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  • Resoconto teleriunione  6 aprile 2021

Un futuro anti-dissipativo

La teleriunione di martedì sera, a cui si sono collegati 21 compagni, ha preso le mosse da una domanda emersa alla fine dell'incontro precedente riguardo la possibilità di individuare già oggi le caratteristiche della società futura.

L'articolo "Capitale e teoria dello sciupio", pubblicato sul numero 41 della rivista, riprende i temi affrontati in una serie di testi comparsi su programma comunista tra il 1959 e il 1964 (raccolti nel nostro quaderno Scienza economica marxista come programma rivoluzionario), dedicati all'indagine intorno alla teoria "marxista" dello sciupìo. Il succedersi dei modi di produzione e quindi il passaggio ad una nuova forma sociale si realizza perché la società n, il capitalismo, per funzionare richiede una quantità di energia, sia umana che di altro tipo, maggiore rispetto a quella necessaria nella forma successiva n+1.

In due discorsi di Engels tenuti a Elberfeld nel 1845, viene fatto un raffronto tra la società capitalistica e la futura società comunista, mettendone in evidenza le differenze e soprattutto il rendimento superiore della seconda sulla prima. E' un passaggio importante che va sottolineato, perché quello è il periodo in cui comincia ad enuclearsi il programma rivoluzionario. Engels descrive il comunismo non come un modello o un ideale di società da costruire (utopia), ma quale prodotto di un processo materiale, come conseguenza di un movimento reale (scienza).

Già nel 1845 l'irrazionalità e lo sciupìo capitalistico erano tali che si sarebbe potuto ridurre della metà il tempo necessario a produrre ciò di cui abbisognava l'umanità, eliminando settori improduttivi quali gli apparati poliziesco, giudiziario e carcerario, che sono funzionali alla conservazione del sistema del lavoro salariato. Allora e a maggior ragione oggi, una diversa organizzazione sociale può abbattere drasticamente la durata della giornata lavorativa, liberando l'uomo dal lavoro inutile. Questo ci porta a ricordare che il punto "b" del Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico prevede di elevare i "costi di produzione, per poter dare, fino a che vi è salario, mercato e moneta, più alte paghe per meno tempo di lavoro".

Il tema del rendimento è centrale per la "nostra" teoria del divenire sociale: a prendere il sopravvento è sempre la forma a più alta efficienza energetica. Nei discorsi a Elberfeld, Engels non descrive un modello ideale ma pone in evidenza la dinamica oggettiva che contrappone classi e categorie economiche e sociali della società futura a quelle capitalistiche. Per ogni comunista il punto di riferimento è la società di domani, ed è proprio grazie a questo approccio che riesce a scorgere le anticipazioni di futuro già presenti nella società così com'è. Nel nostro "Chi siamo e cosa vogliamo" affermiamo che il comunismo supera tutte le categorie precedenti, negandole o trasformandole, secondo un processo inarrestabile i cui segnali oggi si possono cogliere in diversi ambiti, produttivi, economici e sociali.

Nella società futura sparirà la divisione della giornata lavorativa tra lavoro necessario e pluslavoro. Nel suo libro La donna e il socialismo, August Bebel ricorda la ricerca di un economista austriaco dell'Ottocento, T. Hertzka, intorno alla quantità di energia lavorativa necessaria per mantenere la popolazione dell'Austria col tenore di vita dell'epoca. Il suo calcolo portò al risultato secondo il quale se ogni uomo in buona salute avesse lavorato, sarebbe bastata un'ora e mezza al giorno per 300 giorni all'anno. Oggi probabilmente basterebbe qualche minuto.

L'evidenza dell'attuale sciupio capitalista è così marcata che cresce il numero di coloro che arrivano a proporre società alternative senza denaro, banche, lavoro salariato, come ad esempio il Venus Project. Non si dichiarano marxisti, dicono di non avere nulla a che fare col comunismo, ma arrivano a conclusioni simili alle nostre, perché è la società intera a spingere verso una specifica direzione e un sentore condiviso si fa spazio, andando ben al di là di qualunque capacità di propaganda (a dimostrazione che il comunismo non è un'ideologia, ma il movimento reale...). Al contrario, molti di coloro che si dichiarano comunisti hanno come orizzonte massimo la salvaguardia dei posti di lavoro e, in ultima istanza, la tutela della costituzione repubblicana.

Dal punto di vista sociale il problema che si pone è di saper riconoscere il comunismo. A livello termodinamico, abbiamo detto che la società futura sarà anti-dissipativa; lo stesso tipo di operazione va fatta nell'ambito sociale, individuando i movimenti che, consciamente o meno, si richiamano al futuro, alle sue anticipazioni già operanti nel capitalismo (vedi movimento tecnocratico). Non ci stancheremo mai di ripetere che nella società odierna sono presenti saggi di organizzazione comunistica (Proprietà e Capitale, cap. XV), che si dispiegheranno su vasta scala nella società futura. A questo proposito, è da ricordare il livello raggiunto dal movimento Occupy Wall Street: a Zuccotti Park erano a disposizione della community tutte le strutture necessarie, ottenute attraverso donazioni, il lavoro di volontari, raccolte di fondi, ecc. L'esperienza è stata così importante che in poco tempo quel modulo di base si è affermato in tutto il mondo, sviluppando caratteristiche peculiari ma mantenendo un'invarianza di fondo. Il movimento Occupy non è stato il frutto di un'idea o di una specifica concezione ideologica, esso è nato da fatti materiali, dalla vita senza senso, dalle difficoltà economiche, dal bisogno di aiuto e comunità. Strutture ed esperienze di questo tipo dovranno per forza ripresentarsi.

La società in cui viviamo è talmente matura per il passaggio ad una nuova forma sociale che produce essa stessa la sua antitesi, e allo stesso tempo si autodifende mettendo in moto elementi di regolazione del sistema che ne ritardano il crollo.

Lo studioso di tematiche ambientali Vaclav Smil recentemente ha pubblicato il libro Energia e civiltà. Una storia, nel quale affronta lo sviluppo sociale, dalla preistoria fino alla società moderna, sulla base di un unico riferimento universale e cioè l'energia necessaria per ottenere qualsiasi cosa. Il testo sintetizza dal punto di vista materialistico la storia della nostra specie e rappresenta l'ennesima capitolazione di fronte al marxismo.

Sulla base di quanto avveniva nell'organizzazione sociale delle società del comunismo originario, possiamo prevedere come funzionerà la distribuzione dei prodotti nella società futura? Quale sarà, insomma, alla luce di quanto scritto nella rivista numero 48, il ruolo dei magazzini?

Per diecimila anni l'umanità ha vissuto organizzando la produzione, l'ammasso e la distribuzione del prodotto sociale in maniera centralizzata. Il sistema funzionava perché si trattava di società che conoscevano perfettamente sé stesse e perciò sapevano gestire razionalmente l'ammasso, tra l'altro sviluppando un sistema di contabilità, quello delle cretule, efficientissimo. Nell'antica Roma, gli horrea erano indispensabili non solo al flusso delle merci, ma soprattutto alla loro produzione in quanto elementi ordinatori dell'intero ciclo produttivo e distributivo. Oggi la situazione è rovesciata: il magazzino è un elemento passivo, serve a smistare i prodotti, è un punto di transito e rappresenta un costo (si pensi all'esasperazione del just in time).

La società futura funzionerà secondo un metabolismo sociale, libero dalle categorie capitalistiche e quindi dalla produzione di plusvalore e dalla frenesia determinata dalle necessità di valorizzazione del capitale. L'esplosione dell'informatica ha ampliato enormemente la capacità di controllo dei processi produttivi e gestionali rendendoli sempre più automatici e quindi capaci di liberare tempo di lavoro e di regalare tempo di vita.

In conclusione, abbiamo accennato alle manifestazioni di protesta di bottegai e commercianti a Roma. Di fronte alla grande emergenza pandemica, lo Stato privilegia e tutela la grande industria, sacrificando le piccole attività. Le mezze classi (ristoratori, negozianti, ambulanti ecc.), che vivono del plusvalore prodotto altrove, stanno precipitando nell'esercito dei senza riserve e si ribellano, rivendicando la libertà di muoversi, di commerciare, di riaprire le attività, insomma, di poter fare affari.

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