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  • Resoconto teleriunione  8 ottobre 2019

La rivoluzione in marcia

il disastro italiano in venti graficiLa teleconferenza di martedì sera, presenti 15 compagni, è iniziata con il commento di un articolo del Corriere della Sera sulla flessione del mercato immobiliare italiano.

Secondo i dati raccolti dall'Osservatorio Fiaip (Federazione italiana degli agenti immobiliari professionali), negli ultimi 10 anni il prezzo delle case è crollato mediamente del 30%, con situazioni particolarmente gravose nei quartieri periferici di Roma, Milano, Napoli e Torino. Storicamente il mattone rappresenta un bene rifugio nei momenti di crisi, ma quando non adempie più a questo compito diventa indice di guai seri per l'economia. Anni fa l''Economist, nell'articolo da cui prendemmo spunto per scrivere il testo "Le case che salvarono il mondo", ammetteva che le abitazioni "hanno protetto l'intera economia mondiale da una profonda recessione". Se il mercato immobiliare oggi si trova in queste condizioni, vuol dire che il sistema nel suo complesso è in grave sofferenza.

A Torino, ad esempio, è in corso una profonda deindustrializzazione che ha portato negli ultimi 40 anni ad un calo di 350 mila abitanti. D'altra parte, l'economia dei lavoretti, la famigerata gig-economy con cui hanno a che fare i giovani e i meno giovani, non consente l'acquisto di una casa e tantomeno la manutenzione di quelle ereditate, mentre nei centri delle città gli affitti raggiungono prezzi sempre più elevati a causa di fenomeni come la gentrification: a Torino, Roma, Firenze, così come a Lisbona, Madrid e Barcellona, i "poveri" vengono cacciati per lasciare il posto agli alloggi per turisti ed altre imprese commerciali.

Negli anni '50 la storia dell'edilizia italiana ha visto al governo Amintore Fanfani, il quale varò un piano massiccio di interventi statali per la realizzazione di edilizia residenziale pubblica. E infatti circa l'80% degli italiani (dati Istat) vive in una casa di proprietà, ma spesso piccola e da ristrutturare. Recenti studi dimostrano che il Belpaese invecchia e gli alloggi restano vuoti (a Torino ci sono circa 60 mila case vuote, e quindi un alloggio su 10 non è occupato). Riportato a 100 l'indice della produzione industriale nel 2000, oggi è sceso a 80, mentre la Germania nello stesso periodo da 100 è riuscita ad arrivare a 125. L'Italia è ormai considerata da molti analisti economici come l'anello debole europeo, visti i i numeri della disoccupazione, il calo demografico con la perdita di 100 mila abitanti ogni anno, ed una situazione politico-governativa sempre più caotica.

Il problema di fondo è che questo mondo non produce più valore a sufficienza, mentre grandeggia una gran quantità di capitale fittizio, che non riesce a trovare adeguata collocazione nel mercato. La risposta a tale stato di cose è il ricorso al macchinismo, al plusvalore relativo e, quindi, alla disoccupazione generalizzata con relativa crescita della miseria.

All'elenco delle tensioni sociali derivanti dalla stagnazione dell'economia mondiale si aggiunge quanto accade in questi giorni in Ecuador, Iraq, Algeria, Hong Kong ed Egitto.

In Ecuador, migliaia di manifestanti sono scesi in piazza alla notizia della revoca dei sussidi statali per benzina e diesel. Da giorni si susseguono marce di protesta, scontri con le forze dell'ordine e scioperi, e il governo assediato dalla popolazione ha lasciato la capitale per rifugiarsi a Guayaquil. La situazione è molto tesa e, in alcuni casi, la polizia in assetto da guerra ha sparato sui manifestanti. In Iraq le forze dell'ordine hanno represso duramente la folla scesa in strada contro corruzione, disoccupazione e miseria: oltre 100 i morti e 5000 i feriti in quella che è a tutti gli effetti una guerra civile. In Algeria, per il 32esimo venerdì successivo, ci sono state manifestazioni molto partecipate. Persistono le mobilitazioni anche ad Hong Kong, dove la polizia ha iniziato a sparare su giovanissimi manifestanti in segno di avvertimento, e in Egitto, dove sul banco degli imputati non è più solo il governo, ma l'esercito, di fatto al potere.

Il mondo è in una condizione di fibrillazione generalizzata: le rivolte si intensificano, si estendono e soprattutto si sincronizzano, confermando gli studi di Steven Strogatz sui fenomeni di sincronia in natura, che portano il sistema a passare da un tipo di ordine ad un altro. Nell'articolo del 2011, "Marasma sociale e guerra", avevamo riportato una cartina geografica con evidenziati i paesi dove c'erano state proteste o rivolte. Ebbene, nel giro di pochi anni sono rimasti ben pochi gli stati che non sono stati travolti dal marasma sociale. Naturalmente, quanto succede in Francia è a un livello di tensione inferiore rispetto a quanto accade in Ecuador o in Iraq; eppure lo scorso 21 settembre Parigi è stata bloccata da tre manifestazioni concomitanti: quella per la giustizia climatica, quella dei sindacati contro la riforma delle pensioni e quella settimanale dei gilets jaunes. Recentemente la capitale francese ha visto anche l'occupazione di un grande centro commerciale, e di altre catene di negozi nel resto del paese, ad opera di quelli che sono stati battezzati i "gilet verdi", una convergenza tra Extinction Rebellion e gilet gialli. Al di là di quello che dicono e pensano i manifestanti di sé stessi, nei fatti sono costretti ad organizzare proteste che bloccano la circolazione e il flusso delle merci. Questo sta avvenendo un pò in tutto il mondo: le piazze diventano attrattori per svariate tipologie di movimenti, ma quando si determina lo scontro con la polizia la dinamica si semplifica e le molecole sociali si polarizzano.

Per capire cosa succede nelle piazze globali è fondamentale aver assimilato lo schema di rovesciamento della prassi della Sinistra Comunista, pubblicato in "Teoria e azione nella dottrina marxista" nel 1951. Gli atomi sociali entrano in fibrillazione, gli interessi economici influiscono sulla direzionalità del movimento, le spinte si unificano verso il partito, il quale entra in feedback (doppia direzione) con la classe:

"Il rapporto dialettico sta nel fatto che in tanto il partito rivoluzionario è un fattore cosciente e volontario degli eventi, in quanto è anche un risultato di essi e del conflitto che essi contengono fra antiche forme di produzione e nuove forze produttive. Tale funzione teorica ed attiva del partito cadrebbe però se si troncassero i suoi legami materiali con l'apporto dell'ambiente sociale, della primordiale, materiale e fisica lotta di classe" ("Teoria e azione nella dottrina marxista").

Altre scuole politiche, ad esempio l'anarchismo, prevedono l'acutizzarsi dello scontro di classe; la differenza fondamentale tra noi e gli anarchici riguarda l'individuazione di una dinamica storica che porta necessariamente alla formazione di una precisa forma organizzativa, il partito, prodotto dallo scontro tra modi di produzione antitetici.

I terzinternazionalisti, o luogocomunisti che dir si voglia, affermano che gli attuali movimenti sono degni di interesse, ma che senza guida politica sono destinati a spegnersi nel nulla. Eppure la dinamica che porta alla formazione organica del partito comunista non prevede che questo elemento spunti come per magia. Se c'è la rivoluzione (ed essa c'è ed è attiva h24), allora il partito è anche il risultato di questi sprazzi di futuro, di questi movimenti anti-sistema che, senza aver consapevolezza dei fini ultimi della lotta, sono spinti a rompere con lo stato di cose presente.

In chiusura di teleconferenza, si è accennato alle notizie provenienti dal nord della Siria. Gli Usa hanno annunciato il ritiro dei loro marines dall'area; per tutta risposta la Turchia ha iniziato a schierare carri armati e artiglieria pesante e a bombardare le postazioni curde dislocate sul territorio. L'alto comando turco ha anche dichiarato che non si farà condizionare da nessuno e che è pronto a ripulire la zona dai miliziani curdi al fine di ricollocarvi qualche milione di profughi siriani "ospitati" in Turchia. I curdi, prima utilizzati dagli americani in funzione anti-IS, adesso sono lasciati in balia dell'esercito di Ankara. Il partigiano è una merce usa-e-getta, quasi sempre è stato preso a fucilate proprio dai suoi ex padroni.

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    In L'Europa in guerra si dice che lo svuotamento degli obsoleti arsenali occidentali, dovuto alle forniture di armi a Kiev, rende necessario il rinnovo degli armamenti e apre le porte all'adozione di nuove risorse tecnologicamente più avanzate ed efficienti. Tali equipaggiamenti, afferma Mini, sono prevalentemente americani e legano sempre più l'Europa agli Stati Uniti, paese che maggiormente investe nella preparazione e nell'impiego di forze militari. Gli alleati NATO dell'Est Europa sono le punte di lancia dell'America nel Vecchio Continente.

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Rivista n°52, dicembre 2022

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Editoriale: Niente di nuovo sul fronte orientale

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