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  • Resoconto teleriunione  5 ottobre 2021

Errore di sistema

Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 21 compagni, abbiamo espresso alcune considerazioni riguardo le crescenti difficoltà che il capitalismo sta attraversando in diversi settori.

Il 4 ottobre 2021 Facebook e tutte le applicazioni e i servizi gestiti dalla società di Menlo Park non sono stati disponibili per alcune ore, a causa di un'errata configurazione dei router che coordinano il traffico di rete tra i diversi centri dati dell'azienda. Sono circa tre miliardi e mezzo le persone nel mondo che utilizzano Whatsapp, Facebook e Instagram, per comunicare con amici e parenti ma anche per lavorare, per inviare e ricevere ordini di produzione, per fare acquisti online, per telefonare, per effettuare pagamenti o per diffondere messaggi politici. Il blocco, seppur durato poco tempo, ha avuto un impatto notevole sia a livello sociale che finanziario; l'agenzia Bloomberg ha stimato che la perdita economica a livello mondiale sia stata di 160 milioni di dollari per ogni ora di interruzione. Anche il blackout di Facebook è classificabile come un collo di bottiglia, che questa volta ha colpito le autostrade non di asfalto ma digitali.

La catena logistica è in affanno anche in Inghilterra, dove permangono le difficoltà legate alla carenza di autotrasportatori in seguito alla Brexit. Oltre alle merci sugli scaffali dei supermercati, da alcuni giorni nel Paese manca anche la benzina, o meglio chi possa trasportarla verso i distributori. Per risolvere la situazione, che ha portato ad ulteriori proteste e alla corsa alle pompe, il governo inglese ha mobilitato l'esercito (operazione Escalin). La crisi del carburante va ad aggravare la crisi degli approvvigionamenti che, ormai da mesi, complica i rifornimenti dei negozi e delle grandi catene di distribuzione alimentare. Ultimamente l'Economist ha pubblicato due articoli sul declino del Regno Unito ("Britain's sluggish stockmarket", "The decline of Britain's stockmarket should be seen in a broader historical context").

Pesanti criticità si addensano anche nel settore delle materie prime. Il prezzo dell'elettricità continua a salire e battere nuovi record. In Italia e Spagna ha già raggiunto il quadruplo della media degli ultimi dieci anni, ma l'impennata si fa sentire in tutto il mondo, Cina compresa, causando la sospensione della produzione in diverse aziende. Questo aumento di prezzo vertiginoso va di pari passo alla crescita del prezzo del gas naturale sul mercato mondiale che, in Europa, è quasi quintuplicato dall'inizio dell'anno: "l'anno termico si apre con un nuovo crollo dei flussi dalla Russia. L'Ucraina, sempre più isolata da Gazprom, invoca sanzioni da Usa e Ue. Intanto a Bruxelles si studiano strategie comuni per reagire al caro energia, che comincia a fermare le attività industriali" (Il Sole24Ore). Indubbiamente diverse cause contingenti hanno portato all'aumento del prezzo di elettricità e gas, ma nel momento in cui a crescere è il prezzo di ogni materia prima allora si tratta di una serie di cause concatenate, precedenti, che vanno al di là della situazione politica in Ucraina o altrove.

Come abbiamo scritto nell'articolo sull'energia pubblicato sulla rivista numero 31, l'aumento del prezzo delle materie prime è una tendenza storica, la parte di plusvalore che nel tempo viene dirottata verso la rendita è crescente. A lungo andare questo incide sulla produzione industriale, perché le aziende sono costrette a spendere somme sempre maggiori per le materie prime e vedono erodere i propri profitti. Ovviamente c'è sempre chi si trova dall'altra parte del problema e fa affari d'oro, per esempio chi in questo periodo possiede centrali idroelettriche o nucleari vede gonfiarsi le proprie tasche. In Spagna il governo è intervenuto con una serie di misure per fronteggiare l'aumento dei prezzi dell'elettricità nel paese, e anche l'Europa si sta mobilitando affinché i paesi dell'Unione riducano gli oneri accessori nelle bollette.

La crisi energetica ha già causato i primi blocchi. La scarsità di gas naturale e il rincaro del prezzo hanno determinato la chiusura di due stabilimenti per la produzione di fertilizzanti nel Regno Unito, uno in Austria ed uno anche in Italia, a Ferrara. La crisi in questo ramo industriale avrà delle ricadute nella produzione alimentare ed agricola, probabilmente causando l'aumento di prezzo del cibo; e favorisce l'utilizzo di carbone e petrolio, mostrando la vacuità dei buoni propositi della green economy. Nel capitalismo è sempre il guadagno economico a tracciare la strada da seguire.

Infine, anche l'immobiliare cinese, già provato dalla crisi di Evergrande, accusa un nuovo colpo. Fantasia Holdings, una società del settore con sede a Shenzhen, minore rispetto al colosso sull'orlo della bancarotta, risulta inadempiente per 205,7 milioni di dollari. Il possibile default del gruppo alimenta la crisi del settore e accresce le preoccupazioni degli investitori e il timore di un effetto contagio su tutta l'economia cinese.

Insomma, il quadro economico è sempre più cupo, e si corre il rischio di fare l'abitudine alle preoccupanti notizie che ogni giorno vengono snocciolate da giornali e media. Ma in una visione di insieme che guardi all'intero, ci accorgiamo che le grandi nubi scure che si stagliano all'orizzonte del capitalismo sono interconnesse, legate l'una all'altra in un meccanismo che ha ripercussioni immediatamente globali. Si tratta di un sistema complesso, intrinsecamente fragile. Per sua natura il capitalismo è compartimentato in settori, diviso per interessi, in preda all'anarchia del mercato. Si prenda per esempio la rete elettrica del paese imperialista più forte: vetusta, con una gestione frammentata in mille aziende, sottoposta a deregulation selvaggia, registra frequenti e severi blackout e contingentamenti (basti ricordare quello che lo scorso inverno ha lasciato milioni di persone senza luce e riscaldamento in Texas). Affidiamo la nostra vita a sistemi fragili, che si tratti di logistica, social network, approvvigionamento energetico o strutture sanitarie; la possibile sincronizzazione delle criticità fa apparire l'ipotesi dell'estinzione della specie non così del tutto remota ("comune rovina delle classi in lotta").

Anche a livello sociale le conseguenze delle crisi in corso non si faranno attendere. In Francia, un aumento del prezzo del carburante aveva portato alla nascita del movimento dei Gilets Jaunes. Si stanno sommando tutta una serie di problematiche che potrebbero portare ad una crisi simile a quella del 2008, ma con un impatto molto più importante dato l'accumularsi e l'ingrandirsi, nel frattempo, delle contraddizioni del capitalismo.

Le curve elaborate dal MIT-Club di Roma (1972), riguardo i limiti dello sviluppo mostrano intorno al 2020 un picco di produzione industriale e di inquinamento, seguito da un andamento catastrofico in cui tutti i parametri crollano. Il capitalismo si trova nella situazione di aver bisogno di aumentare la produzione per contrastare la caduta del saggio di profitto, determinato anche dall'automazione dei processi produttivi; ma questo stesso meccanismo comincia a cozzare contro i limiti fisici del pianeta. Anche nel 2008 si sono registrati fenomeni analoghi a quelli in corso oggi, come l'aumento da record del prezzo del petrolio e l'incremento dei costi delle materie prime legate al cibo. Allora esplosero le Primavere Arabe, contagiando Europa (Indignados), Usa (Occupy Wall Street) e quindi tutto il mondo.

Rispetto al 2008, molte cose sono cambiate. Prendiamo la Cina: il paese in poco più di dieci anni ha bruciato tutte le tappe, trasformandosi da fabbrica del mondo capitalistico in economia finanziarizzata, al pari dei paesi a vecchio capitalismo e con gli stessi problemi. Per esempio, quello della diseguaglianza, che ha spinto il governo cinese a lanciare l'obiettivo della "prosperità condivisa" incoraggiando "i gruppi e le imprese ad alto reddito a restituire di più alla società". Nel paese il 20% più ricco delle famiglie possiede oltre il 45% del reddito disponibile; l'1% più ricco possiede oltre il 30% della ricchezza delle famiglie. Alla disparità economica, si aggiungono la già citata crisi dell'immobiliare, settore seduto su tre trilioni di prestiti e responsabile del 30% del Pil; e la crisi dell'approvvigionamento energetico, in seguito al quale il governo ha imposto misure restrittive e decine di fabbriche sono state costrette a limitare la produzione. Insomma, anche il gigante "quantitativo" cinese deve ora fare i conti con i limiti dello sviluppo.

Prima della crisi dei mutui subprime, a livello sociale abbiamo riservato una particolare attenzione allo sciopero dell'UPS negli Stati Uniti nel 1997, e alla rivolta delle banlieue in Francia nel 2005. Se riavvolgiamo la pellicola e vediamo quanto è successo da allora ad oggi, osserviamo che a partire dalle rivolte del pane e dalle Primavere Arabe nel 2010, non c'è più stata soluzione di continuità: il mondo appare punteggiato di rivolte, sommosse e anche occupazioni di parlamenti. Esiste una chiara freccia nel tempo che segna, per rimanere dell'ambito dei sistemi complessi, dei passaggi di soglia che hanno portato il sistema in una situazione crescente di disequilibrio, al margine del caos.

Per noi si tratta di conferme: nel 1984 pubblicavamo il quaderno La crisi del capitalismo senile, e le previsioni ivi contenute si stanno avverando tutte, dall'inceppamento dei meccanismi di accumulazione alla formazione di una enorme quantità di capitale fittizio. Prima che scoppi la crisi nessuno sa cosa fare, solo dopo si interviene, a lacerazione avvenuta, e lo si fa rattoppando il sistema. E, il più delle volte, è peggio la pezza del buco.

In chiusura di teleriunione abbiamo accennato alle recenti elezioni amministrative in Italia. A proposito di malessere sociale e disagio crescente è interessante notare il dato emerso da questa tornata elettorale: il ritorno in forze dell'astensionismo. A Torino, per esempio (ma il conto vale anche per altri importanti centri del paese) la maggior parte del 50% che si è presentato alle urne si concentra nei quartieri ricchi della città, mentre in quelli più poveri in media solo quattro su dieci si sono recati a votare. Questa tendenza va oltre l'Italia, e anche la stessa Europa: partita dagli Stati Uniti si è in seguito diffusa in tutto il mondo quale espressione dello scollamento di ampi strati sociali dal sistema dei partiti, percepito come alieno ed estraneo.

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