più un tabù

Rassegna: L'ennesima conferenza sul clima - Polarizzazione crescente - Pericolose tempeste"

Recensione: Gaia, le macchine autoreplicanti e l'intelligenza collettiva

Doppia direzione: Più "avanzato" Lenin o Bogdanov? - Cooperazione e sostegno

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Newsletter 245, 19 gennaio 2022

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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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