"La domanda di petrolio per il trasporto non è calata, è scomparsa o quasi: gli aerei non volano, le auto non vengono consegnate. Sa cosa vuol dire per Paesi come Libia, Nigeria, Iran, Iraq o Venezuela, dove il 90% degli introiti pubblici viene dal petrolio? Quei governi fanno un profitto solo a partire da 60 dollari al barile, si troveranno di fronte al dilemma se continuare a produrre in passivo per non perdere quote di mercato o chiudere tutto."
Si tratta di paesi già instabili, alle prese con gravi crisi politiche e sociali. Gli economisti sperano che finita l'emergenza da Covid-19 si possa ritornare alla normalità, ma è opinione diffusa in ambito economico che molte attività produttive non riapriranno più. Intanto, Nigeria, Brasile e altri stati fanno i conti con l'aumento del prezzo dei beni di prima necessità come riso, grano, ecc., alla base delle diete locali. Esiste quindi la possibilità che il protrarsi delle misure di lockout porti alla fame milioni di persone. Se si riducono drasticamente le ore lavorate a livello mondiale, come annunciato da diversi studi, il valore prodotto globalmente non può che diminuire, e anche se dovesse ripartire l'economia cinese, verrebbero a mancare i mercati di sbocco per le sue merci, in primis quelli di Usa ed Europa.
Un recente scambio di mail con un lettore-simpatizzante è stata occasione per fare chiarezza sul nostro metodo di lavoro. Il corrispondente si chiedeva se questa pandemia non potesse essere utile al capitalismo per smaltire un po' di concorrenza (sovrapproduzione), per ridimensionare i capitali fittizi in borsa, ma soprattutto per sfruttare l'effetto interclassista indotto. La lettera è interessante perché sintetizza tante "interpretazioni" che abbiamo avuto modo di leggere e sentire ultimamente. Alcuni nostri critici, ad esempio, sostengono che la pandemia sia pilotata (non si capisce bene da chi), al fine di generare un terrore mediatico atto a rinchiudere i proletari nelle proprie abitazioni e, approfittando di ciò, per creare uno stato di polizia. Altri parlano di uso sociale dell'epidemia, come se la borghesia avesse tutto sotto controllo e sfruttasse la situazione per attaccare il proletariato. Questi soggetti attribuiscono una forza ed una vitalità al capitalismo che, invece, il sistema ha perso da alcuni decenni.
Esiste una "freccia del tempo", e da Marx in poi sappiamo che il modo di produzione capitalistico è transitorio, non eterno, come vorrebbero farci credere. Passata la presente emergenza "sanitaria" non ci sarà alcun effetto "rigeneratore", non ci sarà un nuovo boom come nel secondo dopoguerra. Per contrastare la crisi di sovrapproduzione, il capitalismo agisce sulla produttività del lavoro (robot, automazione, ecc.), aggravando la crisi stessa. E' ovvio che se scoppiano delle rivolte la borghesia non può fare altro che reprimerle. In Cile, già ad ottobre e senza la pandemia, è stato attuato il coprifuoco per tentare di porre un freno alle manifestazioni di piazza, così come è avvenuto in Libano, Iran, Iraq ed Ecuador. Ma sostenere che questo sistema possa risolvere i problemi di accumulazione solo con la repressione è semplicemente assurdo.
Per quanto riguarda il consenso interclassista (corporativismo), questo è un fenomeno materiale di disposizione delle classi che affonda le radici all'inizio del secolo scorso. Negli ultimi vent'anni, la pace sociale è stata pesantemente messa in discussione, a partire dall'incendio delle banlieue francesi nel 2005, passando per la Primavera araba e Occupy Wall Street nel 2011, per arrivare all'ondata di manifestazioni globali del 2019.
Il modo di produzione capitalistico funziona secondo lo schema D-M-D': il capitale deve essere valorizzato. Il lockdown in corso in numerosi paesi del pianeta somiglia molto ad uno sciopero generale internazionale e registra effetti disastrosi per un'economia già gravemente in crisi. Secondo l'Istat siamo di fronte ad uno "shock senza precedenti" (Repubblica, 7 aprile), e l'OIL, l'Organizzazione internazionale del lavoro, avverte che sono oltre un miliardo i posti di lavoro a rischio. E' quindi assurdo pensare che il capitalismo abbia fatto di proposito un autogol del genere. L'attuale modo di produzione ha bisogno che si produca e che si consumi, non che si resti in casa. Per Henry Ford, esponente di spicco del capitalismo americano di inizio '900, era essenziale spremere al massimo gli operai in catena di montaggio, ma lo era altrettanto aumentare il salario e lasciar loro del tempo libero per acquistare l'aumentata massa di merci prodotte. Ragionamento, che dal punto di vista borghese, non fa una piega.
Per quanto riguarda l'Italia, nell'articolo "Non solo cassa integrazione: ora 20 milioni di italiani vivono grazie ai sussidi" pubblicato da Repubblica il 5 aprile, si nota che:
"L'Italia è sussidiata. Un terzo della popolazione, circa 20 milioni di italiani, è attualmente nella condizione di ricevere un 'assegno' dallo Stato per far fronte al blocco dell'attività economica. Le risorse stanziate dal governo per i soli sussidi, con il primo decreto, ammontano a 11 miliardi e riguardano sostanzialmente il mese di marzo. Con il provvedimento previsto per Pasqua le dotazioni saranno raddoppiate e si aggiungeranno altri due mesi di sussidi, aprile e maggio."
Venti milioni di persone nel Belpaese hanno dunque i requisiti per ricevere una qualche forma di sostegno al reddito. Il fascismo ha perso militarmente la guerra, ma ha vinto (politicamente travestito), inglobando il proletariato nelle istituzioni borghesi grazie al Welfare State. Dall'indennità di disoccupazione, al dopolavoro, fino al sistema pensionistico, il moderno stato sociale è stato introdotto nel Ventennio, e ha rappresentato una politica corruttrice e controrivoluzionaria che ha dato i suoi frutti. Ma oggi, giusta Marx, siamo arrivati al punto in cui il sistema invece di sfruttare i propri schiavi è costretto a mantenerli. La Spagna, ad esempio, per mitigare l'impatto economico dell'epidemia sta pensando di introdurre un reddito di base "universale".
"La successione non è: fascismo, democrazia, socialismo - essa è invece: democrazia, fascismo, dittatura del proletariato. Chi vuole essere progressivo sia fascista", troviamo scritto in "Tendenze e socialismo" (1947). Chi difende presunte garanzie economiche e politiche ottenute in questa società, difende la forma sociale fascista ("Lotta di classe e offensive padronali", 1949).
Dal fascismo, fase suprema del capitalismo, non si torna indietro, si può solo andare avanti... verso il comunismo. Le strutture per coordinare le attività di specie a livello mondiale, in una fase di transizione, ci sono già. L'OMS, la Banca Mondiale, il FMI sono organizzazioni sovranazionali finalizzate a mettere un po' di ordine in un sistema altamente caotico che una nuova forma sociale può utilizzare al meglio, liberandole dai vincoli capitalistici. Nell'articolo "Operaio parziale e piano di produzione" abbiamo visto come il piano di produzione industriale, al cui interno non si verifica il passaggio di valore ma solo di semilavorati, rappresenti l'elemento cardine del capitalismo e si basi però sulla negazione della legge del valore. Se noi comunisti "non potessimo già scorgere nascoste in questa società - così com'è - le condizioni materiali di produzione e di relazioni fra gli uomini, corrispondenti ad una società senza classi, ogni sforzo per farla saltare sarebbe donchisciottesco." (Karl Marx, Grundrisse)
Il partito comunista è quell'organismo che attinge informazione dal futuro, e i cui membri hanno rinnegato la classificazione in cui li iscrisse l'anagrafe di questa società: quando si è reso necessario, la rivoluzione ha saputo trovare militanti, anche appartenenti a classi non direttamente beneficiarie del cambio di paradigma. La rivoluzione antischiavista ha visto l'emergere del partito cristiano, internazionale per sua natura; la società feudale è stata demolita, teoricamente, dal partito dell'Encyclopédie. La prossima rivoluzione non potrà certo partire da elementi del passato e riproporli tali e quali, dovrà invece lanciarsi alla conquista del futuro. Secondo Marx, la rivoluzione borghese, per quanto universale, aveva un'anima politica, dato che sostituì una classe con l'altra; la prossima sarà universale e a titolo umano, poiché ha come scopo l'abolizione di tutte le classi.
Argomenti, questi, lontani anni luce da quelli dei cultori della riforma dell'esistente. In ambienti che si definiscono comunisti c'è chi non trova di meglio che proporre un'imposta patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione, o, addirittura, chi propone la garanzia del tampone per tutti i proletari. Il tutto condito dal solito piagnisteo sui tagli alla sanità pubblica e sull'attacco padronale contro i diritti del lavoro, motivi per cui bisogna lasciare da parte le differenze teoriche e attivarsi per costruire l'ennesimo fronte unico politico.
Noi facciamo nostro il motto del Manifesto del 1848, secondo cui i proletari nella rivoluzione non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene. La corrente storica a cui facciamo riferimento si è scontrata duramente con la concezione idealista della rivoluzione e con coloro che pensano che essa sia una sommatoria di coscienze o volontà individuali. La rivoluzione, al contrario, è un fatto fisico, materiale: essendo un movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, è un risultato del grado di maturità di forze storiche che va ben al di là dei battilocchi di turno che si agitano sul palcoscenico della storia. Tutti i costruttori di partiti e rivoluzioni sono destinati al fallimento perché, come è scritto in "Partito e azione di classe" (1921):
"Non si creano né i partiti né le rivoluzioni. Si dirigono i partiti e le rivoluzioni, nella unificazione delle utili esperienze rivoluzionarie internazionali, allo scopo di assicurare i migliori coefficienti di vittoria del proletariato nella battaglia che è l'immancabile sbocco dell'epoca storica che viviamo. "