Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  26 aprile 2022

L'escalation sta andando fuori controllo?

La teleriunione di martedì sera, presenti 20 compagni, è iniziata prendendo spunto da un articolo del Il Fatto Quotidiano a firma del generale Fabio Mini: "Salvare la dittatura del dollaro: la vera guerra di resistenza USA" (16 aprile 2022). Nel testo viene citato l'ultimo libro del generale cinese Qiao Liang, L'arco dell'impero, con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità, che tratta, tra le altre cose, della "invenzione della finanza Usa che riesce a staccare la moneta dalla realtà economica e da qualsiasi valore oggettivo di riferimento e convertibilità".

Per spiegare le origini del conflitto in Ucraina Mini ricorda alcuni fatti salienti che hanno segnato il corso del capitalismo, in primis la strabiliante capacità degli Usa di colonizzare finanziariamente il mondo. Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, il dollaro diventa la moneta utilizzata per i maggiori scambi commerciali mondiali, nel 1971 si sgancia dall'oro e successivamente, con Nixon, si lega al petrolio (Petrodollaro). Nel 2000 Saddam Hussein annunciò di voler vendere petrolio iracheno in euro, qualcosa di simile dichiarò anche Gheddafi; sappiamo che fine hanno fatto i due leader. Oggi, dice Mini, si stanno formando unioni economico-commerciali (Eaeu, Bri) che mettono a repentaglio il dominio del dollaro; il conflitto in Ucraina è quindi l'ultimo episodio della politiguerra americana al mondo, tesa a mantenere l'egemonia del capitale a stelle e strisce. Le "guerre senza fine" del Pentagono, scrive il generale Qiao, sono progettate per garantire "che non solo i dollari fluiscano senza problemi fuori dal Paese (sotto forma di cessioni finanziarie e di crediti), ma anche che il capitale in movimento nel mondo torni negli Stati Uniti".

Da segnalare anche l'interessante intervista di Giulio Chinappi a Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti ("Gli USA, la guerra nucleare finanziaria contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale").

Dietro al conflitto in Ucraina operano i grandi attori globali: Usa, Cina, Russia e, a seguire, India, Turchia, Israele, ecc. Quanto sta avvenendo sul territorio ucraino è un conflitto locale e a bassa intensità che vede la Russia difendere i propri interessi sulla frontiera occidentale, ma è anche un conflitto globale perché registra la partecipazione più o meno attiva di tutti i maggiori paesi. Essendo il sistema capitalistico attanagliato da una crisi di produzione di plusvalore, accaparrarsi quest'ultimo diventa sempre più complicato. Gli interessi americani cozzano contro quelli del resto del mondo. La rendita, infatti, permette agli Usa di intascare flussi di valore globale, e qualsiasi movimento che possa mettere anche solo lontanamente in discussione la direzione di tali flussi è visto da Washington come un atto di guerra. Il dominio del dollaro è reso possibile dalla presenza di 800 basi militari sparse per il mondo.

La Russia ha minacciato di estendere il conflitto ai paesi che stanno armando direttamente le truppe ucraine. "Lecito colpire il suolo russo con armi Nato", ha spiegato il viceministro della Difesa inglese. "Altrettanto legittima una rappresaglia", ha risposto il Cremlino. E il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, avverte: "C'è il rischio reale di una terza guerra mondiale". L'escalation sta andando fuori controllo, il pericolo nucleare esiste. La guerra non è più lo sbocco della politica che continua con altri mezzi, ma è lo stato permanente di una società basata sulla concorrenza fra individui, aziende, Stati. Essa non ha un principio e una fine. Non vi è più una separazione netta fra pace e guerra. E il fenomeno è strettamente connesso ad un altro, da noi affrontato più volte: la cronicizzazione della crisi di accumulazione, la freccia nel tempo del sistema capitalistico.

Nell'articolo "La ricerca della multipolarità" (2007) notavamo che la situazione economica materiale (il PIL della Cina e dell'India superava già quello degli Stati Uniti) stava mettendo in serie difficoltà la posizione del gigante americano: "gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere 'egemonia', non possono ritirarsi in pensione a tagliar cedole. Il mondo non glielo consentirebbe più. Gli Stati Uniti sono costretti a teorizzare l'unipolarismo, perché qualsiasi altra egemonia decreterebbe la loro fine". Nell'articolo "A che punto è l'imperialismo" (2009) scrivevamo: "diminuita potenza e aumentata capacità di dominio degli Stati Uniti rappresentano una contraddizione, che però spiega la necessità da parte di Washington di rastrellare più valore di quanto ne produca. E ciò ha evidentemente a che fare con la formazione di una quantità mai vista di capitale fittizio, che già Marx contrapponeva al capitale reale."

Un mondo capitalistico che negli ultimi anni ha visto entrare in scena potenze in crescita come Cina e India (insieme contano quasi tre miliardi di abitanti) ha seri problemi di gestione. Blocchi imperialisti entrano in conflitto non perché qualcuno l'abbia deciso, ma perché sono deterministicamente portati a farlo. L'Ucraina è un piano di faglia dove si è sprigionata l'energia accumulata; se guardiamo allo scontro in atto nell'Europa orientale con la lente d'ingrandimento puntata su di essa è difficile farsi un'idea su quanto stia accadendo. Allontanando l'obiettivo ci si rende contro che non si tratta di una guerra classica. L'"operazione militare speciale", così è stata chiamata dal Cremlino, serve a distruggere tutto quello che è pericoloso per la Russia: installazioni, basi, sistemi difensivi. Ogni guerra comincia là dove è finita la precedente e quindi siamo alla fine di un ciclo e all'inizio di un altro. Quella attuale vede in catalogo un insieme non coerente di armi vecchie e nuove, dove le prime sono inservibili e le seconde non fanno ancora parte di un sistema integrato. I due missili che avrebbero affondato l'incrociatore Moskva sono di progettazione russa e fabbricazione ucraina, viaggiano a velocità subsonica e in linea di principio non avrebbero potuto affondare una nave dotata di difese aggiornate. Altrimenti quella nave non avrebbe dovuto trovarsi dove si trovava.

Se siamo coerenti con il nostro retroterra storico, tutto quello che hanno detto Marx ed Engels sui rapporti tra le nazioni, soprattutto sul ruolo geopolitico della Russia, deve avere delle conseguenze. La Russia si trova nella particolare condizione di essere un paese arretrato, ma allo stesso tempo il primo dove c'è stata una rivoluzione guidata da un partito comunista, una contraddizione esplosiva. Essa è schiacciata ad Occidente dai paesi della Nato, in una condizione di soffocamento insopportabile per Mosca. Ad Oriente ci sono gli "Stan", quei Paesi un tempo appartenenti all'Unione Sovietica dove circa un centinaio di milioni di persone parlano lingue che risalgono al turco. Se gli Usa bloccano la Russia in Ucraina, Mosca sarà costretta a riversarsi sull'Asia Centrale, pur senza avere la potenza di controllare politicamente ed economicamente l'area. La nostra visione geo-storica ci porta a considerare per il futuro una pesante azione di contenimento della Russia da parte della Nato. Ma quello in corso è un terremoto le cui onde sismiche si stanno diffondendo in tutto mondo e nessuno sembra in grado di controllarne gli effetti. L'America tarderà ad entrare in azione direttamente. Riforniti di nuovi armamenti gli Ucraini, per la Russia sarà finita. Chi sta pagando il prezzo più alto è la popolazione ucraina, massacrata, affamata e costretta a fuggire in altri paesi abbandonando le proprie case.

Non siamo indifferenti a quanto accade, ma naturalmente non ci schieriamo con un fronte borghese o con l'altro, come usano fare i partigiani. Oggi la Russia non ha merci ideologiche da vendere al resto del mondo, gli Usa invece sì. Oltre alla superiorità militare hanno aziende che controllano le sementi del mondo. Chi controlla il petrolio controlla le nazioni, chi controlla il cibo controlla i popoli, affermava Henry Kissinger. L'Europa è al centro di questo conflitto, anche dal punto di vista del coinvolgimento ideologico, e non riesce ad esprimersi come un polo unitario. Nemmeno il proletariato si esprime, dato che non si riconosce come classe. Per questo motivo gli appelli a praticare il disfattismo, almeno per ora, non hanno presa.

Non ci sono dubbi che la sorte del capitalismo sia segnata: crisi economica, ecologica ed energetica, pandemia, crescita della miseria, guerra, ci sono tutti gli ingredienti per una catastrofe sistemica. Pensiamo a quanto sta succedendo a Shanghai dove è in corso un lockdown durissimo per 26 milioni di abitanti e si predispongono test di massa a Pechino. Il blocco sanitario a Shanghai (il cui porto è uno uno degli scali più importanti del mondo) ha ricadute dal punto di vista produttivo (diverse fabbriche che iniziano a chiudere), logistico, e finanziario (le borse asiatiche sono in forte calo). La strategia "zero-Covid" della Cina, vanto del partito-stato cinese, non potrà durare a lungo senza mandare in crisi il commercio mondiale.

In chiusura di teleconferenza si è accennato alle ultime notizie provenienti dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra. In seguito allo scoppio della pandemia, molte aziende hanno fatto largo uso dello smart working e ora milioni di lavoratori non vogliono più tornare al lavoro. Di qui il fenomeno delle "Grandi dimissioni", al quale la California risponde valutando la possibilità di ridurre le ore lavorative da 40 a 32 senza modifiche allo stipendio. Un'organizzazione no profit associata all'Università di Oxford ha lanciato il progetto 4 Day Week Global per sensibilizzare governi e istituzioni sulla necessità di lavorare 4 giorni alla settimana. Quest'anno una quarantina di aziende tra Stati Uniti e Canada partecipano al programma della durata di sei mesi. Per cercare di tenere insieme un sistema che si va disgregando, il capitalismo predispone redditi di base e riduzioni dell'orario di lavoro. Anche questo è un segno dei tempi.

Articoli correlati (da tag)

  • Cervello "artificiale"

    La teleconferenza di martedì 19 settembre, a cui si sono collegati 17 compagni, è iniziata commentando un articolo dell'Economist, "How artificial intelligence can revolutionise science".

    Se in altri articoli il settimanale inglese si è focalizzato sugli scenari distopici a cui potrebbe portare lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale (IA), in questo si concentra sugli aspetti positivi riportando dichiarazioni e analisi di esperti del settore.

    Secondo l'Economist, le grandi scoperte tecniche che hanno rivoluzionato la società, dai microscopi ai telescopi, sono state possibili grazie allo sviluppo della scienza; questi strumenti, a loro volta, hanno contribuito al progresso in diverse branche della conoscenza, dalla chimica alla fisica e alla biologia. Lo sviluppo tecnologico è stato accelerato dalla rivoluzione industriale e successivamente, a partire dalla fine del XIX secolo, con la creazione di laboratori di ricerca sono state introdotte altre innovazioni, come i fertilizzanti artificiali e i prodotti farmaceutici. All'inizio del XX secolo viene inventato il transistor, l'elemento costitutivo del computer: il Novecento sarà il secolo della rivoluzione informatica, non è ancora terminata e alle soglie di una nuova forma di intelligenza.

  • Un mondo senza lavoro

    La teleconferenza di martedì sera, connessi 17 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'intervista di Repubblica (05.09.23) a Daniel Susskind, professore di economia al King's College di Londra e autore di Un mondo senza lavoro, che afferma la necessità di cambiare paradigma dato che si sta stabilendo un nuovo rapporto tra lavoro e senso della vita: "l'idea di intraprendere una carriera, trascorrere diversi decenni a progredire e poi andare in pensione, è piuttosto superata".

    Nell'articolo "Proletari, schiavi, piccolo-borghesi o... mutanti?", pubblicato sulla rivista n. 4 (2001), descrivevamo una serie di trasformazioni che all'epoca si potevano solo intravedere; allora, infatti, non c'erano i rider, non c'erano i clickworkers e di intelligenza artificiale si parlava poco:

    "La struttura mondiale del lavoro sociale, la socializzazione crescente della forza produttiva umana, non possono non avere effetti materiali sulle forme in cui si manifesta lo sfruttamento. Se la miseria e il sottosviluppo odierni sono fenomeni modernissimi dovuti alla distruzione irreversibile dei rapporti antichi, l'estendersi enorme di rapporti di lavoro atipici nelle aree metropolitane non devono essere considerati fenomeni di regresso: saranno anch'essi a tutti gli effetti il risultato di progresso, quindi, per definizione, riflessi del futuro sul presente in via di liquidazione continua."

  • Immobiliare cinese, debito e policrisi

    Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 15 compagni, abbiamo ripreso l'argomento trattato nella scorsa riunione, ovvero l'aggravarsi della situazione economica cinese.

    Il Corriere della Sera ha pubblicato una serie di dati sulla Cina da cui risulta che le amministrazioni locali delle province del paese hanno accumulato debiti per finanziarie il settore immobiliare e la costruzione di nuove infrastrutture ("Cina, il debito 'nascosto' che minaccia l'economia: le province esposte per 8.000 miliardi", Francesco Bertolino). Se alla cifra raggiunta dall'indebitamento pubblico (che ammonta a circa il 300% del PIL, circa 4700 miliardi di euro), si aggiunge quella relativa al governo delle province, vengono superati gli 8000 miliardi di euro. Ad essere in difficoltà non sono solo le amministrazioni locali e le famiglie, ma anche le banche, dato che sono state proprio queste a finanziarie il boom del mattone. Alcuni esperti fanno notare che il sistema finanziario cinese è chiuso e perciò ritengono che le conseguenze dello scoppio di una bolla immobiliare rimarrebbero circoscritte all'interno dei confini nazionali. Sappiamo, invece, che i legami e le interconnessioni economiche e finanziarie della Cina hanno un respiro globale. I conglomerati immobiliari cinesi sono indebitati con Wall Street, e la Cina, dopo il Giappone, è il maggior acquirente di titoli di stato USA; una crisi finanziaria cinese avrebbe ripercussioni sul debito americano e su tutti i suoi rapporti commerciali (ad esempio quelli con la Germania che esporta molto verso il gigante asiatico). Come dice l'economista Larry Summers, il "superciclo del debito", che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008 e qualche anno dopo l'Europa, sta ora sferrando un duro colpo alla Cina.

Rivista n°53, giugno 2023

copertina n° 53

Editoriale: La guerra rispecchia la società

Articoli: Sul libero arbitrio

Rassegna: Effetto domino - Crollo generale"

Terra di confine: Magazzini organici - Apprendisti stregoni - La forma ed il contenuto

Recensione: Doom

Doppia direzione: Riscontri d'oltreoceano

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email